Auto elettriche perché il Branding europeo sembra una barzelletta?

Quando apparve per la prima volta, nel 1973, come salvaguardia dei portogli degli automobilisti europei alle prese con una crisi petrolifera (che aveva fatto esplodere il prezzo della benzina alla pompa agli odierni due euro e mezzo al litro per auto che dalla categoria media in su facevano al massimo 9/12 chilometri con un litro) senza soluzione di continuità nella escalation e nel razionamento, alla Opel Rekord 2100 D non bastò, per diventare un vero best seller di vendite, sollevare il colletto della camicia e dire: “Ehi, ragazzi, io sono una Opel, mica pizza e fichi”: insomma, alla Opel all’epoca non bastò rivendicare il suo valore di “Brand”.

Per essere accettata nel suo consumo medio di 9 litri per 100 chilometri di gasolio, con la sua velocità massima di 145 Km. orari in discesa, ma nella sua nuova condizione di ammiraglia meno cara d’Europa quanto a costi di gestione, i tecnici ed i pubblicitari del marchio di Russelheim presero tanto di griglie comparative, curve di Gauss e grafici per dimostrare che con percorrenze medie di 15.000 km annui dopo solo tre anni il maggior listino della diesel sulla versione a benzina sarebbe stato azzerato in risparmio di costo del pieno. 

Da quel momento una vera esigenza che fu fatta passare per puro vantaggio ed opportunità – e non per obbligo – aprì le porte ad una diffusione delle versioni a Gasolio che se a metà del 1975 corrispondevano ad otto su un complesso di ben 130 modelli ed allestimenti in vendita in Europa, dieci anni dopo vedevano un rapporto pari ad una vettura diesel ogni tre presenti in Gamma ed una quota di mercato europea in grado di crescere da zero a 27% in un solo quindicennio.

Da fine degli anni Settanta il comparto del Diesel si articola secondo una sequenza di arricchimento tecnologico che lo porta ad adottare in un intervallo di quattro decenni quello che il motore a benzina aveva conquistato lungo un secolo; e passando dai 54 cavalli del motore 2074 cc. di quella Opel “Rekord 2100 D” ai 150 Cv della “Volkswagen Golf 2.0 TDI” del 2013 (la protagonista del famoso “Dieselgate”) compie una sorta di “supernova” dalla quale si è ripresa solo dieci anni dopo, con la ripartenza recente delle offerte e delle rinnovate linee produttive Diesel da parte di diversi Marchi Costruttori “pentiti” che hanno fatto numerosi “dietro-front” sulla ipotesi di rinuncia al Diesel in Gamma.

Quello che conta, alla luce del racconto iniziale fatto, è che nel 1973 la Opel inaugura un filone commerciale focalizzando un problema (la crisi energetica ed il costo alla pompa) e trova la “sua” soluzione, spiegandola e confrontandola con il contesto in concorrenza. Espone cifre reali, spinge il consumatore al confronto merceologico; ed è per questo che convince, e vince. Spingendo la concorrenza ad una analoga operazione verità: spiegare tutto in cifre.

Da quel momento l’evoluzione di mercato del Diesel vive due fasi mediatiche opposte: i primi vent’anni di mercato sono contraddistinti da una fitta contrapposizione di cifre, statistiche, valori di consumo e dati relativi ad abitabilità, carico, autonomia. 

E’ curioso quel che accade invece, in media, nel secondo “ventennio” di evoluzione del mercato Diesel, in cui la diffusione esponenziale del sistema “Common Rail” estende finalmente alle piccole cilindrate l’espansione consolidata nel segmento delle Ammiraglie: il Diesel diventa una consuetudine assiomatica per effetto di due effetti composti ma “indotti” dalle nuove prassi commerciali di Dealer e Costruttori: il sistema di acquisto con ciclo di sostituzione programmata.

Ciclo di sostituzione, Common Rail e Remarketing: il “Doping” Diesel del 2000

Lezione numero Uno: una forma di acquisto non deve essere “drogata” perché prima o poi finirà per esplodere in mano al sistema che l’ha congegnata.

