BEV & Breakfast: l’Europa dell’Auto va in vacanza per sempre?

Luigino non ne poteva più: a undici anni accompagnava nonno Olimpio lungo interminabili passeggiate per i Viali della città, e per ogni auto incrociata l’anziano appassionato gli chiedeva: “E questa che modello è?” E Luigino, ancora più appassionato di quattro ruote e decisamente paziente, rispondeva: “Nonno, questa è una Fiat, questa è una Renault, questa è una BMW…..”. Immancabile la risposta di Olimpio: “Eh, ma sono diventate tutte uguali!” E così per ore ed ore.

Finche’ un giorno Luigino ebbe una illuminazione: alla prima richiesta incuriosita del nonno esclamò “Pensa, questa è di Tavares”, e poi “Questa è di De Meo, quest’altra è della Signora Mary Barra, questa è di Oliver Zipse, questa è di Elon Musk” e così via.

Luigino aveva scoperto che nonno Olimpio, dal Barbiere, aveva il vezzo di sfogliare giornali e Riviste; e che la stampa, ormai da mesi, anziché riportare foto e servizi di auto si ripeteva nel resoconto e nella esposizione redazionale e fotografica delle continue esternazioni dei Leader dei diversi Marchi e Gruppi Auto. Così. Dunque, associare l’auto di passaggio al CEO o Leader di riferimento aiutava subito il vecchio ad orientarsi nel ricordo.

Ed in effetti, vista dal lato della “Spending review” del settore auto, questa condizione del tutto nuova ha i suoi notevoli benefici. Di solito il periodo tra fine Settembre e inizio Novembre era un palcoscenico televisivo di continue pubblicità di offerte di auto. Visti i tempi, risparmiare sugli Spot avendo – come diceva Enzo Ferrari – esposizione continuata “gratis” nelle pagine dei rotocalchi non è un vantaggio da poco.

Manca poco che si arrivi sui Social Media alla “DissingStrategy” ovvero alla polemica ed al confronto diretto e combattuto tra Manager di Marchi concorrenti, ma di già ad esempio il “Dissing” reale tra esponenti governativi italiani e Stellantis ha generato un piccolo filone speculativo di cui si parla spesso tra le persone.

E quindi pagine cartacee ma anche “virtuali” di Internet pubblicano ormai ogni giorno esternazioni, giudizi, decisioni e soprattutto dichiarazioni di allarme dei tanti “CEO” e Dirigenti di Marchi Auto, con una frequenza ed esposizione che supera persino l’aspetto comunicativo delle caratteristiche e delle presentazioni dei modelli di auto in commercio o di prossima uscita. Quasi come se in un periodo di ristrettezza industriale in tema di produzione e vendita si dovessero coprire i buchi di palinsesto pubblicitario con la voce diretta dei veri e propri “guru” dell’Automotive. 

L’auto, una questione di “gossip”? Gli uomini più visibili della Gamma

Il che rappresenta comunque un fattore pubblicitario indiretto: dieci interviste ad un CEO di un particolare Brand sono comunque dieci Spot gratuiti che rimangono nella testa dei consumatori, grazie anche all’effetto ridondante dei Social a costo quasi zero.

Oddio, i soliti malfidati continuano a pensare che le Riviste ed i giornali che pubblicano notizie lo fanno, relativamente ai Costruttori Auto, ricevendo belle mazzette. 

Potremmo parlarne, ma di solito cose del genere vengono fatte ormai ad arte, dai “Media” che contano: difficile reperire ancora, nella cassetta delle lettere di un anchor man o di un cronista influente, le chiavi dell’auto nuova affidata in comodato per il test…a vita…La iper esposizione dei Manager Case Auto sui Media, invece, come detto sopra ha anche i suoi risvolti economici positivi: 30 secondi di Spot TV si pagano, 30 secondi ripetuti sui TG di ogni canale diventano un bel corredo pubblicitario gratuito, e soprattutto in un momento di “calma piatta” commerciale, questo è importante. Pensiamoci, quando critichiamo i maxi stipendi dei Manager Auto……

In verità il “filone” polemista fa il paio con le teorie complottiste sul mondo elettrico, con le litanie contro la schiavitù del petrolio, con le diatribe mondialiste tra Europa, USA e Cina.

