Lo sanno anche i bimbi: nel 1492 Cristoforo Colombo partì alla volta delle Indie tentando una nuova rotta, e si ritrovò in America.
Quello che invece hanno capito bene i bimbiminkia che lo hanno eletto, è che oltre 500 anni dopo Donald Trump ha deciso di collegare l’India con l’America usando non le caravelle ma le tabelle dei Dazi presentati al mondo il 2 Aprile 2025.
E’ una delle considerazioni a margine del piano di nuovi Dazi che gli Stati Unilaterali (nel senso che è ormai un quarto di secolo che gli USA si muovono secondo il loro univoco punto di vista e senza necessaria condivisione delle strategie con i cosiddetti Partner od alleati mondiali. Il commercio mondiale nasce nel 1947 con il GATT nato per regolamentare i dazi doganali e per ridurre il vincolo del protezionismo in alcuni mercati.
Ma fu un accordo vigente praticamente in una metà del mondo e soprattutto in un sistema occidentale che stava lentamente superando lo status coloniale per alcune nazioni.
L’attuale sistema commerciale globale è stato istituito tramite l’Accordo generale sulle tariffe doganali e il commercio (GATT), il precursore del WTO. L’ordine commerciale globale basato sulle regole del GATT è stato costruito sui due pilastri della non discriminazione e della reciprocità.
La regola di non discriminazione della “nazione più favorita” (MFN) garantisce che le esportazioni dello stesso prodotto provenienti da qualsiasi paese godano di un trattamento tariffario equo in un dato mercato di destinazione.
Reciprocità significa che gli accordi tariffari mirano a bilanciare i cambiamenti nei volumi di importazione ed esportazione che ogni paese sperimenta come risultato delle negoziazioni.
La fine dei blocchi contrapposti e dunque l’apertura ad Oriente ha creato dagli anni Novanta il problema di comprendere un nuovo mondo nel novero di regole del GATT che proprio su proposta degli Stati Uniti è diventato il “W.T.O”: in pratica un organismo auto organizzato e sedicente indipendente in grado di rivestire il ruolo di regolatore e di risolutore delle controversie tra Paesi e territori in rapporto commerciale reciproco: sette giudici appellabili chiamati a decidere in modo arbitrale.
Uno dei vincoli costituenti del WTO era il patto implicito reciproco tra Stati di seguire le filosofie e le discipline del diritto americano di riferimento, e due clausole in specifico erano quelle che alla lunga gli Stati Uniti hanno ritenuto più “bucate” di tutte: la sanzionabilità con dazi doganali dei Paesi accusati di dumping commerciale; e la sostanziale linea di equilibrio sulle valute imposta dalle diverse Banche Centrali, con il vincolo di non alimentare svalutazioni competitive per facilitare l’export di alcuni Paesi negli altri.
Paradossalmente, nel primo mandato di Trump alla Casa Bianca la giuria arbitrale del WTO aveva sancito al contrario che la politica dei dazi ricercata dal Presidente era illegale: di fatto nessun diritto di Trump a poter mettere muri doganali e tasse ai paesi che invadevano regolarmente gli Stati Uniti di merci.
Ed ecco che nel 2019 arriva il primo affondo di Trump sull’organismo di Appello del WTO a Ginevra, con la latitanza del voto sul rinnovo dell’organo e le dimissioni di ben sei dei sette giudici. E ingabbiare l’attività appellante per assenza di giudici è esattamente quel che Trump ha fatto paralizzando l’attività di giudizio, controllo e sanzione. Ok, ammettiamo che l’intento di Trump sia di voler ingessare le attività di controllo, giudizio e sanzione dell’Organo di controllo WTO: cosa c’entra l’India? Proviamo a ripercorrere un poco di passaggi chiave.
India, la via per l’America: corsi e ricorsi storici
Da quando è entrato in carica, Trump ha rispolverato leggi statunitensi vecchie di decenni per giustificare l’imposizione di tariffe sugli alleati della NATO, sui partner europei, sul Canada, sul Messico, su gran parte del resto dell’America Latina e, naturalmente, ripetutamente, sulla Cina.
