Quanto si può andare forti, in motocicletta, correndo controvento?
Virginio Ferrari in questa modalità ci ha svolto una delle storie più leggendarie e cariche di umanità e carattere che la storia del Motomondiale Velocità ha potuto raccontare, e che continua ad essere rievocata con il giusto accompagnamento di rispetto ed ammirazione per questo nostro Campione tricolore davvero unico.
Questo articolo, in fondo, come altri che ho organizzato per i Campioni della mia adolescenza, è anche un tributo di ringraziamento per i Weekend di spettacolo ed avventura che grazie a loro ho potuto vivere davanti alla TV, o qualche volta da una tribuna in Pista.
Più che dei Post queste sono anche lettere ad amici a cui devo fare le mie scuse: Oscar, Virginio, Franco, ed altri eroi della Velocità su due ruote.
La ribalta televisiva e la politica commerciale dei giganti giapponesi avevano messo al centro del palcoscenico i piloti Cow Boys, quelli guidati da Baker, Hennen e soprattutto Roberts.
Anni dopo vorrei dire, da semplice tifoso, che l’America –invece – era davvero qui da noi.
La scuola motociclistica italiana si era imposta in Europa fin dagli anni Sessanta come la più talentuosa e tecnica, superando anno dopo anno inglesi, tedeschi ed olandesi e tenendo a bada le giovani rivelazioni che venivano, all’epoca, dall’ Australia, da Sudafrica e Zimbabwe o a volte dagli Stati Uniti.
E però prima la Stampa, poi la TV e la pubblicità globale dei Costruttori giapponesi avevano “importato” il fenomeno Yankee: che, per carità, era rappresentato da piloti di rango,ma che vedeva soprattutto nella pattuglia tricolore la compagine più agguerrita pronta a fare muro. Purtroppo, proprio il battage mediatico ha distratto i giovani novizi come me catalizzando l’attenzione su Kenny, Randy, Freddie, Eddie.
E non si fatica a capire il motivo, visto che l’America offriva una prospettiva di decine di milioni di potenziali Clienti per le quattro sorelle orientali.
Il fenomeno Yankee, il “mobbing” anti italiano
Per fortuna, crescendo, ho potuto rileggere quegli anni secondo il giusto metro di giudizio: per questo il poker d’assi che tengo nel cuore ha un solo nome a stelle e strisce: RandyMamola; gli altri sono un quasi sconosciuto Rob Mc Elnea, Willy Hartog, e in testa ci solo loro, i miei preferiti: Oscar La Ferla, Pierluigi Conforti, e Virginio. Cioè Ferrari.
All’epoca (parlo della fine degli anni Settanta) questo elenco sovrapponeva la “vecchia guardia” ed i “senatori” a confrontarsi con la nuova generazione.
E tra loro un nome improvvisamente fece un vero e proprio “boom”, Virginio Ferrari: un ragazzo serio, leale, di carattere, caparbio e orgogliosamente controvento.
Come tutti gli individui che oltre a fare molto bene quello che fanno possiedono la dote rara di saper mettere nella giusta scaletta valori, obbiettivi, principi inderogabili e alla fine i sogni. E che a costo di essere “boicottati” mantiene fede a principi e valori di vita.
E con una sorta di vezzo, secondo me, figlio della sua straordinaria personalità antagonista: quella di non prestarsi all’appariscenza mediatica che in tutti gli Sport cominciava a premiare, dagli anni Ottanta, più i saltimbanchi che i Campioni di spessore.
Virginio, quasi coetaneo con Lucchinelli e Uncini, appartiene alla nuova sponda generazionale tenuta a non far rimpiangere Giacomo Agostini accanto a quella terra di mezzo di veri Campioni che come Walter Villa, Mandracci, Toracca ed altri stavano comunque prendendo la via del fine carriera.
Ma se scandagliate le foto in Rete dei Campioni del tempo, la maggioranza rappresenta molti centauri quasi tutti avvolti dal fumo di sigaretta o in stile “scapigliato”: pochi, come Virginio, li trovati ritratti piegati in tuta e casco a guardare ed ascoltare da vicino la moto; di foto “mondane” pochissime, di immagini con sigarette, birra o altro nemmeno a parlarne.
