Raccontiamo la storia gloriosa e sofferta di due Marchi – MG/Morris Garage e Rover – uniti da un destino purtroppo tragico e in fondo non meritato, per la storia ed il pedigreeeche li rappresentava.
La notizia ci era arrivata dentro un contesto certo già non facile per l’Europa, con una tensione socioeconomica internazionale e soprattutto con quella che era la questione terrorismo: Spagna, Germania, Gran Bretagna ma anche Francia erano al centro del Focus di allerta, ed infatti a Luglio del 2005 l’attentato di Londra fu purtroppo la conferma che il pericolo sociale non era affatto una chimera.
In tutto questo, il mercato auto europeo si presenta con i primi vagiti dell’importazione dalla Cina di SUV e PickUpche sollevavano la risatina di scherno e sufficienza da parte di operatori e clienti potenziali; nel frattempo dentro casa General Motors diventa in un certo senso protagonista una altra tipologia di “asiatica”: la Coreana Daewoo, giunta al limite delle potenzialità di mercato in Europa a causa soprattutto della sua immagine davvero ed inguaribilmente “Low Cost/Low Quality”, viene investita da un cambio di immagine passando al “Rebranding” Chevrolet.
Operazione, con il senno di poi, valida e coerente solo con la valorizzazione della Best Seller “Matiz” passata alla seconda generazione di Gamma. Per il resto però di una linea di prodotto che resta fondamentalmente ostaggio di linee un po’ troppo anonime e di riconoscibilità ancora troppo popolare e modesta rispetto al Marchio pretenzioso che General Motorsha appena assegnato alla Casa Coreana;
possiamo dire – risultati alla mano –che l’operazione Chevrolet è stata la conferma che General Motors era e rimaneva un carrozzone ampiamente ed inutilmente favorito dalla politica e dalle correnti governative americane, ma incapace di definire strategie di Marketing degne di questo nome. Ed infatti è stato il più illustre becchino di propri Marchi.
8 Aprile 2005 : il mondo auto si sveglia con uno scoop
Ma quale è stata la notizia di Agenzie e Periodici di settore? 8 Aprile di venti anni fa, siamo a Primavera: Rover-MG, il fallimento! Rover ed MG in parole povere, non c’erano più.
Erano state spente dall’azione giudiziaria di creditori che avevano spinto alla chiusura e liquidazione forzata del Gruppo, del suo complesso industriale e dei Marchi.
Come sappiamo, in quella azione coattiva si verificarono tre aspetti: la cessione in toto dei diritti industriali, del marchio e della attività commerciale di “MG”; il ritorno alla Ford del Marchio “Rover” che in forza della acquisizione di Land Rover da parte della Casa di Dearborn era stato mantenuto in concessione alla struttura industriale preesistente inglese di “Rover/MG”; con la conseguenza che per un po’ di tempo tutta la catena di montaggio di “25”, “45” e “75” sbarcata in Cina sfornò auto marchiate “Roewe”, una sorta di tragicomica assonanza verbale con il precedente Marchio britannico.
Rover ed MG, la loro storia in capitoli
Sarebbe rimasta in piedi, ancora per poco tempo, in Europa, la Rete del Service e dell’Aftersales “MG/Rover”; ed anche diversi Dealers rimasero in attività con i relativi mandati, in verità soprattutto per smaltire gli stock di invenduto che le povere inglesi si tiravano dietro da tempo in diversi paesi europei, mentre in Patria (Gran Bretagna) i numeri non permettevano di recuperare lo stallo negli altri mercati.Proviamo a ripercorrere in pochi passaggi quello che Rover ed MG hanno rappresentato per il proprio popolo inglese ma anche per il mercato Auto globale, dove le due cose che quasi tutti sanno è che i due Brand occupavano un posto di rilievo nel settore delle sportive “leggere” con la MG ed il comparto “Premium” con la Rover.
