La “monovolume Castagna”, motorizzata Alfa Romeo, un ponte ideale tra l’antico carro a cavalli padronale e la tecnologia del futuro dove le forme a goccia erano l’involucro simbolico per evocare velocità ed emozione.
Le “Shooting Brake” della tradizione inglese più nobile: la convenzionale carrozza che veniva “gonfiata” volumetricamentecon una coda bombata – e perimetrata da griglie di vimini per l’areazione – in grado di ospitare il set di cani da punta e la ferramenta di caccia dei signorotti britannici che andavano nel bosco per giorni interi.
E, scusate l’accostamento, i carri funebri della tradizione europea più rinomata, prodotti e cesellati da quelli che poi, dal primo Dopoguerra, sarebbero diventati i Carrozzieri in grado di dare forme e particolari signorili agli chassis a longheroni che costituivano la base meccanica e telaistica delle auto dei veri “Vip” e Signori che – tanto per fare un esempio – erano disposti a pagare quasi 250.000, 00 Euro di valore attuale per comprare lo chassis motorizzato otto cilindri “nudo” della Isotta Fraschini per rivestirlo a spese loro e con il loro staff di artigiani per fare di quel loro modello un’auto unica. Non a caso fu proprio Isotta Fraschinia comprendere e cristallizzare il fenomeno con lo slogan pubblicitario “Nessuna uguale all’altra”.
Ci si avvicina agli anni Trenta e, purtroppo, anche alla Guerra che interromperà un duplice fenomeno fondamentale per l’evoluzione tecnologica dell’auto europea: la “monovolumetria aerodinamica” del quadrante continentale tra Germania e Cecoslovacchia e, soprattutto, la maestria tutta boema (a partire da Paul Jaray) nel disegnare auto di prestigio fortemente contrassegnate dalla minima resistenza all’aria. La Germania tuttavia estremizza la filosofia monovolume che diventa praticamente un emblema nazionale contrassegnando minivetture, furgoncini, prototipi da studio ma coinvolgendo persino pullman (o meglio “Torpedoni”) per il trasporto collettivo di persone. E pure nello sport, a ben vedere, le famose ed iconiche “Auto Union” a motore posteriore del periodo 1936/1938 sono abbastanza evocative del concetto “monovolumetrico” di Ferdinand Porsche.
La Seconda Guerra ferma l’industria automobilistica, ma in ausilio del mondo auto arrivano diverse opportunità generate dalla evoluzione industriale e tecnologica: lo chassis monoscocca a gusci saldati che semplifica lo stampo di carrozzerie di diversa foggia; la produzione delle superfici vetrate a pezzo unico ma convesse o concave; la miniaturizzazione dei blocchi motore; ma soprattutto l’evoluzione della mobilità privata sempre più orientata alla condivisione ambientale ed al trasporto merci.
Il Monovolume alla ripresa della mobilità nel Dopoguerra
Non è una sorpresa, in tutto questo, che la prima industria seriale di corpi vettura monovolume si ritrovi – dalla in Germania (microcar, minifurgoni) e Gran Bretagna (sulle stesse linee di market target) mentre la Francia riserva la carrozzeria monovolume alle funzionalità di trasposto merci ma nell’offerta di auto per i privati si dimostra generalmente conservatrice (due e soprattutto tre volumi).
L’Italia è in questo frangente (fino a fine anni Cinquanta) un po’ un porto di mare: riferendoci ovviamente solo al “Mass Market” si contrappongono decine di Costruttori “vecchio stampo” (chassis a longheroni, carrozzeria in fiberglass) con i Costruttori industriali nazionali evoluti (monoscocca, stampi industriali, produzione meccanizzata): ne deriva un assortimento tra i più belli e variegati d’Europa, con due e tre volumi “intervallati” da rare giardinette o “familiari”. Eppure gli anni Cinquanta vedono due uscite monovolume “tricolore” rivoluzionarie: la Iso Isetta del 1952 e la Fiat Multipla 600 del 1956. Due realizzazioni che segnano davvero le rispettive categorie di mercato e fanno scuola anche se con filosofie diverse: chassis monoscocca la Multipla, telaio tubolare e carrozzeria in vetroresina la Isetta.