Per farla breve, a quanto pare nel settore auto comincia a tirare di più il “gossip” che non il prodotto vero e proprio: motivo per il quale Luigino aveva capito che l’unico modo per far riconoscere al nonno auto che gli sembravano tutte uguali, era quello di identificarle secondo il “Capobranco” manageriale di turno.

Che poi le auto attuali sembrassero uguali solo al nonno di Luigino è una metafora che vogliamo spendere anche noidentro a questo testo solo per motivi di captatiobenevolentiae verso i Costruttori che ovviamente non vogliamo far arrabbiare, ci mancherebbe. Ma in cuor nostro ci sembra davvero incredibile che i SUV attuali siano marchiati con i loghi la cui storia è stata contrassegnata dalla mano divina di Designer e modellisti il cui elenco – nel corso di almeno settanta anni di auto di massa – finirebbe per riempire le pagine di un elenco telefonico: anni fa si andava di matita, colori su fogli e modelli in 3D di Clay, polistirolo, resina e legno di balsa e gli Staff di Disegnatori e creativi erano composti da decine di talenti che si spartivano il compito – pezzo per pezzo o settore per settore – di costruire le linee di corpi vettura e componenti specifiche. 

Così facendo tuttavia siamo arrivati ad avere in Europa, fino a vent’anni fa, un assortimento di centinaia di modelli diversi tra loro per forma, misure, motorizzazioni, versioni, allestimenti, destinazione di uso. Che differenza con il “monoprodotto multiuso” che ci accompagna in questo momento di mercato che, sia chiaro, per l’Europa e l’Occidente non tornerà più alle panoramiche del passato migliore. 

Il ruolo e l’obbiettivo di “questo” mercato è in primo luogo quello di “rieducare” le abitudini, le esigenze e le aspettative dell’utilizzo di auto. E sottolineo ancora una volta la parola “consumo” e non “acquisto” dell’auto. 

“Potete scegliere qualunque auto, purchè sia un SUV e magari Hybrid”

Chi l’ha detto che siamo nell’economia post-fordista? Il paradigma di Sir Henry Ford è ancora tutto là, nei listini dei Marchi Auto proposti da Costruttori che solo fino a 15 anni fa presentavano, secondo rapporti proporzionali determinati, ben sei diverse architetture o linee motoristiche (Motore a benzina/Gas 4 Tempi, Diesel, Wankel a benzina, BEV, Hybrid) ed una moltitudine di caratterizzazioni fisiche del veicolo (Monovolume; Due/Due e Mezzo/Tre Volumi; Station Wagon, SUV; Fuoristrada puro; Spider/Cabrio, Coupè, Berlinetta/Roadster) che nel confronto con oggi paiono rappresentare un mondo parallelo e lontano. Perché oggi, a cercare od acquistare un mezzo che sia diverso dal pacchetto “SUV+Hybrid”, rischiate di girare in lungo ed in largo non solo il Web ma anche la Penisola. Chiaro che alla base di tutto questo c’è la tensione al risparmio: piattaforme condivise all’estremo, persino componentistica il più possibile comune, architetture e strutture fisiche del prodotto il più possibile convenzionali e ripetute per limitare gli immancabili difetti delle novità di produzione, e soprattutto una predominanza merceologica che privilegia il “Family feeling” di Gamma con l’effetto “scalare”: in pratica una unica forma volumetrica, il SUV, dimensionato in scala (dal modello più piccolo a quello più grande) affinchè l’impronta di stile renda tutta la stirpe commerciale immediatamente riconducibile al Brand. 

Per non parlare delle architetture motoristiche: anche solo fino a 10 anni fa una gamma “media” commerciale di un Marchio comprendeva una estensione motoristica estrema (Benzina, Diesel, Gas, e per alcuni anche già Hybrid e BEV) aspirata o turbocompressa, da 2/3 fino anche a sei cilindri, e con cilindrate comprese in una fascia vicina al litro di cubatura per toccare a volte i 3.000 cc. 

Fate un po’ il confronto con l’offerta attuale: oggi sul 40% di Gamma di un Brand generalista Vi capita inesorabilmente un motore tra i 1000 ed i 1600 cc. aspirato, 3 o quattro cilindri; ma se vuoi esagerare c’è il Turbo, se vuoi ecologizzare c’è l’Ibrido, e se vuoi risparmiare vai a GPL. Sempre tutto sulla base dei suddetti motori. 