Roba diabolica per uno come lui, salutista e fissato con la forma fisica al 110%. Leale ed integerrimo con il suo fisico ed i suoi principi, lealissimo in Pista e nei giudizi verso i suoi avversari. Alla peggio taceva, il che lo faceva così diverso da tanti suoi colleghi facilmente pettegoli.
Pellegrino lui, Virginio, come il suo Paese d’origine. E di Team ne ha girati davvero tanti, e di moto altrettante.
Ducati, Laverda, Paton, Suzuki, Yamaha, Cagiva, Bimota, Honda 250: un assortimento completo dovuto anche alle contrapposizioni ed ai litigi che a volte avvenivano tra lui ed il Management delle Squadre. Sorvolo su alcune vicende divenute oggetto di eccessivo “Gossip” persino all’epoca. Virginio ha superato anche quello.
Scende in Pista al debutto a quasi vent’anni e diventa Campione del Mondo per la prima ed ultima volta a 35; nel mezzo una carriera unica e combattuta in Pista e fuori, ma in un caso combattuta anche tra la vita e la morte, dopo il volo drammatico di Le Mans 1979.
In quella occasione stava combattendo praticamente solo per l’orgoglio, dopo che le strategie suicide della Suzuki plagiata sulla figura divinizzata di Barry Sheene portarono il Marchio a regalare a Roberts ed alla Yamaha un Titolo che fino a tre Quarti di Stagione era miracolosamente in mano a Virginio.
La sua prima Gara è con le “derivate di Serie” a Vallelunga. Forse fa appena in tempo a conoscere il “Re di Vallelunga” della Categoria, cioè Tommaso Piccirilli, e in effetti a Tommaso Virginio assomiglia con quella espressione sempre seria e guardinga e la chioma nera.
Purtroppo Tommaso finisce in tragedia pochi mesi dopo Vallelunga 1973, ma Virginio continua con la sua Ducati 450 “mono” (molto diffusa nella Categoria fino a mezzo litro) finchè non arriva la chiamata di Franco Farnè per guidare la “860” mentre il ragazzo già ha fatto le sue prime uscite in Classe 500 mondiale con la Paton 4 Tempi debuttando al Gran Premio delle Nazioni; con risultati inesistenti ma per i limiti della moto e non certo per i suoi, nonostante il telaio made in Tamburini ed il motore preparato dalle mani magiche di Peppino.
Ma le soddisfazioni arrivano con la “860” : in coppia con Benjamin Grau Virginio vince la 1000 Km del Mugello 1975, la “1000 Km” di Misano del 1976 con Perugini ed è secondo alla “1000 Km” di Le Mans dimostrando velocità e tenuta fisica eccezionali.
Nel 1976 Ferrari fa sul serio anche nel Motomondiale, perché salito su una Suzuki RG conclude sul Podio al Gran Premio d’Italia al Mugello dietro Sheene e Read, ma il miracolo è al Nurburgring di quella Stagione: Virginio parte in Pole e segna il nuovo Record della Pista !!!
Lui, quasi un novizio in una Stagione dove inizia la kermesse USA e dove tuttavia il mattatore è Sheene, dichiara molto candidamente di essere stato indotto ad imparare ad andare alla perfezione nelle curve dove era più elevato il rischio di lasciarci la pelle…….In Gara purtroppo manca l’en plein per un grippaggio. Ma la vittoria al Ring arriva nel 1978 insieme al Giro più Veloce in Gara.
Ferrari è ormai un Top Rider, ma la “geopolitica” esiste anche nel Motomondiale, purtroppo per lui. E per la giustizia dello Sport, dal quale ha raccolto un infinitesimo di quel che ha seminato. In fondo, è lo stesso destino che hanno percorso tutti i miei beniamini che ho descritto prima.