Rover, fondata da John Kemp Starley e William Sutton nel 1887, fa solo auto di pregio: parlandone dal secondo Dopoguerra in poi, il Marchio è legato alla tipica tradizione ed ispirazione British per le auto di alto rango dentro un sistema industriale dove ad inizio anni Cinquanta Jaguar/Daimler, Bentley e Rolls, ma anche Vanden Plas e Princess si confrontavano sul tema con una soluzione unica e fideistica: il telaio a longheroni e traverse sul quale le carrozzerie spesso battute a mano venivano montate non prima di aver ricevuto, cliente per cliente, una infinità di piccole o grandi personalizzazioni.
Come sapete, la concorrenza prima americana e poi europea della scocca autoportante stampata aveva però dato un colpo ferale ai costruttori inglesi più conservatori: da un lato le carrozzerie più spesso “landaulet” di questi non reggevano più il confronto estetico con i tre volumi bellissimi e moderni delle monoscocca; dall’altro il prezzo di queste, a parità di lusso, era decimale rispetto alle costosissime inglesi.
Su Autoprove abbiamo raccontato la storia di “Bentley Burma”, andatela a rivedere: Rolls Royce dovette affrontare l’ironia dei giornali tradizionalisti prima di lanciare con la Silver Spirit un vero boom di mercato. Purtroppo per gli altri Marchi che però via via scomparvero (Daimler, Vanden Plas, Princess) il passaggio allo chassis autoportante fu l’anticamera del fallimento, perché nel frattempo era cominciata appunto la perniciosa nazionalizzazione: scioperi, manifattura vergognosa, ritardi nelle consegne e soprattutto la moda inglese di replicare gli stessi modelli dentro ad un Gruppo cambiando solo il Marchio segnarono il tracollo di tanti Costruttori un tempo celebri.
Rover in tutto questo si avvaleva di un privilegio che era davvero raro in quella follia industriale della nazionalizzazione: poter essere distinta dal resto, essere un Marchio con una propria personalità. Fino al 1949 Rover aveva una linea di vetture “Limousine” di rango altissimo, e tutt’altro che fallimentari: la “P3” ad esempio, ultimo caso di Rover classica a carrozzeria vecchio stile, viene venduta in oltre novemila esemplari in un solo anno, e mantiene il simbolico record di essere stata la base per la prima serie di “Land Rover”; viene superata dalla “P4” che è la prima vera tre volumi classica a Marchio Rover ma rimane a telaio classico (Longheroni e traverse) e dura dal 1949 al 1964. Disegnata da Gordon Bashford fu per breve tempo la base per una personalizzazione di un piccolo costruttore artigiano, la Marauder.
In molti visitatori di Wikipedia ritengono, come dice la piattaforma, che questa fu l’ultima serie di successo per Rover, prima della serie “3500/SD1”di circa venti anni dopo.
Il motivo sarebbe da ricercare nella presenza del telaio separato: in verità è una motivazione stupida. Il motivo del successo del modello “P4” (130.000 pezzi in quindici anni, davvero tanti per l’epoca) deriva proprio dal disegno di berlina 3 volumi moderno e più gradevole per i tempi, con cui Rover abbandona il modello “Limousine”.
Lo stesso telaio separato non aveva la classica struttura predominante a longheroni ma era suddivisibile in “telaietti” collegati ai travi lungitudinali: un telaio separato con tamponi antivibrazioni per motore e sospensioni anteriori, e telaio di sostegno per trasmissione e differenziale posteriore ed il ponte ad assale rigido.
Dunque la Rover si stava avvicinando al mondo del monoscocca, anche perché la carrozzeria era prodotta in acciaio su stampi della “Pressed Steel” di proprietà del Gruppo Austin Morris. Piccola raffinatezza, la Rover si era riservata la costruzione e l’assemblaggio di porte e cofani in alluminio e magnesio per ridurre il peso e battuti a mano.
Ed ecco la presunta “pietra dello scandalo”: la “P5”, vittima della ignoranza storica, delle recensioni fantasiose: viene prodotta dal 1958 al ’73. Già solo questo basterebbe, per i sani di mente, a spiegare la fregnaccia insita nella ipotesi che i clienti conservatori avessero bocciato il telaio monoscocca che “Pressed Steel” (probabilmente la migliore catena di montaggio europea in termini di Know How e metallurgia per gli stampi metallici automobilistici) aveva realizzato per la prima volta nella storia di Rover.