Ma devo lasciare per ultimo, negli anni Cinquanta, quello che in realtà è stato capostipite del monovolume universale: il famoso “Bulli” che arriva sul mercato dalla neonata “Volkswagen” rilanciata dall’esercito inglese di stanza in Germania, alla fine del 1950.
Mentre la prima uscita del “Transit” nel 1953 è riservata al trasporto merci.
Nel frattempo un “dado” è tratto e il decennio successivo vede tra gli altri l’arrivo di Bedford CF, delle serie evolute del Transit, le evoluzioni a loro volta dei furgoni leggeri Citroen e Peugeot; la nascita della famiglia di pullmini Fiat “600/850”, ma persino il Giappone vede nascere alcune serie storiche ed iconiche di minivan, come il Suzuki “Carry”.
L’America invece vede nei monovolume la espressione di un filone industriale innovativo, quello della superficie vetrata “panoramica” e lavorata in modo complesso per creare suggestioni visive ed ambientali; dal lato del target, gli americani promuovono con il monovolume attività più social e professionali che canonicamente logistiche e commerciali.
In particolare le Big Three sperimentarono prototipi di “Mobile Office” dove si poteva svolgere l’attività di ufficio in movimento con un ambiente “face to face” e postazioni di lavoro per telefoniste e dattilografe e persino un proiettore per le diapositive in caso di miniriunioni. Ma soprattutto dagli States stava per arrivare una ispirazione che avrebbe cambiato davvero il mercato auto dagli anni Ottanta.
Arriva l’Espace. E in Europa il monovolume diventa “must”
Con l’acquisto dell’American Motor Corporation (AMC) la Renault sbarca negli USA rilevando il quarto Gruppo statunitense abitato da Marchi di storia e personalità davvero particolare, oltre che alla Jeep Willys. Ma evidentemente recepisce dal mercato americano anche una moda poco diffusa in Europa attraverso l’uso sociale e condiviso dei “Van” locali; ed anche da questo, magari, deriva l’intuizione “Espace” che crea un filone e non solo un segmento di mercato nuovo. In circa 10 anni dalla nascita della monovolume Renault arriveranno le concorrenti dirette da parte di Ford, Opel, PSA, Volkswagen, Fiat; dalla Corea arrivano le proposte Kia e Hyundai ma soprattutto arrivano le proposte giapponesi. Ed è solo la prima fase: con la “Twingo” di Renault, la “A Class” di Daimler Mercedes e la MCC Smart si gettano le fondamenta per la esplosione “Crossover” lungo tutti i segmenti di mercato delle monovolume all’europea.
Il fenomeno, tuttavia, si chiude con l’avvento delle piattaforme condivise e moltiplicate a dismisura per corpi vettura “SUV” che gradatamente prendono il posto delle monovolume; uno dei motivi plausibili è che, plausibilmente, la rivoluzione elettrica avrebbe rischiato una omologazione tra BEV monovolume occidentali abbastanza imbarazzante in una fase preliminare di mercato dove la prerogativa del “Branding” in piena costruzione sarebbe stata “murata” da corpi vettura nei quali il potenziale consumatore avrebbe potuto vedere alternativamente o una “commodity” (soprattutto nelle fasce dimensionali micro-piccole-medie) o viceversa una proiezione troppo americaneggiante delle caratteristiche premium di Passengers Van “XXL” ai quali l’Europa, almeno fino a qualche anno fa, non era ancora pronta.
Senza dimenticare che in fondo la concorrenza “low cost” asiatica proprio nelle piattaforme monovolume (dove Cina e Taiwan, soprattutto, enumeravano da tempo una estensione di Gamma sia endotermica che BEV che andava dalle microcar fino a quelli che in Europa definivamo “Jumbo”) avrebbe esposto subito la produzione occidentale (cui il consumatore doveva ancora abituarsi) alla controffensiva di prodotti che – marchiati dal Costruttore originario o sottoposti a re-branding – erano sufficientemente già allestiti ed equipaggiati per soddisfare esigenze diversificate del potenziale cliente europeo ed americano.