1979, e gli Angeli Custodi non vanno in sciopero
Nel 1979 inizia una Stagione sotto l’impronta di due novità: la prima è che il 1978 non è stato di nuovo dominato da Sheene e dalla Suzuki per un soffio, visto che la mancanza di giochi di Squadra in casa Yamaha stavano per sfilare dalle mani di Roberts il Titolo; e la seconda è che al primo Quarto di Stagione il futuro Iridato Roberts su Yamaha è a 42 punti, risultato notevole ; ma è uno stellare Virginio Ferrari a riportare il tricolore in testa al Mondiale provvisorio con 46 punti con la Suzuki Gallina, mentre Sheene è incredibilmente solo a 23 Punti dietro persino a due “assistiti” (non ufficiali al 100%) come Hartog e Tom Herron. E’ in quella Stagione 1979 che la simpatia per Sheene finisce per sempre (nonostante il “Paperino” tatuato sul casco, così evocativo per un bimbo quale ero).
Venezuela, Austria, Germania, Italia (Gran Premio delle Nazioni): un filotto di quattro ottimi risultati per Virginio (secondo, secondo, terzo, secondo) che ad Imola, il 3 Maggio 1979, cade in prova in maniera violenta ma medicato e curato dal miracoloso Dottor Costa prende persino il Via arrivando secondo dietro Roberts e facendo il giro più veloce; ed è il subbuglio in casa Suzuki dove ovviamente le pareti dell’HeadQuarter sono ancora segnate dai poster vincenti di uno stizzito e lunatico Barry arrivato praticamente al punto di rottura con Heron.
Si dovrebbe, per opportunità, dare tutto il supporto del mondo al milanese volante che davvero ha superato ogni previsione; e che al secondo quarto di Stagione ancora difende quasi isolato il Marchio di Hamamatsu conseguendo ancora 81 ottimi punti mentre Roberts rimane comunque a 75 punti. Sei punticini striminziti, con ancora sette Gare in Calendario………………Suzuki, cosa aspetti????
Il portabandiera numero “7” Sheene pare caduto in disgrazia fermo a 35 punti al giro di boa, e la “S” è ad un passetto dal nuovo Titolo.
Buon senso richiederebbe che la Suzuki cerchi di sfruttare l’opportunità fornita dal solo Ferrari: ma evidentemente le cose non vanno per questo verso, e la seconda metà di Stagione diventa per Virginio un calvario agonistico e mentale. In Spagna probabilmente spreca una grande occasione rimanendo quarto, ma torna sul Podio in Jugoslavia e un mese dopo trionfa ad Assen, in un Gran Premio memorabile con il duello tra lui e Barry Sheene.
Che tuttavia chiarisce il marasma e la inconsistenza decisionale della Suzuki che permette uno scontro in casa solo pernicioso; sembra di assistere alla situazione specchiata dell’anno prima (1978) in casa Yamaha. Ma quella Stagione fu poi ipotecata da Kenny e da Iwata.
Ora qui siamo nel 1979 e il penultimo quarto di Stagione è un incubo per Virginio: Spa Francorchamps vede la defezione dei “Big” per sciopero contro le condizioni di sicurezza, e il nostro ragazzo non approfitta (come forse altri avrebbero fatto) per allungare in Classifica; ma segue un ritiro per grippaggio in Svezia, un quindicesimo posto per noie al cambio in Finlandia, ed un motore “imballato” in Gran Bretagna che regala a Virginio solo un quarto posto ed otto punticini che lo portano ad 89. Insomma, dopo un avvio strepitoso improvvisamente Ferrari percorre un periodo terribile: ma il vero paradosso è che quel terzo quarto di Stagione è quello nel quale Roberts va peggio, ma alla fine supera il nostro ragazzo di 14 Punti.
Con solo 15 Punti in Palio per lo spareggio di fine anno a Le Mans, la storia di una Gara tristemente degenerata; e che poteva finire in tragedia.
Quella Suzuki che inizia la sua capriola e Virginio che fa un volo tremendo contro Reti e pali di protezione. Per fortuna Virginio ha un angelo custode in piena attività, quel giorno.
Le cose proseguono in modo alterno, da quel 1979. La tempra di un Campione non si misura solo in record e vittorie numeriche.