Per cui, più piattaforme condivise e più motori unitari per tutti. Il resto è preistoria, compreso il Marketing.

L’Automobile occidentale, l’ultima vera Comunista?

La proprietà privata di massa: il baluardo del mercato Auto dal Dopoguerra, il meccanismo che ha fatto crescere le immatricolazioni ed i consumi sull’onda del cosiddetto benessere economico partito negli anni Cinquanta dall’America; l’auto come status e come strumento di mobilità individuale ha fatto il resto, con il Marketing che prima ha moltiplicato l’espressione di Gamma commerciale con sempre più versioni, carrozzerie ed allestimenti per acquisire un pubblico sempre più vasto. Lo stesso Marketing che, dagli anni Sessanta, ci ha convinto attraverso la moltiplicazione di modelli e tipologie di prodotto a spendere sempre di più. A parte poche eccezioni (ne ricordo una in Italia con la Ford di Massimo Ghenzer che inventò il prezzo unico per diverse versioni di modelli di Gamma di metà anni Ottanta), tutti noi ci siamo fatti andar bene che fosse giusto pagare un “X” per una specifica auto 1400 cc, quattro cilindri e cinque porte. 

La stessa 5 porte, identico allestimento, che con 200 cc di incremento sul medesimo motore ci dava un chissà quale senso di giustizia nel pagarla 500 Euro in più, mentre nella fase industriale questa differenza consiste da sempre in una manciata di Euro di maggior costo di catena di montaggio. E così, in una guerra di concorrenza che sul Diesel ha visto la sua ossessione suicida, si erano consumate le differenziazioni di Gamma inutili che cominciarono a crollare dopo la crisi dei mutui Subprime, per accelerare dopo DieselGate, pandemia e crisi dei Microchips. Da una pioggia di modelli e versioni e volumi di vendita elevati con lo strumento dello sconto ad oltranza siamo passati ad un mercato di Km Zero, poche e costosissime. Qui in Occidente, sia chiaro.

Prendete un listino di quindici anni fa di un qualunque Costruttore generalista e confrontatelo con quello attuale. Sembra reduce da una guerra nucleare, eppure in questo contesto i diversi Brand hanno persino aumentato i prezzi medi. 

L’effetto “Commodity” ha preso il sopravvento, e le auto sono sempre meno testimoni di status e sempre più mezzi di uso necessario. L’offerta di Gamma si è a tal punto scremata e diretta che sembra quasi inutile il concetto di “personalizzazione” e differenziazione. L’acquisto si fa con occhio puntato quasi unicamente sulle ragioni funzionali pratiche, l’aumento delle cubature e delle dimensioni sta privilegiando la diffusione dei due volumi SUV su gamma “ordinata” volumetrica (in pratica i diversi modelli di uno stesso Brand sembrano disegnati con il parallelogramma, essendo praticamente la riduzione o moltiplicazione scalare l’uno dell’altro); le motorizzazioni si sono ridotte, per diversi Brand, del 60% rispetto all’offerta di Gamma di solo dieci anni fa. 

L’effetto voluto è quello di contenimento dei costi produttivi, ovvio; in secondo luogo la prospettiva di facilitare le sinergie tra Gruppi e Brand diversi; la terza via però è solo commerciale: i Costruttori puntano definitivamente all’intermediazione telematica e da remoto per le loro vendite. E il superamento del negozio fisico passa per la “razionalizzazione” e semplificazione di Gamma. Con un unico grande obbiettivo all’orizzonte: il Gruppo collettivo di acquisto, che porterà un numero importante di potenziali Clienti, mediante relazioni di tipo Blockchain, a dialogare direttamente ed in blocco con il Costruttore per l’acquisto di lotti di auto specifiche.

