Mondo Auto: la spina delle BEV europee è in Africa?

 Siamo alla quinta puntata di un approfondimento davvero alternativo, per effetto del quale Autoprove.it si è già attirato diverse critiche e proteste che, ad onor del vero, potevano assumere una ragion d’essere non più tardi delle prime due puntate introduttive, ma che via via hanno dimostrato che cifre e trend di quello che ancora per poco – e per decenza – si può chiamare “mercato auto” in Europa e che Autoprove.it può dimostrare essere invece il vero e proprio ponte di passaggio dell’Automotive “dominante” (in scaletta quello cinese, tedesco e francese) verso la nuova terra promessa dell’Africa.

Ma questa ossessione africana da cosa nasce, per noi di Autoprove.it? Dalla semplice osservazione di alcuni “epifenomeni” che a partire dal mercato europeo compiono una ideale sponda con il continente africano o meglio con la prospettiva futuribile di un mercato in via di costruzione (1,3 miliardi di potenziali consumatori, 55 Stati dentro un’area di libero scambio prevista a regime per il 2035, data non casuale anche per il Vecchio Continente) che renderà l’Europa un sereno e simpatico ospizio caldo e temperato per i ricchi del mondo. Triste dirlo, ma è ridicolo negarlo e propagandare slogan, simbologie e tradizioni che agli occhi delle aree del mondo in pieno galoppo fanno solo sorridere. 

L’Europa Unita è un Condominio di periferia, gli Stati Membri dei coinquilini in rotta tra di loro, e l’Automotive europeo un vecchio Album di figurine buone per gli eventi commemorativi; non forzatemi a dare giudizi su quel dopolavoro di Bruxelles chiamato Commissione Europea, perché impegnerei Autoprove.it in una querelle giudiziaria, in un contesto in cui il 40% degli elettori comunitari già di per sé manifesta il suo disgusto verso le istituzioni disertando le urne. 

 

Bruxelles è colpevole della sua stessa inettitudine infedele nel programmare percorsi di evoluzione del settore Auto che hanno portato il mercato europeo a diventare periferico dentro un sistema industriale dove l’Unione a 27 ha perso milioni di pezzi prodotti all’anno anche se i numeri mondiali parlano di un vero e proprio raddoppio delle auto costruite da quando Maastricht è partita fino ad oggi. La colpa di tutto questo cimitero industriale è colpa dell’elettrico?

L’Auto europea è morta non per colpa dell’elettrico ma perché “era” europea

No. Le colpe sono quattro:

1) La bolla del credito Auto interrotta dal Crack Lehman del 2007 – prima che un default dei finanziamenti auto (con i famigerati ABS sottostanti in crescita esponenziale) portasse il mondo bancario ad un nuovo medioevo – che ha gonfiato volumi e rendimenti di un mercato auto dove la guerra stupida dei Brand in conflitto tra loro portava i listini a ridursi progressivamente nel mentre i valori di Remarketing contrattualmente obbligato dell’usato crescevano; dunque la colpa è di Eustace Wolfington?

No, è degli svampiti che hanno pensato bene di generalizzare il Valore Futuro Garantito del mercato auto in un sistema in cui Bruxelles – da un quarto di secolo – ha continuamente predefinito il bollino di scadenza sui cofani delle auto in vendita con gli “Steps antiemissione” progressivi. E dove è finito in maggioranza quell’usato con data di scadenza, da un quarto di secolo ad oggi? Ma in Africa, ovviamente;

2) La soggezione “germanocentrica” di Bruxelles assecondata da Governi nazionali o affini (Francia, Olanda, Austria, Belgio) o acquisiti (Stati dell’area ex U.R.S.S.) oppure passivi (Italia, Spagna, Portogallo) ha portato il mondo dell’auto comunitario ad avere come unici Stati contraltare quelli Scandinavi e la Gran Bretagna; per contro da inizio anni ’90 le politiche di evoluzione e sviluppo del settore Auto sono iniziate con l’apologia del simbolismo tecnologico e commerciale tedesco: Premium Brand, Qualità totale e piattaforme Turbodiesel sono diventate il mantra del manifesto dell’auto europea per eccellenza attraverso il quale l’auto “comunitaria” spazzava via la vera ricchezza del suo mercato auto (la biodiversità) per affrontare con una piattaforma schematica la concorrenza iconica di Stati Uniti e Giappone per la conquista dei nuovi mercati in Cina ed Est Europa. 