Di fronte al potenziale acquirente, con i finanziamenti a ciclo di sostituzione programmata si pongono non più due cifre di riferimento contrattuale (prezzo di vendita del nuovo e valore di permuta del vecchio) ed una serie di cifre funzionali alla gestione post vendita ma ben quattro racchiuse nello stesso contratto: prezzo di acquisto del nuovo, costo servizi di manutenzione incluso nella rata mensile, valore di buy back garantito dal Dealer e proiezione della quotazione dell’Usato all’atto della sostituzione programmata in data predefinita. Ed ovviamente questo poligono contabile porta sempre in evidenza un vantaggio del Diesel in confronto al pari segmento o modello a benzina. 

 

La combinazione di variabili contrattuali favorevoli ma “pilotate” rende piano piano desueto il confronto quantitativo tra diverse opzioni ma premia in convenienza la fidelizzazione secondo un modello commerciale di “Loyalty” finanziaria con la quale il Diesel dilaga fino al 2015 alla soglia del 55% delle immatricolazioni annue in tutta Europa. Insomma, le performances commerciali del Diesel derivano più da un combinato “Doping” contrattuale e strategico dei Costruttori? Lo dicono le cronache scritte in quei giorni negli Showrooms.

Il Diesel si compra senza più confronto critico: è la “Moda” che lo fa vendere

Lezione numero Due: la vendita assiomatica non permette facilmente reversibilità o switch su altri sistemi.

E’ dopo il Dieselgate e la serrata istituzionale e mediatica europea contro il Diesel che evidentemente il Gasolio comincia a crollare nei volumi, e vede i Costruttori però finalmente liberi da una guerra commerciale cannibale che stava ammazzando tutti per colpa di un algoritmo allucinato: più vendite, meno margine, asta al ribasso dei listini e dei prezzi finali, rivalutazione artificiale del buy back anche in condizioni di crollo dei valori di rivendita dell’usato. Ed il Gasolio crolla nelle vendite, senza che se ne individui il suo alter ego.

Ma solo nel nuovo, perché le preferenze per il Diesel nell’Usato restano elevate mentre le performances di immatricolato annuo non vedono nessuna surroga di rango – per diverso tempo – di alimentazioni e piattaforme alternative (vedi l’elettrico) sul Gasolio.

Dopo il Lockdown si assiste invece ad una semplice sostituzione dell’endotermico puro con l’endotermico ibridato. Con un vantaggio commerciale derivato: nessun Costruttore prima di allora avrebbe mai spacciato una versione GPL o Metano di una originaria a benzina come “modello nuovo”; eppure, forza del Marketing, l’associazione di una struttura motrice elettrica con il classico endotermico compie questo miracolo: le vecchie endotermiche pure con un impianto Mild Hybrid possono definirsi nuove e per questo costare molto di più. 

Ma non ditemi che sono facinoroso se dico che la sostituzione di massa delle sole endotermiche con le Ibride deriva da un processo assiomatico e forzoso: nessun Marchio europeo riesce a costruire un nuovo Branding Ibrido nonostante la sostituzione totalitaria della Gamma di offerta. L’Ibrido si vende perché è obbligatorio per la svolta ecologica nella UE.

Il Branding fine a se’ stesso non ha scampo nel mercato europeo del BEV

Lezione numero TRE: la forza del Brand su settori di mercato innovativi ha senso solo se il Brand è percepito come valore aggiunto rispetto alla concorrenza “Commodity”: altrimenti a prevalere è la contabilità pura del “Value for Money”.

Fino a questo punto, tuttavia, il “branding” dei Marchi Costruttori europei in ambito commerciale BEV non subisce alcuna evoluzione, ma solo pregiudizi: revisioni programmatiche e taglio alle previsioni di lancio di nuovi modelli, rinuncia a spegnere del tutto la gamma di endotermici, ma quel che più colpisce è la resa generale ed incondizionata dei Costruttori rispetto alla superattivitàmostrata in termini di sinergie e di R&D per autonomia ed innovazione batterie, guida autonoma, mobility providing, connettività globale. 