L’auto? La compro in Comitiva. E se non posso, vado in Sharing

Quando il settore Auto ha vissuto il primo grande Shock pandemico post Lehman Brothers, il Web pareva essere la panacea di tutti i mali: curava i calli, conciliava il sonno, era delicato su lana e colori e soprattutto non si attaccava al lavoro del tuo dentista. Fatto sta che la prima applicazione del mondo telematico ed internettiano si è tentata nel versante che soprattutto in Europa era rimasto il più anacronistico, cioè la Distribuzione commerciale. Con tutto ciò il problema non era quello di profilare all’uso di Internet le risorse umane forse meno preparate al mondo (Dealers e venditori) ma più che altro di sostituire al rapporto umano la “freddezza” di piattaforme Web dentro un mercato diversificato ed eterogeneo tra modelli, allestimenti, Marchi e condizioni commerciali. Un attimo prima che il Web rendesse fruibili da remoto i sistemi di acquisto (e noleggio) con ciclo di sostituzione programmata, la crisi Subprimeaveva spazzato via in un colpo solo sia i finanziamenti, sia il modello retail occidentale che si voleva a tutti i costi imprimere in Cina ed Asia, sia soprattutto le soluzioni piuttosto improbabili che avrebbero permesso ai Costruttori di raggiungere i confini più estremi del mondo. 

Una di queste soluzioni improbabili era l’agognato “Gruppo di Acquisto”: dieci anni fa, tra autoimmatricolazioni, gamma commerciale chilometrica ed accenni residuali di guerra di listini al ribasso, questo strumento rimase un sogno nel cassetto. Ma oggi, provvidenziale, il “Gruppo di Acquisto” pare proprio essere l’incrocio ideale per diversi target ed esigenze commerciali:

– Per i Clienti “BEV Premium” e per i Clienti Fleet il Gruppo di Acquisto faciliterà l’acquisto di servizi aggregati oltre alla specifica auto (servizi di ricarica, gestione da remoto, pacchetti assicurativi, mobilità intermodale ed Energy Sharing);

– Per i Clienti “Medium” il Gruppo di Acquisto servirà ai Costruttori per razionalizzare, scandire e programmare fin dal momento della produzione industriale la vendita collettiva del prodotto sempre più incombente nelle Gamme Auto di quasi tutti i Costruttori generalisti: SUV, taglia media, accessoriato secondo protocollo immodificabile, due o tre linee di colore esterno, e soprattutto in molti casi “monomotore” – Ibridato – tra i 1.000 ed i 1.600 cc. a benzina;

– Per i Clienti “Basic” (cioè quelli che con gli aumenti di listino e le incertezze sociali finiranno per non potersi permettere un’auto, o meglio di poter scegliere un’auto) il Gruppo di Acquisto da un lato ottimizzerà l’offerta di BEV popolari costruite su licenza a partire da modelli cinesi, dall’altro surrogherà le piattaforme di aggiudicazione Usato “all’ingrosso” finora in essere tra Flotte e Costruttori verso il canale Retail.

E per chi proprio non ha alternative, Sharing e micromobilitàappariranno come un’ancora di salvataggio.

Un effetto di questo, inesorabilmente, sarà l’aumento dei rapporti di Sharing e Noleggio e, presumibilmente, del Pooling e della multiproprietà. La proprietà collettiva dei mezzi di trasporto individuale sarà la nuova prossima dottrina dell’Automotive occidentale del prossimo futuro, e la proprietà effettiva dell’auto sarà prevalentemente di Trust imprenditoriali costruiti mettendo insieme Costruttori, Società finanziarie, Internet Provider e Reti di Aftersales. Ovviamente, se questa prospettiva “Tecno-comunista” è ancora molto oniriica e si spalma sul fronte distribuzione commerciale, il Web e i protocolli informatici e telematici di rapporto e programmazione sono praticamente realtà sul versante “Blockchain”.

Colpo di spugna sui “Trust”: diventano “Blockchain” e la “BER” va in pensione?

Cosa è la “concorrenza”? E’ il sale, la vita del mercato moderno ed aperto a tutti;

Cos’è un accordo verticale, rispetto ad un “Trust”? E’ un sistema “Top/Down” nel quale le relazioni commerciali e di rapporto sono solo tra soggetti autorizzati preventivamente in una dimensione ristretta e proprietaria, suscettibile di condotte commerciali dominanti;

Cos’è un “Trust” rispetto alla concorrenza? E’ la estremizzazione dell’Accordo verticale;

Cos’è la “Blockchain”? In lessico è un Registro condiviso ed immutabile che garantisce registrazione e veridicità dei processi di transazione, relazione e monitoraggio dentro una rete aziendale. Nel complesso è una dimensione relazionale e programmatica nella quale solo i soggetti autorizzati a comunicare, partecipare in interazione per costruire e migliorare costantemente la base di dati e di azioni tese a formare un processo ottimale con riferimento ad obbiettivi industriali e produttivi. Lo abbiamo descritto in modo più sintetico possibile, ma se tutto quanto sopra, nelle risposte, ha un senso compiuto, a perdere ogni senso è quella che ormai sta diventando una buffonata Istituzionale: la pista normativa della “BER” (Block Excemption Rules) europea.