3) Curioso che, tanto per essere polemici, la Bruxelles dell’Antitrust non abbia mai eccepito verso il vero e proprio shopping che i Brand tedeschi – attraverso il “Marco forte” – hanno fatto guarda caso negli Stati a valuta debole (Spagna, Italia, Gran Bretagna) monopolizzando e cancellando quella “biodiversità” che aveva fatto la fortuna dell’automotive europeo in tutto il mondo: uno degli effetti collegati? Dal 1992 ad oggi l’Europa ha perso quasi una decina di Marchi storici, e quattro erano proprio tra Gran Bretagna (Rover, MG) ed Italia (Innocenti, De Tomaso, Autobianchi), ma non si contano i passaggi di proprietà di Brand verso i Gruppi tedeschi;

3) Proprio per promuovere una nuova linea Maginot di sopravvivenza dopo il Crack Lehman, l’Europa ha deciso – novella e mitologica Urano – di uccidere il proprio figlio “Turbodiesel” (con cui nessun Costruttore riusciva più a vincere sugli altri) per votarsi all’evangelizzazione elettrica. 

Tuttavia aver messo al rogo il Diesel, simbolo motoristico dell’Europa, senza costruire un declino non violento e guidato, ha danneggiato non poco l’industria ed il mercato Auto.

4) Così facendo, e dando risalto alla transizione elettrica, i Brand hanno sorprendentemente recuperato parte del loro scivolone nel fatturato dell’Aftermarket soprattutto dopo il Lockdown e la ridefinizione della Supply Chain Automotive organizzata a partire dalla Cina. Ma la soggezione degli OEM verso l’ascesa degli IAM è come detto la conseguenza dell’arzigogolo normativo creato intorno alle Block Excemption Rules di Montiana memoria e ad onore del vero oggi totalmente inutili, desuete e fuorvianti. 

Effetto negativo della parabola elettrica europea rimane tuttavia la svalutazione di tutto il comparto della componentistica e dell’aftermarket “classico” che ha avuto negli ultimi due anni un crollo non indifferente: valori dei Brand di componentistica, brevetti e Know How sono stati svalutati più dalla incertezza nel definire un futuro del motore endotermico che non nell’imporre una transizione elettrica molto farlocca.

I percorsi didascalici e i risultati di tutto questo sono noti, ma al centro della evangelizzazione di Bruxelles c’è ben poco di ecologico. 

C’è altro, e per poterlo elencare occorrerebbero coraggio, dignità e intelligenza: doti che di solito nei giornalisti di settore Auto il sottoscritto non ne ha riscontrate. 

Eppure, a rischio di essere preso di mira, Vi lancio io un decalogo di motivi molto “extra-ecologisti” che hanno promosso l’auto elettrica sul palcoscenico globale; e temo che tra il sentirsi fessi e il temere che si scopra il loro lato nascosto della medaglia, i primi a lanciare strali contro di me saranno diversi miei ex affini e conoscenti di Media ed Opinione che da tempo sono pubblicamente contrari alla evangelizzazione elettrica di Bruxelles ma che purtuttavia hanno finora dato corda ad un frontismo che è servito solo ed essenzialmente a prenderci un po’ tutti per il naso.

5)  2007: il “Green Bond” nasce un attimo prima del Crack Lehman per salvare la finanza

Era la fine degli anni Sessanta ed Eustace Wolfington lanciò il suo innovativo schema di accordo commerciale con i suoi Clienti; da allora in tutta l’America, e poi in Europa, il ciclo di sostituzione programmata a valore minimo predefinito è diventato maggioritario mettendo insieme tutti i contratti conclusi con finanziamento retail, Leasing e Noleggio. 