Purtroppo la “P5” si trova stretta da troppi fuochi: la qualità costruttiva iniziale risente delle lotte sindacali, ma il peggio deve arrivare quando British Leyland ingloba il marchio trasformandolo in un carrozzone elettorale e politico; in secondo luogo il rango della “P5” con motori sei cilindri da 3 litri molto più ingestibile e costoso del 2600 cc. della “P4” costringe anche questo modello a pagare lo scotto della crisi energetica che colpisce l’Europa ed il mondo da fine anni Sessanta. In questo, pensate, alcuni commentatori si dilettarono persino a sommergere di critiche la scelta grafica, in verità davvero un poco plumbea, del nuovo logo “Rover” del 1965: un ovale con sfondo color nero pietra lavica, e con solo la famosa nave vichinga (apparsa per la prima volta nel 1929) stilizzata in modo davvero imbarazzante con linee di un bianco pauperistico, senza alcun richiamo al nome “Rover”.
Come vedete, la fantasia dei detrattori british del Marchio era multilevel, anche se francamente la scelta di un logo che superava quello precedente – bellissimo – in nero/rosso/oro avrebbe dovuto essere costruita meglio. Non
Probabilmente prima vera concorrente in suolo inglese della prossima e quasi coetanea RR Silver Spirit, la “P5” era progettualmente eccellente, ma l’elenco di guai premessi sopra sono la base di una storia in chiaroscuro.
Unico problema vero in realtà creato in casa da Rover fu la presentazione poco dopo la “P5” berlina, della cosidetta“Coupè” nel 1962.
Sempre disegnata da David Bache, la “Coupè” era la stessaberlina a 4 porte con padiglione ribassato e porte senza montanti, ma aveva una linea che da un lato avvicinò i clienti più sportivi e dall’altro frenò i clienti classici dal comprare la Berlina, decisamente ed oggettivamente meno bella nel confronto.
Nel 1967 debuttò la 3,5 litres, berlina e coupé, con motore V8 OHV (monoalbero centrale in mezzo alle bancate) di 3532 cm³ da 146cv, abbinato unicamente alla trasmissione automatica.
Fermiamoci un attimo: la storia di Rover diventa un piccolo tormento da fine anni Sessanta, ma prima di proseguire conosciamo meglio “MG” ovvero Morris Garage.
Proprio così, MG nasce come officina di preparazione delle Morris “invendute” ed assemblatore delle componenti giacenti nel magazzino centrale del Marchio. Dunque una costola solidale e sbarazzina del prostigioso Brand Morris, sebbene votato al target popolare.
Proprio nel 2024 MG ha compiuto cent’anni nel silenzio generale, perché il Direttore Generale di Morris – Cecil Kimber – sforna la prima MG su base Morris Oxford nel 1924.
In meno di cinque anni il piccolo Marchio fa un boom, e deve trasferirsi ad Abington nel 1929.
Arrivano Record e primati: “MG” è la prima auto da 750 cc a superare le 100 miglia orarie di velocità massima, e nasce il mito delle “Midget” MG (cioè le EX120); inoltre MG è il primo Marchio non italiano a vincere la Mille Miglia con la “K3” Magnette che vince la sua categoria
Dopo la seconda Guerra Mondiale l’esercito americano di stanza in Gran Bretagna porta decine di deliziose e mai viste MG in patria e da quel momento gli Stati Uniti sono il secondo mercato di sempre per MG.
Va tutto troppo bene perché la politica non entri a rompere schemi e qualcos’altro: nel 1952 nasce un primo carrozzone di Stato, la British Motor Corporation che ingloba Austin/Morris e dunque MG ma anche vere concorrenti come Wolseley e Riley.
TMa MG va dritta per la sua strada e nel 1955 presenta la “A”, una delle sue più belle auto e prodotta in oltre 100.000 pezzi.