Oggi, più che mai, il dramma da sventare è l’incombenza del mondo IAM nei rapporti commerciali di Aftersales tra Costruttori e Clienti, altro che garantire il paradigma della concorrenza. E, si badi bene, la formula europea per definire e regolare i rapporti tra OEM e IAM è qualcosa che non somiglia per niente a modelli di regolazione di Continenti diversi e che, a ben vedere dal numero di controversie accese dopo oltre vent’anni di normativa, fa acqua da tutte le parti.

L’Unione Europea, a partire dal famoso protocollo Monti del 2002, si è fatta male da sola dimostrando la solita capacità bipolare dei legislatori di Bruxelles : da un lato “proteggendo” in modo parossistico la concorrenza tra OEM e IAM sul versante “aftersales fisico” (Assistenza e Distribuzione Ricambi); contemporaneamente ammetteva tuttavia sistemi di finanziamento “all inclusive” dal lato Service Management dove i pacchetti Officina erano basati irreversibilmente sul prodotto originale; contemporaneamente l’Antitrust perseguiva periodicamente i sistemi finanziari Captive e la scarsa disponibilita’deiCostruttori a rilasciare informazioni ed accesso libero ai Dati; senza tuttavia aver mai regolamentato in forma concreta e completa l’aspetto (appunto) dell’aspetto virtuale ed immateriale del Service Management. 

Tutto questa architettura di controlli, regolazioni e sanzioni lascia tuttavia il tempo che trova: Bruxelles è fanalino di coda rispetto alla stessa Gran Bretagna post Brexit sulle regole di buona pratica in tema di Aftermarket digitale, di controllo da remoto e da virtualizzazione dei processi di autoriparazione. 

E su tutto questo è del tutto intangibile la prospettiva elettrica con i relativi criteri di processo, relazione e controllo: insomma, la “BER” attualmente agli atti tocca solo di sponda la rivoluzione “BEV”, e non è solo una nostra opinione: c’è da inquadrare tutto l’aspetto dei protocolli proprietari da divulgare agli IAM, la questione di proprietà intellettuale su Software e codici sorgente di cui le auto elettriche sono zeppe, e così via…. Ecco perché in modo salomonico la Commissione ha messo insieme due decisioni a loro volta antitetiche: la messa in pratica nel 2025 del nuovo Stepantiemissioni “Euro VII” – diventato nel frattempo un protocollo comportamentale continuativo in seno a CarMakers, OEM/OES e persino IAM – che per la prima volta coinvolge il mondo della componentistica su processi di abbattimento della CO2 e di monitoraggio permanente del comportamento su strada delle parti auto; e il rinvio al 2028 per l’avvio della “New BER”. In parole povere, è un po’ come se un Comune consentisse a delle attività commerciali del tutto nuove di aprire bottega e poi decidesse di varare un Regolamento comunale di inquadramento e monitoraggio delle stesse…..E così, per puro caso, i Costruttori europei da qui al 2028, e in ossequio proprio alle nuove regole della “Euro VII” potranno costruire ciascuno le proprie reti di tipo Blockchain dove, come in una sorta di “Club Privee’” aggirare le norme contro gli accordi verticali ed interagire con chi vogliono, in barba a qualunque tipo di confronto dimensionale OEM vs. IAM…

L’Automobilista, da “Privato con l’auto” a “privato DELL’Auto”

C’era una volta l’automobilista “privato”, quello che era al centro delle attenzioni commerciali dei Costruttori europei: componente individuale di un esercito di potenziali acquirenti che in meno di trenta anni dal Dopoguerra aveva già superato la soglia dei cento milioni di persone alla guida di un’auto nel Vecchio Continente esteso. Un fiume di auto che davano vita ad un mare di servizi postvendita e di posti di lavoro, perché da decenni l’Auto classica è stata e rimane un ammortizzatore sociale virtuoso con opportunità di occupazione e ricambio generazionale.