L’effetto annuncio e le proiezioni agli anni a venire di azioni di rivoluzione copernicana del profilo di offerta di diversi Costruttori si cominciano ad interrompere: e sembra quasi che i Marchi vogliano riscoprire e trasmettere una indole metalmeccanica e per questo si comincia a moltiplicare il panorama di Joint Ventures tra Costruttori europei ed extraeuropei per l’ingresso nella UE di piattaforme costruttive estere da “rimarchiare” o produrre ex novo direttamente nel Vecchio Continente. 

Non sembra più interessare molto la “primogenitura” del prodotto BEV in seno ad un Marchio, ma solo la sua messa in disponibilità al pubblico. Questo però deriva anche dalla precarietà di immagine dei Costruttori maturata a seguito di alcuni buchi nell’acqua.

Ma il problema nato e cresciuto in parallelo con il tentativo di fondare un nuovo “ElettroBranding” da parte dei Costruttori europei è quello di affermare un “Geo-Branding” di tutta l’Industria e del contesto dell’Unione: non a caso la prima vera best seller del settore “Z.E” è la Nissan Leaf del 2011 ma non perché sia l’unica, come erroneamente molti pensano:  ma perché è una giapponese, contornata dalla ottima immagine e reputazione del Sol Levante in R&D di settore; un modello innovativo, qualitativo, diverso; e che costa uno sproposito, è per molti una incognita ma fa i suoi numeri. Come mai non accade lo stesso per la concorrenza?

Nel Paradiso del BEV vince il GeoBranding?

Lezione numero QUATTRO: il “Branding” della mobilità elettrica non può essere combattuto tra Marchi Costruttori ma tra Continenti. Purtroppo ce ne stiamo rendendo conto.

Facciamo un “recap” mnemonico? Chi di Voi se la sente di concordare all’impronta con me che il Diesel è stato di fatto il manifesto tecnologico e commerciale della neonata Unione Europea per promuovere una piattaforma in grado di qualificare l’immagine europea automobilistica nei nuovi mercati dell’est europeo e della Cina? Ci sono pochi dubbi, peccato che il profilo della perfetta auto comunitaria (Diesel, Premium, Total Quality manifacturing) nelle mire di Bruxelles avesse il volto tedesco e non proprio continentale.

A fare il primo passo falso è stata l’Unione Europea: ieri nel Diesel e ora nella evoluzione del mercato elettrico. La mamma dei Green Bond ha lasciato che a sottoscrivere i primi Protocolli di Intesa geo-istituzionali sul fronte della ecomobilità fossero l’America di Obama e la Cina, mentre Bruxelles delegava come al solito a rappresentarla la città di Berlino: tutti ricordiamo la fobia primatista della “Signora” Merkel nello sbandierare miliardi di Euro di sostegno alla elettromobilità tedesca all’alba del 2011 dentro un contesto europeo dove solo la Gran Bretagna fece da contraltare con il piano territoriale sulle reti di ricarica. 

Torniamo al caso ricordato sopra della Nissan Leaf: l’Opinione pubblica forse confonde la visibilità e l’immagine forte del contesto giapponese con la condizione di alleanza tra Nissan e Renault, e per questo finisce per ritenere erroneamente la Leaf figlia di quella Alleanza; ma non è così. 

La ipotetica “sovrascrittura” dei valori e dei benefit percepiti dal Cliente per la Gamma endotermica del Marchio è solo controproducente, e lo si vede alla distanza: dunque all’atto del 2011 non è tanto la Leaf a fregiarsi del Brand Renault compreso nell’alleanza, poiché la Losanga non ha un pedigree spendibile nella mobilità elettrica; ma al contrario è tutta l’Alleanza ad essere valorizzata in chiave BEV dalla componente giapponese come fattore di GeoBranding. Ed il Geobranding alla fine è il fattore estremo che porterà il comparto BEV europeo a fottersi. 

Perché manca un protocollo europeo unitario, una condivisione e manifestazione di ideali, valori, simboli ed obbiettivi comuni; ma soprattutto perché tutta la UE appare come una dependance degli universi americano e cinese dal lato del fabbrisogno, delle risorse e della produzione necessaria per essere un vero e proprio modello industriale del mondo BEV.