Tutto bene, tutto interessante anche di fronte agli insoluti, se il mercato fosse sempre cresciuto in volumi e margini. Cosa che negli USA ed in Europa ha cominciato a non essere più garantito soprattutto quando la concorrenza aperta con l’Asia, la Corea, il Giappone in termini di produzione auto si è sommata la frenata del sistema OEM su componentistica e manutenzione contro gli IAM favoriti dal modello “Monti” e dalla delocalizzazione produttiva nei Paesi a minor impatto di costi.

A questo punto il mercato è entrato in cavitazione: la guerra tecnologica continua tra Costruttori sulla innovazione di prodotto ha significato sempre meno ammortamento e superamento necessario dei B.E.P. utili alla marginalità; la fuga dei consumatori verso il mondo IAM nell’aftersales ha generato un buco nei risultati operativi del sistema postvendita, tamponato dalla loyalty obbligata dall’allungamento dei tempi di Garanzia ufficiale e dalla accelerazione nel ciclo di rinnovamento di Gamma; l’aumento dei costi produttivi e logistici è stato assorbito dall’incremento della erogazione di credito; questo circolo da virtuoso è tuttavia diventato vizioso quando la guerra tra Brand si è arrampicata sull’incremento dei piani di sconto sul listino, che ha trasferito sul contratto finanziario oltre l’80% del margine complessivo di vendita. 

Il giocattolo rotto ha innescato un processo a catena dove il nuovo dogma elettrico è servito soprattutto per placare il mercato e ridurre la guerra al ribasso dei listini ed insieme la competizione tecnologica; da questo si è innescato un sistema finanziario innovativo basato sul superamento dei vecchi asset sottostanti gli strumenti di investimento “classici”; i “Green Bond” che sono stati lanciati con il miglioramento climatico come asset e con il nuovo “oro” delle materie rare a fare da nuovo sottostante. Chi si ricorda un valore nominale di Litio, Cobalto, Manganese, Nichel e a seguire di rame/alluminio ed altri nel mercato Commodities di circa 15 anni fa

Oggi i Green Bond hanno raggiunto i 2,2 trilioni di USD di valore investito sui mercati in tutto il mondo; guarda caso l’Africa, uno dei Continenti con maggiore disponibilità di risorse legate alla elettromobilità partecipa al valore globale di Green Bond con una quota inferiore all’1%, pari cioè a 220 milioni di miliardi. Chi sarebbe così folle da affossare la corsa di un cavallo finanziario che in tutto il mondo ha raccolto in circa quindici anni 2,2 trilioni di USD? 

E se il problema è che l’Europa e l’Occidente non riusciranno ad assorbire volumi interessanti di immatricolazioni di elettriche entro il 2035, ci pensaranno India, Cina, Asia ed Africa (soprattutto l’Africa unita nell’area di libero scambio) a garantire i volumi necessari. Come ho detto, ormai questa Europa è un epifenomeno nel quale pochi investitori internazionali si attendono la continuità istituzionale. Nel frattempo l’Europa che interessa al flusso commerciale, cioè l’Europa dei transiti commerciali, è opportunamente sotto il controllo dei gruppi di controllo ed investimento privati e sempre meno soggetti al controllo “pubblico”.

Green Bond e Commodity ridisegnano la nuova finanza Auto con Blockchain e Crypto?

Con un ammontare di 11 bilioni di USD nel 2024, il settore mondiale degli ABS sta tornando a crescere anche e soprattutto nel mercato auto, con una forte espansione di Cina, Asia e Stati Uniti. 

Con la crescita degli Automotive ABS cresce tradizionalmente l’allerta del mondo finanziario sul rischio di eventuali default della qualità del credito, ma stavolta – rispetto a dieci anni fa – la quota di credito “junk” (cioè spazzatura) è decisamente più ridottoe nello stesso tempo il “titolo a garanzia” canonico – cioè il parco circolante oggetto del credito sospeso – ha smesso di svalutarsi a ritmi impressionanti, mostrando anzi una ripresa delle quotazioni medie e dei trasferimenti di proprietà. 