La proprietà individuale, unita alla maggiore disponibilità economica, faceva perno anche su valori simbolici, emotivi ed irrazionali, che qualificavano anche l’immagine e la suggestione di alcuni Brand sugli altri: su questa base, stuzzicata sapientemente dal Marketing, è nata una segmentazione di mercato ed un assortimento di Gamma straordinari che ha avuto le sue punte più evidenti nella seconda metà degli anni Ottanta e tra il 2004 ed il 2010. 

Il problema è che l’abbuffata commerciale delle Case Auto degli anni ’80, che nel decennio successivo si è riassorbita con l’avvio di nuova domanda proveniente da Est Europa e dall’Asia, sta oggi vivendo una crisi che non è da indigestione ma da avvelenamento: quello da iperfinanziamento. Sono bastati solo 15 anni per gonfiare la “nuvola” di credito prodotto e pendente nei rapporti commerciali tra Captive Bank e Clienti di auto; sarebbe potuta deflagrare in un attimo, prima del 2010, una bolla ed un “default” in Occidente se e solo se i Costruttori si fossero azzardati a finanziare la crescita del mercato cinese con la stessa facilità di erogazione che tra la fine degli anni Novanta e fino al 2008 si è registrata in Europa.

Valore Futuro Garantito: dalla “Tromba di Eustace” all’ “Eustace trombato?”

Eustace Wolfington: no, non è un personaggio dei fumetti. E’ più l’ispiratore involontario di un film Horror, quello dei finanziamenti auto con Rata finale ovvero dei piani di sostituzione programmata; un espediente che inserito in un contesto americano dove il programma di acquisti rateale, il protezionismo politico e governativo nei confronti della concorrenza estera, e soprattutto la rigorosità tipica del consumatore USA in termini di fedeltà e di rispetto di regole e scadenze aveva portato negli anni Cinquanta e sessanta il buon Eustace a garantire a sé stesso ed alla Rete di Dealer associati un ritorno costante di clientela a date prefissate. Da qui alla espansione in Europa, dalla fine degli anni Novanta, di un panorama ciclopico di finanziamenti auto sostenuti dalla espansione monetaria del nuovo Euro il passo è stato breve.

 

E fu lo tsunami finanziario del 2007 e le conseguenze dal 2009, anno dopo il quale l’ipotesi di una nuova fase di “credito facile” in Europa è da rimandare perlomeno di venti anni, cioè dopo che le economie in pieno slancio di Cina, Asia, India ed Africa avranno immatricolato perlomeno un quasi miliardo di nuove auto in movimento sulle loro strade. E per “noi” poveri europei? Ci attende un articolato di nuova finanza, nella quale l’elemento collettivo di garanzia e l’aspetto della condivisione del rischio saranno prevalenti. Insomma, meno credito e più compartecipazione al rischio in Europa, per non dover ripetere scenari di guerra.

E i “Brand” del passato ? Senza tutela, Bye Bye storia dell’auto europea

Qui da noi, in Occidente, se i “Brand” ancora in vita faticano persino a trovare risorse finanziarie e logistiche per dare continuità alla produzione ed alle strategie, è un continuo stillicidio di piccoli e grandi storie legate ai Marchi cosidetti“storici”. 

Che siano inutilizzati e nella “pancia” dei Gruppi e dei Marchi Costruttori (il caso di Innocenti ed Autobianchi sono didascalici, ma soprattutto sono quelli più evidenziati sulla soglia mediatica), che siano purtroppo oggetto di procedure di Asta o siano in perenne vendita, i Marchi Storici passati da una parte all’altra del Continente sono davvero tanti, e la maggior parte è stata acquisita da soggetti cinesi che, in alcuni casi, hanno persino avviato tentativi di rimessa in produzione dagli effetti altalenanti.

 

Il fatto che l’Automotive europeo si trovi di nuovo di fronte ad un futuro di crisi e di prospettive drammatiche dovrebbe in primo luogo spingere Unione Europea e Stati nazionali a perseguire una via normativa e finanziaria di tutela “in extremis” al fine di impedire l’esodo forzato da dieci anni a questa parte di patrimoni storici dei quali, una volta che avremo perso del tutto contatto, non faremo altro che rimpiangere il ricordo.

Riccardo Bellumori.

 

 

 

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