L’Europa si perde nei paradigmi, l’Asia ci supera con il pragmatismo
Eppure si potrebbe ancora una volta obbiettare che l’Europa ha perso tempo, e lo ha fatto nel peggiore dei modi, a mio avviso, per questa serie di errori:
-I costruttori europei hanno radicalizzato e circoscritto la funzionalità e l’immagine di mercato dei Monovolume nel target di mercato “Van” e LCV”: da un lato per puntellare l’immagine e la tradizione europea ed americana di intere dinastie di mezzi da lavoro e Veicoli commerciali, proprio in contrapposizione preventiva ad una offensiva “Low Cost” di concorrenti aziendali asiatici magari “anonimi” e poco conosciuti ma apprezzabili per il bassissimo costo di acquisto;
-diversi Marchi hanno circoscritto i propri Monovolume a laboratori viaggianti di tecnologie, alimentazioni, architetture tecniche alternative (multialimentazione, Idrogeno o persino retrofittazione) trasmettendone un profilo “alternativo” e pericolosamente distante dalle opzioni alternative ordinarie di Gamma;
-Infine è fin troppo evidente che la scalarità e la integrazione di piattaforme vede gli asiatici prevalere nella segmentazione di prodotto, dal monovolume micro per l’accesso di persone e merci nei Centri Urbani e Storici fino al Passenger Van 9/12 posti adatto per attività di rappresentanza; in mezzo ad un assortimento tecnico che offre piattaforma BEV, Hybrid, multialimentazione.
GAC, BYD, SAIC, XPeng e gli altri raggruppamenti più rappresentativi in Cina; ma anche i Coreani, e persino Tata e Mahindra in India supportano fortemente dentro la loro Gamma una quota importante di Monovolume. Perché sottolineo questa panoramica?
Per alcuni motivi strategici e qualificanti per i produttori asiatici nel confronto con l’Europa:
-La struttura monovolume permette nel breve di superare i limiti congeniti nella volumetria di BEV e berline con riferimento alle potenzialità di inclusione del corredo di componenti ed accessori fondamentali per qualificare ed assistere un PassengerVehicle moderno in base alle esigenze diverse ed ai gusti della clientela potenziale: piattaforma endotermica multialimentazione, Hybrid, BEV e persino Idrogeno; supporti ADAS completi; ponte posteriore (in caso di trazione anteriore) elettrificato; spazio per eventuale range extender motorizzato; persino superfici di carrozzeria estese al punto da poter includere pannelli solari; ed infine possibilità di aggiungere assi aggiuntivi collegati a ruote motrici per fondi estremi;
-La volumetria abitabile interna permette più di ogni altra struttura di carrozzeria di valorizzare gli spazi a disposizione degli occupanti, aumentarne il numero ospitabile favorendo processi di Sharing e Pooling, modificare la volumetria stessa con soluzioni telescopiche (tetto) e/o modulari, rendere sempre più accattivante e coinvolgente l’abitacolo interno, aumentare l’esperienza visiva con superfici vetrate perimetrali, estese ed adattive;
-La L’Europa si perde nei paradigmi, l’Asia ci supera con il pragmatismobase monovolumetrica permette di personalizzare all’infinito il corpo vettura con diverse architetture di porte esterne, di vetrature, di dotazione luminosa, ed ovviamente di funzionalità interna: Passenger, Mobile Office, Promiscuo, Commercial Vehicle, persino funzioni speciali e Camper; tutto questo nella economia di scala di una piattaforma di base modulabile all’infinito;
– infine la caratteristica monovolume porta il vantaggio del miglior rapporto tra spazio interno ed ingombro esterno, in un sistema viario sempre più affollato.
E su tutto questo, se l’Occidente non si dà una svegliata, avremo regalato altro terreno prezioso alla concorrenza asiatica. Contenti tutti, a Bruxelles, non è vero??
Riccardo Bellumori