Ma allora perché la UE continua imperterrita a proclamare l’ecorivoluzione, la decarbonizzazione, lo stop presunto ai motori endotermici? Semplice, per tre motivi:

 

– Non può farne a meno visto che sulle politiche Green ha lanciato miliardi di Euro di Green Bond che devono passare all’incasso; 

– Attraverso la prevista incentivazione di nuovi insediamenti produttivi di ecomobilità può attrarre parte di quella impresa che decenni prima è scappata in Cina ed Asia;

– Attraverso la blockchain e la tracciabilità del Carbon footprint può attivare dogane virtuali al posto di quelle fisiche.

Peccato che questo protocollo di buone intenzioni sia messo in crisi dalla altalena programmatoria e strategica che Bruxelles ha dimostrato negli ultimi anni. Ed è per questo che a dominare il comparto BEV è la Cina: per una migliore credibilità di GeoBranding e per una attitudine di rispetto del Value for Money.

I consumatori europei di BEV non vogliono Brand, ma  Value for Money

Lezione numero Cinque: Per competere contro i colossi cinesi serve una politica di Network ed aggregazione. Altro che “old Branding”.

Immaginate un Ristorante con: laghetto sul cortile per la pesca delle trote da forno, peschereccio di proprietà per i crostacei freschi dal mare poco distante; campo coltivato per frutta e verdura; pollaio, uova, bovini e caprini di macellazione di proprietà; quattro tipologie di forno (a Gas, a legna, elettrico, solare) e un approvvigionamento energetico da elettrico fotovoltaico e biogas da rigenerazione dei rifiuti organici. E’ un sogno ovviamente, ma Voi lo mettereste mai a paragone con un ristorante alternativo che dispone di neppure la metà di quello che ha il primo? Ah, beninteso: nel secondo a gestire la cucina c’è Cannavacciuolo mentre nel primo si alternano i neodiplomati della Scuola alberghiera.

Ok, detto così quale dei due scegliete? Io credo che Vi orienterete in massa sul primo. Sbaglio? Ah, già: mi direste che non c’è paragone tra i due. Ma c’è la vostra esigenza di mangiare e due sole opzioni. Quelle che una Commissione Europea di squilibrati vorrebbe rendere istituzionale nel mercato auto continentale con il divieto degli endotermici dal 2035. La follia di burocrati analfabeti che se tra dieci anni mettessero i Clienti nella condizione di scegliere tra prodotti cinesi titolari di tutta la catena di approvvigionamento, ed i prodotti europei “Brand” in cui però una fetta forte delle risorse necessarie sarebbe di terzi, porterebbero i Costruttori europei nel baratro. 

La verità è che per ancora molti anni l’Europa ha bisogno della gamma endotermica soprattutto per non ghettizzare sé stessa dentro un quadrilatero di battaglia limitato alle sole BEV, dove figurerebbe come un peso Welter contro Mike Tyson, con le conseguenze prevedibili.

Soprattutto non è più concepibile da parte del potenziale Cliente accettare una BEV europea offerta per la sua maggior parte come ricettacolo di slogan: non inquina, è fruibile, è innovativa, è migliore, etc. Il Cliente desidera sapere sempre e classicamente due cose: quello che sta comprando vale i soldi che sta spendendo? E quale è il perimetro di responsabilità, skills, customer care, know how ed expertizeche il Costruttore può costruire intorno al Cliente? 

Se la risposta non comprende la capacità al momento solo cinese di poter sovrintendere ogni aspetto della filiera dell’elettomobilità, le bellissime supercazzole sul Brand sono aria fritta.

Troppo “branding” e poca didascalia: ma il BEV non è una fiction TV

Lezione numero SEI: l’attuale comunicazione “Brand oriented” della maggior parte dei Costruttori europei appare un po’ come un parlarsi addosso, e finchè tale è la percezione i consumatori si rivolgeranno dove la comunicazione indica cifre, opzioni, opportunità e potenzialità industriali. E su questo fronte il paragone con gli Europei è impietoso.