MmjkuuùLa categoria motoristica di MG resta popolare nel taglio ma non nelle prestazioni: nel 1958 alla versione da 1.500 cc si unisce un Twin Cam 1600 cc. che è tra i primi a toccare i 105 cv per un motore di serie. Nulla a confronto dei 290 Cv che sviluppò il 1500 con Compressore di un prototipo da Record di velocità a Bonneville basato proprio sulla “A”, chiamato “EX181” e guidato da Stirling Moss nel 1957 a oltre 245 Miglia orarie.
Due anni dopo sempre a Bonneville Phil Hill, con il motore 1.500 twin Cam da 300 Cv tocca le 255 miglia orarie di velocità massima, la più alta di sempre per una MG. Un’altra “…più…MG di sempre” è la MGB del 1962, la prima monoscocca, in versione roadster ed in versione chiusa nel 1965 con tetto disegnato da Pininfarina. E forse la MG più venduta di sempre.
Fermiamoci qui: sia per Rover che per MG siamo arrivati alla fine degli Anni Sessanta. Il peggio deve ancora arrivare.
Dagli anni Sessanta Importazioni e shopping dall’estero fanno entrare in crisi il sistema industriale nazionale; a questo, dalla fine degli anni Sessanta, si unisce il fenomeno dello sciacallaggio sindacale: per effetto della corruzione operata da altri Dealers e Costruttori esteri, i Dirigenti sindacali proclamano negli Stabilimenti chiave dell’Automotive inglese raffiche di scioperi, arrivando a onorare solo un giorno lavorativo su tre all’anno; il motivo è semplice; da “Red Derek” ai suoi colleghi semi mafiosi dell’associazionismo sindacale inglese, la scelta di bloccare gli Stabilimenti diventa una operazione “extra-busta paga” straordinaria: inchieste e indagini giudiziarie e parlamentari scoprono traffici nascosti di ricambi e macchinati rubati dagli impianti produttivi, scoprono migliaia di Concessionarie e Punti Officina della concorrenza ai Marchi inglesi che fa risalire direttamente od indirettamente alla delinquenza sindacale dell’epoca. Finchè un giorno, God save the Queen, non arriva “LUI”: Sir Michael Edwardes. Ma facciamo ordine.
La nazionalizzazione selvaggia e la mafia sindacale in Gran Bretagna:
muore l’auto “British”
Dopo il primo Dopoguerra in cui era stata contemporaneamente miglior mercato Auto europeo e mondiale, Nazione vincente e dunque non assoggettata alla tagliola di Norimberga e soprattutto partner commerciale preferenziale dei ricchissimi americani, la Gran Bretagna dal 1955 aveva dovuto cominciare una “lotta di frontiera” per proteggere il proprio mercato industriale, schiavo di sè stesso (Gamma auto troppo conservatrice e di nicchia, costi di produzione altissimi ed incapacità di sfondare nei mercati europei) e di politiche governative disastrose in primis dei Governi Laburisti : l’iniezione di soldi pubblici aveva trasformato gli Stabilimenti automobilistici nazionali in incubatori di voti e corruzione, con assunzioni a valanga di manodopera inutile ma anche con la esplosione di lotte sindacali pretestuose e ricattatorie che avevano paralizzato il sistema produttivo.
E nonostante il lancio della straordinaria “Mini Minor“, dai circa 2.500.000 di auto prodotte nel 1964 la Gran Bretagna era passata a circa 1.800.000 di unità nel 1972, ed il 1980 proietterà un solo misero milione di pezzi, contro quasi il doppio di Germania, Francia ed Italia. Per questo gli anni Ottanta diventano il palcoscenico della schizofrenia inglese in campo Automotive: da un lato apertura totale ai giapponesi, e dall’altro contropropaganda diffamante il più delle volte su presunte pecche costruttive della concorrenza estera soprattutto tedesca, al pari degli Stati Uniti dove la pubblicità offensiva era all’ordine del giorno contro le auto europee.