Ed i paesi colpiti da tariffe unilaterali statunitensi hanno reagito in modo prevedibile, con tariffe proprie e boicottaggi commerciali che hanno colpito decine di miliardi di dollari di esportazioni statunitensi e sconvolto i flussi commerciali globali, portando il Fondo monetario internazionale, l’OCSE e il WTO stesso a rivedere al ribasso le stime di crescita globale a causa delle crescenti tensioni commerciali. Come spesso ricordo da questa piattaforma senza voler essere complottista, il Lockdown è capitato al momento giusto obbligando il sistema globale a ridefinirsi anche per far fronte ad alcuni “Stress Test” che più o meno accidentalmente sono nati dopo la crisi Covid: la crisi dei semiconduttori, la fine della Supply chain globale, il ritorno delle Cryptovalute, le filiere a KmZero, la tracciatura del Carbon footprint, ed infine la guerra russo-ucraina.
Le azioni di Trump riflettono questa volontà di superare del tutto l’organismo del WTO ed arrivare a tavoli di contrattazione separata ed univoca che non riguardino solo le tariffe doganali ma anche aspetti collaterali come il rapporto tra valute, la condivisione di investimenti, la sicurezza globale, etc.
E in tutto questo cosa c’entra l’India?
Curiosamente, in una guerra di rialzo reciproco di dazi tra aree commerciali contrapposte, un segnale in controcanto è passato inosservato: l’India aveva da poco ulteriormente ridotto i dazi all’importazione sulle motociclette, riducendo le tariffe sulle moto pesanti – con motori superiori a 1.600 cc – dal 50% al 30% e su quelle più piccole dal 50% al 40%.
Evento curioso, in un mercato indiano dove la mobilità diffusa è attualmente – e soprattutto ancora – basata sulle due ruote ma con diversi colossi nazionali ed una filiale Piaggio of India che è paragonabile ormai ad una realtà industriale autoctona visto che – per esempio – in India si continuerà a produrre per anni a venire il famoso “Ape”.
Insomma, un mercato indiano che per Harley ed Indian vale appena 3 milioni di dollari all’anno, ma con dazi doganali all’ingresso che erano del 50% per le maximoto – non può che risentire positivamente del nuovo assetto contabile deciso dal governo indiano.
Chiaro, chi conosce i precedenti di Trump sa che il Presidente USA ha criticato in passato proprio la politica dei dazi dell’India all’ingresso di beni e servizi esteri: e le cifre sono – per dirla così – dalla parte della Casa Bianca, visto che l’India da prima del Lockdown ad oggi ha aumentato del 40% l’export di beni, del 22% quello di servizi, ma non dimentichiamo che davvero una larga fetta di manager nei posti che contano in USA è indiano. Lo “sbilancio” commerciale tra India ed America è di più 120 miliardi di Dollari a favore della prima ovviamente.
Ma oltre ai dazi sulle due ruote, l’India ha azzerato le tasse di importazione sulle installazioni satellitari terrestri, sulle essenze aromatizzanti sintetiche mentre ha anche eliminato i dazi su determinati articoli di scarto e rottami: insomma le voci contabili di importazione statunitensi in India sono state “casualmente” agevolate in modo unilaterale. Certo, gli USA hanno un argomento convincente in mano: esportano in India figurano greggio e prodotti petroliferi, GNL, carbone, dispositivi medici, strumenti scientifici, rottami metallici, turboreattori, computer e mandorle.
India esce dalla Black List di Washington?
L’India e gli Stati Uniti stanno avviando un confronto comune su un accordo commerciale bilaterale” giusto, equilibrato ed equo”, ed in questo diversi analisti ritengono che il Dazio del 26% definito dall’amministrazione Trump contro New Dehli sarà uno tra i primi ad essere rimosso entro la fine di quest’anno : infatti, come specificato, gli Stati Uniti possono ridurre i dazi se i partner commerciali adottano “misure significative per porre rimedio ad accordi commerciali non reciproci” e si allineano con l’America su questioni economiche e di sicurezza nazionale.
Un accordo tra India e Stati Uniti su un riequilibrio di dazi doganali reciproci allontanerebbe tuttavia dal governo di New Dehli il vero incubo che agita lo staff di Governo: il rischio che una guerra commerciale India/USA possa avvantaggiare l’ingresso di merci sottoprezzo cinesi che ovviamente beneficiano, soprattutto in ambito di mobilità elettrica, degli aiuti governativi; ed in ottica di una probabile riduzione dei volumi esportati negli USA, la Cina potrebbe riversare in India volumi di prodotto in esubero sul mercato interno a prezzi stracciati.