 

Autoprove è tra le poche piattaforme ad aver impacchettato alcuni articoli sul sistema ABS, cioè sullo schema con il quale per finanziarmi metto a garanzia di un debito mio – legato ad una dilazione di pagamento concessa ad un terzo – quello stesso impegno del debitore a saldare il conto con me: in parole povere l’ABS pone come garanzia sottostante ad un debito un altro debito…

Il primo ABS rivolto al mondo auto è di 45 anni fa e fu acceso dalla General Motors – GMAC negli Stati Uniti; nei primi anni 2000 gli Automotive ABS arrivarono anche in Europa e servirono in parte a finanziare lo sviluppo dei Brand sia nel Vecchio Continente che in Est Europa, ma ebbero una tale vampata socioeconomica (una espansione vertiginosa in nemmeno dieci anni) al punto da far pensare oggi che senza il Crack Lehman probabilmente il sistema sarebbe andato in rapido default. 

Le statistiche e le analisi finanziarie dei Credit Trend del settore Auto dal 2007 fino ad oggi hanno sollevato di nuovo l’allarme – in Europa – almeno due volte quando il volume di credito erogato si è incrociato con periodi negativi socioeconomici e di insolvenza; il problema nel mercato auto europeo è che l’equazione “Listini + auto di Brand originari+margini di Aftersales OEM+Valori di Remarketing” hanno all’altro termine il solo valore delle “Captive Bank” che riescono a coprire con i rendimenti e l’operatività dei piani Retail, Leasing e Noleggio le vendite e il Service Management solo nella nuova cornice in cui Listini, Valori di Remarketing e Brand originari sono le voci del primo termine in risalita, contro margini di Aftersales OEM che ancora soffrono della concorrenza IAM. 

 

Ovviamente Autoprove non si avventura in giudizi tecnici o di merito sullo strumento dell’ABS anche in chiave Green: ma è un dato di fatto che di questi 11 bilioni di ABS generali almeno 3,5 sono rappresentati dai “Green Auto ABS” cioè Asset Backed su leve di investimento finalizzate su obbiettivi ecologici ed ambientali e che la quota di Green ABS è destinata a crescere, seppure secondo criteri di controllo e sicurezza che in un mercato del tutto nuovo come l’Africa potrebbero attuarsi in forma integrata con l’avvio di altre prerogative tecnologiche necessarie per lo sviluppo del territorio.

Dunque, la possibilità che l’Africa possa finanziare “da zero” la sua crescita Automotive con una piattaforma di Green ABS e con altri strumenti – Debt for Nature Swap, Blue Bond, orange bond fino a prevedere con lo sviluppo del mercato auto BEV in Africa una intermediazione di carbon credits – basata su progetti ecologici.

Da non trascurare il peso crescente che il continente africano sta maturando anche sul mercato dei.

Ma soprattutto c’è da capire il vero rebus del futuro industriale e commerciale di un’area di libero scambio panafricana, soggetta a processi di unificazione e centralizzazione dei processi di scambio: quale sarà il ruolo ed il profilo dentro l’area di libero scambio di una presunta Cryptovaluta unitaria e di una dimensione blockchain di natura monetaria, energetica, industriale e commerciale?

Come un ritmo R&B : “..Back on The Block..Chain” in Africa?