Se così fosse, Virginio già meriterebbe il posto d’onore che ha negli Albi d’Oro. Capace di guidare e battezzare il percorso travagliato di Cagiva nel Motomondiale, capace come pochi di domare la mostruosa Suzuki XR23, capace di far brillare ogni tipo di moto, come il suo amico e altro mio beniamino Oscar La Ferla.
Ma le statistiche non tengono in conto mai del rispetto dei principi, della forza di fare muro contro compromessi e convenienze; e soprattutto gli Albi d’Oro non premiano la coscienza e l’etica.
Virginio Ferrari: Campione, uomo e Signore
Altrimenti Virginio correrebbe un Campionato a parte. Le sue battaglie contro i rischi e l’insicurezza tipica dei circuiti dell’epoca (con la parentesi finale del “Gran Premio della vergogna” all’Ulster Gran Prix del 1987) e il suo rispetto in primo luogo del “rapporto di Squadra” senza fenomeni di bullismo o mobbing verso eventuali malcapitati Compagni di Squadra fanno di Virginio un Campione e un vero Signore.
Ammirato da tanti tifosi, come me; ma soprattutto (ed è questo il punto più importante) stimato e ben ricordato da amici, colleghi e compagni di Squadra. Alcuni dei quali mi hanno onorato della loro amicizia diretta e di belle chiacchierate davanti ad un caffè.
Virginio è ancora un “amico a distanza” che ho apprezzato ed applaudito fino a quell’impresa storica del 1987.
Virginio è in sella alla seducente “YB4” Bimota con motore Yamaha 750 5 Valvole presentata con grande clamore nel 1986. In quella undicesima Stagione di Formula TT1 – l’ultima con moto a ciclistica libera ma motore derivato strettamente dalla Serie prima della nascita della Superbike nel 1988 – l’assortimento dei partecipanti è ancora legato all’epoca avventurosa dei telaisti e degli artigiani, le cui realizzazioni speciali affiancano invece i Costruttori di stradali che ci tengono al contrario ad iscrivere mezzi affini alla produzione di serie.
Bimota è tra questi ed a differenza però dei Giapponesi propone con la “YB4” un gioiello, tanto forte quanto bello da vedere.
Cavalcato da Virginio, esteticamente da sempre uno dei Piloti che si ammirano più volentieri nello stile di guida, quel binomio diventa quasi un incontro del destino nonostante una concorrenza in Pista degna di Albo d’Oro. La leggenda di Man Joey Dunlop su Honda come Mertens, Paul Iddon e Roger Marshall con le graffianti GSX-R Suzuki, trovano nella Squadra italiana Bimota/Ferrari/Tardozzi il contraltare vincente insieme al Team assistito tedesco con Peter Rubatto.
Nel calendario si doveva trovare anche la prima Gara in Finlandia, ma una polemica sui requisiti di sicurezza la fasaltare. E così in otto tornate si decide un Titolo combattuto sino all’ultima manciata di punti finali.
Ma è il Gran Premio della “vergogna” – l’Ulster Grand Prix– a dimostrare una volta di più la ossessione inglese per la follia agonistica e per contro la grande dignità e presenza etica e morale di Virginio.
In una Pista in condizioni di sicurezza inesistenti Ferrari fa le valigie dopo aver contestato l’Organizzazione di Gara e chiamato all’appello tutti i Piloti di buon senso. Ed in fondo a lui, con il piccolo vantaggio e la moto perfetta a disposizione sarebbe bastato partecipare mettendo nel tascapane punticini preziosi in cambusa. Mentre invece no, la coscienza viene sempre prima. Pioggia, condizioni dell’asfalto e ambientazione quasi “agreste” del tracciato ricavato da strada pubblica rendono indecente quella Gara per bestioni da 750 cc.
Un punto a favore per Lui, un punto a favore per i quindici colleghi professionisti che lo seguono, un grande punto a favore di Bimota Official che segue il suo Capitano e rimonta tutto nei Camions il Venerdì sera tornando a Rimini.