Da dove nasce la mia obiezione? Dalla sovrapposizione di tre effetti soprattutto mediatici e di comunicazione a confronto:

– 1) Dalla esplosione del fenomeno Tesla in poi, cioè da circa il 2012, i Brand europei hanno inteso promuovere non un fronte di comunicazione tecnica e commerciale (come e con quali prodotti, schemi tecnici e costruttivi proporsi sul mercato del “Full Electric”) ma puramente “etica” (andare verso l’elettrico perché lo chiede l’ambiente) con una sorta di ripudio manifesto iniziale per l’endotermico: questo causava il primordiale “trasloco” dei Brand europei in un settore assente del necessario benchmark parametrico storico in tema di tecnologia elettrica dove, all’epoca, persino i più agevolati ed introdotti Costruttori giapponesi si mossero con molta cautela sia in chiave di preannunci che di costruzione di immagine;

2) Dalla esperienza progressiva in base alla quale abbracciare la elettromobilità avrebbe comportato per i Brand la necessità di ampliare, estendere, modificare anche l’assetto industriale e Corporate di Marchi e Gruppi al fine di stringere alleanze per lo sviluppo e la innovazione di prodotto, i Brand hanno iniziato un fumoso processo di “Upgrade” di se’ stessi come “Mobility Provider” stringendo alleanze con Internet Companies, Utilities energetiche, Costruttori di ADAS, etc; al fine di mostrare al potenziale Cliente un profilo nuovo, strutturato e forte per offrire elettromobilità, Guida Autonoma, Sharing e micromobility: questo ha comportato il momentaneo posizionamento mediatico dei Brand in una zona “ignota” del mercato dove il rischio poteva essere quello di disperdere od appannare storie e radici commerciali iconiche;

– 3) Dalla crisi del DieselGate in poi, inoltre, diversi “Brand” europei hanno dichiarato la futura rinuncia alla produzione industriale del motore a Gasolio mettendo in crisi il rapporto vigente con una popolazione di consumatori pari ad oltre la metà della Gamma venduta, e senza in questo poter individuare e trasmettere al proprio target potenziale una vera alternativa BEV in grado di surrogare il Diesel: in parole povere l’autolesionismo dei Brand verso il Gasolio ha accentuato anziché moderare il crollo di immagine e la perdita di identità sul mercato;

 

– 4) Da dopo il Lockdown è iniziata la famigerata (o salvifica?) crisi dei semiconduttori, da dove è iniziata la vera inversione di tendenza tra mondo europeo ed asiatico nella offerta commerciale di BEV: per l’Europa la crisi dei semiconduttori era diventato il motivo oggettivo per distogliere l’attività industriale da programmi ed obbiettivi troppo ottimistici ed ambiziosi sulle vendite di BEV; per i cinesi è stata semplicemente una condizione residuale che non li ha distratti dall’espansione sul mercato interno e dal boom di export verso UE ed Occidente;

– 5) Da quel fatidico Salone di Parigi del 2022 i principali Brand e Gruppi europei, Stellantis e Renault in primis, hanno tirato stracci addosso allo stalking ecologista di Bruxelles che in poche settimane di quell’anno aveva teorizzato lo stop all’endotermico al 2035 e l’entrata in vigore dell’Euro 7 decisamente soffocante per gli obblighi nuovi imposti ai Costruttori;

– 6) Attualmente la maggior parte dei Brand e dei Gruppi originariamente neo evangelici della elettromobilità, ha impiegato poco più di un decennio per passare dall’entusiasmo fideistico del Punto 1) dell’inizio di questo decalogo, alla riaffermazione dello Status quo che in molti avevano già compreso tra i potenziali clienti: dietrofront sulla elettrificazione di massa, dietrofront sull’abbandono del motore Diesel e richiesta alla UE di rivedere il termine del 2035. Non è solo qua la sensazione tragicomica trasmessa dai Costruttori europei ai Consumatori. 

 

Come se il tempo fosse un gambero: dieci anni di dietrofront elettrico in UE

Lezione numero SETTE: occorre un “Manifesto Umanista” della transizione elettrica UE.