Come detto, l’Africa è un poco come un cubetto di ghiaccio fatto rotolare giù da un pendio innevato: il discrimine è solo nella inclinazione del pendio, mentre le variabili in grado di influire sulla massa di neve che avvolgerà il cubetto a fine corsa sono il periodo (la condizione socioeconomica intorno all’Africa), il manto di neve (la situzione territoriale dell’Industry automobilistico in Africa e le sue previsioni di settore) e l’accelerazione gravitazionale che subirà il cubetto oltre alla traiettoria. Insomma, a guardare dall’esterno la prospettiva di sviluppo dell’automotive africano in volume e qualità tale da superarne la dimensione continentale – e farne un fenomeno in grado di riportare in equilibrio l’asse del mercato auto globale – ci si rende facilmente conto che la prima prerogativa è la flemma, che nel caso del continente africano non è mai mancata. All’orizzonte c’è un’area comune di libero scambio per 1,3 mld. di africani su 55 Stati; c’è la condizione favorevole di poter disegnare tutto un nuovo sistema economico che sia “nativo” dentro alla dimensione Web e Cloud, dentro la dimensione della Blockchain al punto da ipotizzare una valuta “Crypto” che – precisiamo – non è assolutamente un dato oggettivo ed espresso, sebbene le transazioni elettroniche e l’e-payment in Africa sia percentualmente diffuso nel valore di compravendite a livelli sconosciuti nei continenti sviluppati.

Blockchain che, come vedremo, ha la sua importanza sia sul controllo del carbon footprint sia sul livello delle relazioni verticali da Costruttore a Cliente finale. 

Cosa Vi richiama questo concetto? Esatto: che l’Africa potrebbe essere la prima dimensione automotive continentale a non doversi impelagare in conflitti legati alle Block Excemption Rules. Insomma, nascendo “Blockchain” le relazioni industriali e commerciali tra Costruttori OEM e Clienti finali potrebbero essere proficuamente essere estranee a restrizioni e provvedimenti di controllo come quelli che – ammettiamolo – hanno tagliato parecchio le gambe agli OEM europei.

Un mercato auto africano “vergine”, regolato dall’origine secondo le nuove dimensioni transazionali, e soprattutto organizzato alla luce delle esperienze passate e future del mercato europeo. E nel futuro del mercato europeo ci sono senza dubbio i ricambi rigenerati in ottica di carbon footprint.

 

Ricambi Rigenerati UE: la via per la decarbonizzazione passa per la manodopera africana?

Abbiamo visto già come, nella prossima Africa unita in una stessa area di libero scambio, esistono ed esisteranno per lungo tempo Stati (Soprattutto nel Centro Africa) con reddito medio e condizioni di sviluppo limitati rispetto ai livelli del Nord e del Sud del Continente: situazione socialmente negativa ma al contrario proficua per lo sviluppo industriale da parte delle Imprese estere o provenienti dagli Stati continentali confinanti.

 

Dall’altro lato il mondo Automotive alla ricerca di “Carbon Zero” riporta in auge una serie di “best practices” che se da un lato privilegiano il recupero e la rigenerazione, dall’altro ricostruiscono parzialmente il divario tra OEM e IAM che sul ricambio Aftermarket corrispondente hanno creato un vero “tesoretto” lungo quasi venti anni.

Stati come il Ghana, ad esempio, hanno avviato da tempo un’industria del recupero su elettrodomestici per poi virare su ricambi auto e macchinari industriali. Il panorama dei Costruttori europei passa per la costruzione di una catena di rigenerazione (strano che finora, anzi, la UE non abbia generalizzato il provvedimento francese di Segolene Royale sull’obbligo minimo del 4% di ricambi rigenerati nel volume di fatturato annuo dell’autoriparazione nazionale) in grado di recuperare le parti non usurate e riciclabili della componentistica auto. Il problema del “rigenerato” è di cinque ordini: disponibilità di un parco usato assortito e recuperabile, costo ridotto di manodopera e di struttura logistica, ed una disponibilità importante energetica e di materia prima. Su questi quattro fattori il continente africano è al Top, mentre manca ancora il quinto pilastro della formazione e del Know How, ma su questo basta davvero solo poco tempo ancora per portare la manodopera africana a livelli ottimali. Basta contare le iniziative locali, transnazionali e persino comunitarie (EEAS) per capire quanto l’Occidente e l’Europa stia investendo nella crescita culturale degli operai africani.