Alcune fonti informative hanno inoltre affermato che il piano americano di imporre tariffe reciproche sulla maggior parte dei paesi ha portato importanti partner commerciali a rivolgersi all’India per accordi di libero scambio (FTA). Oltre che con gliStati Uniti, l’India sta negoziando accordi commerciali anche con il Regno Unito (UK).
Piccolo ulteriore indizio: la sventagliata di dazi statunitensi verso il mondo ha prevedibilmente “premiato” l’antico partner britannico: il valore del 10% rispetto a dei veri e propri rimbalzi doganali verso altri Paesi ha il sapore del “premio fedeltà” verso l’Isola dell’Union Jack; ma questo porta anche ad alcune considerazioni “simmetriche” ovvero “triangolari” da valutare.
India/ Gran Bretagna: tornano i negoziati
Colloquii diretti tra India e Gran Bretagna, formalmente interrotti per la scomparsa di Sua Maestà Elisabetta sono ripresi da poco tempo tra il Segretario per il Commercio e gli Affari esteri Jonathan Reynolds ed il Ministro indiano Piyush Goyal.
Dopo aver firmato 13 accordi di libero scambio con altri Partners commerciali, ora è il momento di un fronte di accordo anche con l’Isola Britannica. Il fine è quello di ridurre ovvero cancellare i dazi all’importazione reciproca su un panel di almeno il 90% di prodotti soggetti a tassazione oltre a ridurre al minimo le barriere non commerciali su una parte significativa delle importazioni dalle nazioni partner.
Dopo aver ottenuto accordi con le principali economie asiatiche, l’India sta ora dando priorità agli FTA con Regno Unito, UE e Stati Uniti per espandere le esportazioni e rafforzare i legami commerciali con le principali economie occidentali.
Quali vantaggi del libero scambio tra India e Regno Unito
Stimolare il commercio e gli investimenti riducendo le barriere tariffarie e non tariffarie e migliorando l’accesso al mercato;ampliare le opportunità nei settori della tecnologia, dell’assistenza sanitaria e dell’istruzione.
Tra i prodotti del Regno Unito che dovrebbero trarre vantaggio da questo accordo di libero scambio figurano metalli preziosi, automobili, prodotti per la cura della persona, rottami metallici, prodotti petroliferi, scotch e altri alcolici, macchinari e circuiti integrati
L’India potrebbe ottenere un maggiore accesso per i suoi studenti e professionisti nel mercato del Regno Unito, un accordo sulla previdenza sociale, oltre all’accesso al mercato per diversi beni a dazi doganali nulli. D’altro canto, il Regno Unito sta cercando un taglio significativo dei dazi all’importazione su beni come whisky scozzese, veicoli elettrici, carne di agnello, cioccolatini e alcuni prodotti dolciari.
La Gran Bretagna è inoltre alla ricerca di maggiori opportunità per i servizi britannici in India in settori quali le telecomunicazioni, i servizi legali e finanziari, tra cui banche e assicurazioni.
Con una ipotesi non certo peregrina: la Gran Bretagna ha davvero molto spazio industriale – dopo le dismissioni dei giapponesi causa Brexit – da assegnare a nuovi partners, e certo l’ipotesi di ripopolare le industrie con il partner USA diventa da oggi molto più concreta e favorevole; ma pensate ad un triangolo in cui Stati Uniti e Gran Bretagna partecipino massicciamente alla industrializzazione dell’India, mentre gli USA decidessero contemporaneamente di insediare le loro Imprese in Gran Bretagna: è chiaro quale sarebbe lo sbocco finale logistico e commerciale di tutto questo.
Il ritorno della Gran Bretagna nella “sua” ex colonia del Sud Africa, dal quale è uscita ormai sessant’anni fa e che di certo non ambisce a vedere diventare una nuova colonia tedesca, europea o cinese. E credo che questò è lo stesso spirito che anima l’America.
Insomma, buttando a fiume il WTO che hanno contribuito a creare, gli Stati Uniti potrebbero disegnare un nuovo asse privilegiato con India e Gran Bretagna (ed ovviamente parte del SudAmerica) per approdare più comodamente in quel mercato comune africano che debutterà nel 2035?? Io scommetto di si. E voi?
Riccardo Bellumori