Riepilogo per i più distratti, la serie di passaggi che compongono questo “gioco dell’oca” un poco maldestro mostrato dai Brand europei in cerca di “Elettro-branding”:

– Da circa 10 anni il tentativo di “trasloco” dei Brand europei in un settore (la elettro mobilità) mancante del necessario benchmark parametrico storico, e dunque privo per i Brand europei di una immagine positiva da trasmettere ai Clienti;

 

– Momentaneo posizionamento mediatico dei Brand in una zona “ignota” del mercato dove il rischio di disperdere od appannare storie e radici commerciali iconiche è stato forse sottovalutato; 

– L’autolesionismo dei Brand verso il Gasolio ha accentuato anziché moderare il crollo di immagine e la perdita di identità sul mercato; 

– La serie variegata di eventi globali negativi avvenuta da circa 10 anni a questa parte (Crisi finanziaria e valutaria, Dieselgate, Covid, Crisi dei semiconduttori, Guerra russo ucraina, deriva dei Continenti e fine delle mezze Stagioni) è stata usata sempre più spesso dai Costruttori europei per avallare la opportunità o la necessità di rendere reversibile quella rivoluzione elettrica che alla fine, per come si è cominciata a trasmettere dal mondo auto, era più una fisima istituzionale di Bruxelles che non una pseudo vocazione ecologica ed etica sopravvenuta nei Costruttori;

– La frattura tra mondo industriale auto europeo ed istituzioni europee che esplode ad Ottobre 2022 al Salone di Parigi segna infine la diga insormontabile tra paradigmi diversi; sul punto confrontate la differenza di dialettica e di cronaca di settore percepita dal potenziale consumatore che osservi la simmetria tra Costruttori cinesi e Pechino e lo scontro ormai epocale tra Bruxelles ed i Costruttori europei.

Da un lato Bruxelles esercita il suo mobbing seriale con la raffica di oppressione normativa: Euro 7, BER 2023 (poi prorogata fino al 2028),Fit for 55, carbon footprint; dall’altro lato i Costruttori europei hanno pubblicamente dipintoBruxelles come un covo di pazzi esaltati ecologisti di ventura, buoni solo ad affamare l’industria auto europea in lotta con il gigante cinese. 

La vera questione è che lungo dieci anni il mondo costruttivo europeo ha fatto crollare di colpo tutto un castelletto ideale nato circa 10 anni fa e riguardante un ipotetico traguardo del Vecchio continente in tema di gamma elettrica di offerta, di approvvigionamento di risorse, di capacità industriale interna in tema di R&D di batterie e di autonomia, ma soprattutto quello che è crollato è il presupposto che senza il motore classico e la storia oggettiva che hanno, i Brand europei possano rimanere tali anche nel mondo elettrico.

Il vero dramma è che lungo dieci anni il mondo costruttivo cinese ha mantenuto le promesse che neppure aveva dovuto o voluto enunciare dieci anni fa: rispettando in pieno i programmi voluti dal governo di Pechino nel 2001 l’industria cinese ha camminato sopra decine di intoppi ma è arrivata oggi ad essere la prima Industria al mondo per produzione, esportazione ed assortimento al mondo; ad essere un universo endogeno di risorse minerarie, tecnologiche, industriali, progettuali per saper sovrintendere in autonomia e dentro i confini nazionali ad ogni esigenza legata alla elettromobilità; ed infine si è dimostrata capace di espandersi a livello mondiale confrontandosi con ogni potenziale competitor.

 

La soluzione non può trovarsi nei cassetti delle Agenzie di Advertising, con imbellettamenti e ceratura della simbologia improbabile di un Branding presunto da opporre a chi sta facendo da nuovo benchmark della mobilità elettrica mondiale. Per avere la capacità mediatica ed operativa per confrontarsi con i Marchi asiatici l’industria europea deve dimostrare di saper addirittura rinunciare agli steccati delle convenzioni scontate per promuovere un nuovo networking, un nuovo modello organizzativo con cui trasmettere un messaggio credibile: “Siamo l’Europa. La culla del motorismo mondiale. Siamo una storia secolare, abbiamo attraversato tutte le fasi storiche, tecnologiche, politiche ed economiche che si possono immaginare. E siamo ancora qua, pronti a proporre senza evangelizzazioni inutili il meglio della tecnologia per la mobilità che sappiamo configurare. Endotermico, Elettrico od Ibrido, l’Auto Europea sarà sempre protagonista”.

Riccardo Bellumori

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