 

Insomma, per i vincoli europei che diventeranno più vincolanti a partire dalla adozione della nuova normativa “Euro VII” e per la tracciabilità e riduzione della “Carbon Footprint” l’Africa è davvero la terra promessa.

Ovviamente questo non trascura l’opportunità offerta da tutto il panorama socio-industriale africano di poter accogliere la progressiva e sempre più incisiva transumanza dei Costruttori di componentistica OEM verso il Continente.

2026, Carburanti alternativi ed Africa: dove la biodiversità è un tesoro inestimabile

Etanolo, Gas Naturale, Biogas, Idrogeno; ovviamente senza dimenticare la disponibilità delle fonti fossili, ma con una risorsa in più data dai programmi per le energie rigenerabili che possono ridurre l’impatto dei consumi necessari al processo di trasformazione ed erogazione.

L’Africa dunque, e su questo apriremo un capitolo a parte, sta portando avanti protocolli di intesa con Francia, Germania, Italia, Cina, e persino Giappone per sviluppare produzione e industrializzazione di alimentazioni alternative che tra meno di due anni saranno l’ago della bilancia per una possibile revisione da parte UE del termine del 2035 sulla fine delle alimentazioni endotermiche.

Logistica: il “Chilometro Zero” è quello a guida autonoma?

 L’Africa, aggiungerei, è il continente dove i “Big” della logistica e del Delivery innovativo stanno sperimentando soluzioni di efficientamento e di riorganizzazione della fase di movimentazione della Supply Chain, in una dimensione particolarmente “allenante” per i protocolli informatici e telematici legati ai vettori intermodali ed ai veicoli e droni a guida da remoto ed autonoma.

Infatti il territorio africano – come diverse aree di Australia, Nuova Zelanda, Asia e perimetro caucasico – consente la migliore espressione della potenzialità della guida autonoma; per contro la tensione sociopolitica ricorrente impegna i Player della logistica a programmare e collaudare piattaforme sempre più sicure.

E in tutto questo l’auto elettrica africana?

Abbiamo cominciato, noi di Autoprove, questo speciale a puntare sull’Africa dell’Automotive ipotizzando una evoluzione potenziale della questione “Superdazi” alla Cina verso una prospettiva che si focalizzerebbe pefettamente sul continente a Sud dell’Europa: la via cinese verso l’aggiramento dei Dazi sulle BEV suscettibili di contributi pubblici statali era sembrata – ed ancora appare – la quadratura del cerchio ideale tra dismissione di impianti da parte dei brand UE, esigenza di ripopolazione industriale da parte di Bruxelles, ed un provvidenziale reindirizzamento di linee di produzione di BEV popolari dalla Cina verso uno dei mercati (l’Europa) dove il contesto industriale di contorno (supply, logistica, etc..) consente un avvio di produzione probabilmente più vantaggioso e celere di quanto comporterebbe la costruzione di impianti dedicati in Africa del Nord o del Sud (attualmente i mercati più promettenti per l’Automotive di quel continente), motivo per il quale questo motiverebbe anche una scelta logistica “pro tempore” che salverebbe – secondo le ipotesi che lancio da questo speciali – l’emissione di multe milionarie per superamento dei limiti di CO2.

Castelletto perfetto, dal lato industriale ed induttivo, se non fosse per una incognita: che strada dovrebbero prendere le innumerevoli autoimmatricolazioni che sarebbero necessari per ridurre il quoziente di emissioni nel 2025, e che dunque sarebbero vendute come auto usate? 

Semplice, secondo noi: la via dell’Africa e del Medio Oriente proprio dall’Africa (secondo un percorso inverso rispetto a quello che fanno milioni di componenti usate che dal Medio Oriente provengono proprio in Africa); e per dimostrare che questo transito corrisponde ad una ennesima quadratura del cerchio ci soffermeremo su due prerogative che accentuano il vantaggio potenziale: Blockchain e accordo di Trading tra UE e Africa.

Alla prossima (Fine quinta Puntata)

Riccardo Bellumori

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