Sul circuito di Dundrod lungo strade di campagna che circondano Belfast il secondo Giro avrà per sempre sulla coscienza la tragedia di Klaus Klein su Bimota, che vittima dell’acquaplaning a 270 Km/H (!!!!!!) finisce contro un muretto paracarro.
Con Virginio sempre primo in Classifica parziale e con la coscienza serena dopo Dundrod, il circo del TT1 finisce in Giappone sul circuito di Sugo su cui la Yamaha, proprietaria dell’Impianto, fa gli onori di casa piazzando due debuttanti (Kevin Magee ed un ancora sconosciuto Mick Doohan) sulle sue FZR 750 ai primi tre posti sul podio insieme al secondo – il Rookye Yukiya Oshima – su GSX-R Suzuki. Praticamente nessun beneficio per i primi cinque in lizza iridata, quando mancano due sole Gare al verdetto finale.
E ad Hockenheim il valore tecnico dei gioielli di alto artigianato Bimota viene fuori. Dopo decine di affinamenti su telaio, erogazione ed assetti, la coppia Ferrari e Tardozzidomina in modo imbarazzante seguita a distanza da una Suzuki (Ernst Gschwender, gloria locale) e dal povero Joey Dunlop che deve arrabbattarsi per non essere ripreso alla fine dalla terza Bimota di Bodo Schmidt.
1987, l’ultimo miracolo ordinario
L’epilogo finale di Donington Park in Inghilterra – con Ferrari in testa e nove punti di vantaggio su Joey Dunlop – è la Gara della strategia e della razionalità. Soglia sufficienteper regalare a Virginio il primo Mondiale della sua vita ed alla Bimota il secondo dopo il Titolo Classe 350 di Ekerold.
E sebbene giochi in casa, Joey Dunlop non riesce ad avere ragione di una prestazione superba dell’altra Squadra di Casa, quella Heron Suzuki che lo aveva “mobbizzato” stupidamente nel 1979, otto anni dopo celebra il suo ultimo acuto: vittima di una debacle finanziaria della Holding Capogruppo Heron – cui segue la chiusura di tutte le attività collaterali inclusa quella agonistica – la Suzuki termina in bellezza una epopea iniziata dodici anni prima con il Motomondiale Classe 500.
Paul Iddon e Roger Marshall avrebbero venduto l’anima al diavolo per essere davanti a tutti di fronte al loro popolo; e salutano il mondo sventolando credo per l’ultima volta la bandiera Heron delle loro GSX-R, prima che tutta la nuova epopea di Hamamatsu riparta all’ombra soprattutto di Kwevin Schwantz.
Joey Dunlop finisce sul podio, vero, ma è mesto ed inerme. I quattro punti che Virginio si garantisce da settimo al traguardo sono sufficienti a rendere al nostro quello che la follia delle strategie della sua Casamadre giapponese gli aveva tolto otto anni prima, nel 1979.
Questa è la storia di Virginio Ferrari “iridato”. Il nostro Campione correrà la sua ultima Gara nelle Superbike alla soglia dei 43 anni, nel 1995. Anno in cui, per nemesi storica, smetterà di correre anche Freddie Spencer, più giovane di circa 10 anni rispetto al Campione milanese. Poi inizia per lui la carriera di Manager, ma sempre controvento. In mezzo a tutto questo, ma parallelo a Ferrari, c’è una opinione universale fatta di commenti, articoli, forum, ricordi.
Virginio Ferrari? Uno straordinario Pilota, un impeccabile professionista, un carattere fortissimo, un uomo rigoroso, una gran brava persona. E su questo, nessuno può avere il minimo dubbio.
Oggi che Virginio è testimone ancora ben impegnato nel mondo delle due ruote, e sempre disponibile nei confronti di tifosi ed appassionati, la sua epopea ritrova tutta la giusta attenzione ma non solo perché è una storia che appartiene ad un’epoca che tutti rimpiangiamo. Perché, al contrario, restituisce modernità e senso a valori un poco trascurati dal frullatore mediatico odierno: sportività, lealtà e incorruttibilità.
Valori che, nel ristretto gruppo dei miei beniamini, sono certo di trovare sempre.
Riccardo Bellumori