Per proteggere l’Industria dell’Union Jack soprattutto dalla concorrenza, dagli anni Sessanta un numero impressionante di Marchi viene parcheggiato dentro quattro Gruppi: la Leyland Motors (che comprendeva MG, Triumph e Rover e finirà per assorbire anche Land Rover); la BMC – BritishMotor Corporation (Austin Motor, Riley, Wolseley, Alvin, Vanden Plas, Princess, Jaguar – Daimler, Nuffield – Morris); poi il Gruppo Rootes (Sumbeam, Singer, Humber, Hillman, Frazer, Talbot) ed infine Rolls Royce-Bentley ed AstonMartin Lagonda. Rimaneva infine una prestigiosa galassia di Marchi artigianali (Lotus, Bristol, Jensen, AC, Marcos, etc..) comunque al “Top” di sportività e prestigio.
I Governi più impegnati nell’iniezione di Sterline pubbliche all’Industria UK sono certo stati quelli di Harold Wilson e di James Callaghan, tra il 1964 ed il 1979; ma anche al Governo Conservatore di Edward Heath – il 4 Febbraio 1971 – era toccato di salvare la divisione aeronautica di Rolls Royce, finita in amministrazione controllata con oltre 75.000 lavoratori che da Hillington e dintorni rischiavano il posto.
Ma il primo boato della frana fu nel 1958 quando il Gruppo Rootes fu comprato da Chrysler che “colonizzando” il Gruppo inglese (che aveva già conquistato il Sol Levante e che stava per diventare il primo produttore occidentale ad aprire uno Stabilimento in Romania) aveva aperto ufficialmente lo stato di crisi.
E si arriva nel 1968 quando la politica spinse per la maxi fusione tra British Motor Corporation e Leyland nell’ unico grande conglomerato “B.L.M.C.” (British LeylandMotor Corporation, poi nazionalizzato dal 1975 con i soldi pubblici di Sir Harlod Wilson) con ben 14 Marchi al suo interno.
Come estremo gesto di disperazione nel 1976 Wilson crea il “N.E.B. – National Enterprise Board” per “potare” le imprese nazionalizzate che è ormai ora di abbandonare al loro destino, ma il problema è che il presidente designato del N.E.B. tra il 1975 ed il 1977, Lord Don Ryder, sta praticamente buttando via soldi pubblici su British Leylandsenza riuscire a risollevarla: a questo punto entra in scena Sir Michael Edwardes (già Manager di importanti Aziende inglesi di componentistica) che affianca per un anno proprio Don Ryder nel Board del “N.E.B.” e lo sostituisce nel 1977, l’anno del “Giubileo d’Argento” della Regina Elizabetta.
Alla sua prima Conferenza Stampa Edwardes ha appena dichiarato guerra aperta ai sindacati con la prima occasione di linea dura a Febbraio 1978 va diretto a Speke e fa chiudere lo Stabilimento contro un Sindacato che non vuole avviare nessuna trattativa.
Edwardes si spostava regolarmente in Jaguar e Rover, e lavora per il rilancio di un Marchio che in effetti torna sugli allori. La “Rover SD1” diventa “Auto dell’Anno 1977” mentre prosegue il rilancio e la valorizzazione di Jaguar, e la nuova “Austin Metro“, anticipa un progetto di collaborazione con il colosso giapponese Honda per una linea di nuovi modelli in Joint ventures;
Anche per MG Edwardes si muove con impegno: nel 1979 è protagonista di un “incontro di prova” tra AstonMartin ed MG che ha dato vita al prototipo “MGB Aston; tentativo per unire le due realtà imprenditoriali nell’Impianto di Abington. Sempre con Aston Martin, o meglio con Victor Gauntlett, tenta l’esperimento della celebre “Aston – Jaguar Bulldog” del 1980. E Sir Michael fa persino conoscenza con il famoso e discusso John De Lorean che si propone per rivitalizzare e far ripartire la Triumph nel famoso Impianto di Dunmurry in Irlanda, ma sappiamo che piega presero poi le cose….
Ecco perchè Edwardes il 24 Dicembre 1979 – con l’OK appena ottenuto dal Governo per incontrare la Honda – anche se il giorno dopo è Natale, ed anche se purtroppo suo padre si è aggravato dopo una lunga malattia a Port Elizabeth, deve tuttacvia volare di corsa al Centro Direzionale “HayoamaBuilding” di Minato (Tokyo) perchè il 26 Dicembre (giorno normalmente lavorativo nel Giappone scintoista) è atteso dal Presidente della Honda Kawashima, e quando tornerà dal Giappone per tornare in famiglia, purtroppo dovrà recarsi al funerale paterno.
Martedì 25 Dicembre, Heathrow – London Airport, ore 9,00 : mentre gli inglesi si stiracchiano davanti alla TV con “Star Over Behetlem” trasmesso dalla BBC Michael Edwardes sta salendo in aereo verso Tokyo e dai microfoni saluta i suoi concittadini con un “Now buy British !!” per contrastare l’oltre 60% di mercato in mano ai Marchi esteri.
Minato, Tokyo, 26 Dicembre 1979: Edwardes e Kawashimafirmano un accordo rivoluzionario, prospetticamente di 15 anni per la condivisione di tecnologia e sviluppo congiunto della prima auto giapponese prodotta su suolo comunitario (l’Alfa “A.R.N.A.” arriverà due anni dopo) che sarà anche la prima capostipite di una serie di insediamenti nipponici in UK (verranno piano piano la Nissan, la Mitsubishi, la Suzuki, Toyota, Subaru e Daihatsu); come detto la base “Ballade” non è destinata a diventare per una best seller europea (men che meno nel DNA della Triumph) ma almeno permetterà a British Leyland di rianimare gli impianti di Cowley e Gaydon (Ex RAF, appena riconvertito con Pista di Prova, Galleria del vento e Centro sviluppo Progetti) con una produzione su licenza (rimarchiata Triumph Acclaim)a soli 100 USD di Royalty per auto prodotta, davvero spiccioli!
Purtroppo l’azione di Edwardes è una mannaia per la storia e l’eccellenza industriale del Regno Unito: chiudono 19 Impianti su 55, tra i quali Abingdon e Canley (MG), Solihuled appunto Speke (Triumph), mentre rimangono Cowley, Browns Lane e Coventry. A fare le spese delle “lacrime e sangue” sono in primis “Vanden Plas” ed “MG” che da produttori diventano o ritornano semplici “Griffe” di personalizzazione di modelli speciali mentre già Riley, Wolseley, Alvis, e praticamente la Morris erano finite di esistere.
Questo Vi spiega perché la Gran Bretagna è diventata in pochi anni il luogo di elezione dei Marchi giapponesi che volevano arrivare in Europa, e anticipa quello che è accaduto tra Austin Rover ed Honda.
Ebbene, uscito Edwardes da BL il timone passa ad un Management che decide di unificare sotto un unico raggruppamento Austin/Rover/MG per poi spegnere Austin.
Inizia il rapporto “binario” tra Rover ed Honda fatto di luci ed ombre: ottime piattaforme motoristiche provenienti da Tokio ma assemblaggio e verifiche di catena di montaggio decisamente scadenti fanno del prodotto Rover una “Premium a metà” quanto a qualità costruttiva e cura dei dettagli;
i numeri rimangono marginali, anche perché nel frattempo l’Europa da fine anni Ottanta comincia a subire profonde trasformazioni socio/economico/politiche: ad inizio anni Novanta le tempeste speculative su Lira e Sterlina mettono queste due valute in una situazione critica, e le rispettive economie entrano in cavitazione.
Certo, a confronto della situazione italiana la Gran Bretagna appare ancora un Eden motoristico; ma da quel 24 Dicembre del 1979 sembrano ormai passati secoli: e poco dopo la scomparsa di Sir Michael Edwardes il 15 Settembre del 2019 a Swindon, davanti agli Stabilimenti Honda, centinaia di residenti sfilano per convincere il Marchio giapponese a riaprire l’Impianto chiuso a Luglio 2021 con l’uscita di 3.500 operai: con questo passaggio si chiude idealmente la rivoluzione straordinaria di quell’ex suddito coloniale di Sua Maestà la Regina, che a Natale 1979 gridò”Buy British” !!!
Riccardo Bellumori (Prima parte di Due – Segue)