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Da BYD una lezione di Value for Money per il mondo BEV

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Ricordate il caro “Value for Money”? Era, più che un valore simbolico, un vero e proprio algoritmo concettuale che si basava su due scale di benchmark parallele ma distinte: quello del paragone diretto e concreto tra quel che potevano offrire, a parità di prezzo, prodotti diversi in diretta concorrenza tra loro su un medesimo ambito di mercato. Un confronto pratico, scalare e analitico, per “pesare” quel che offerte diverse ed in competizione tra loro potevano garantire effettivamente all’acquirente finale.

Il secondo binario di benchmark era invece quello che comprendeva l’analisi oggettiva del consumatore finale unita però anche a quella che era la dimensione più emotiva, intima, e dunque meno misurabile oggettivamente di colui che operava la scelta finale di acquisto: in parole povere, il Value for Money non si limitava a valutare solo beni “commodity” o a convertire in commodity beni o servizi oggetto di scelta e valutazione da parte del cliente finale, ma contemplava anche considerazioni di natura emotiva e passionale. 

E poi, che fine ha fatto il “Value for Money”? Il Marketing vecchio stampo di Kotler & Co. comincio’ a rendersi conto che la crescente maturazione ed esperienza acquisita da parte dei consumatori rendeva questi ultimi sempre più esigenti in termini di scala delle aspettative che le valutazioni di “Value for Money” miravano a soddisfare; e cominciò, pericolosamente, a farsi strada nel mercato auto una contrapposizione: da un lato i marchi messi a confronto nella gamma di prodotti offerti secondo il criterio di Benchmark del “Value for Money”. 

Dall’altro però una linea di comunicazione e di offerta commerciale decisamente paracula cominciò, da inizio anni Novanta, ad introdurre un termine di valutazione del tutto nuovo, iconico, simbolico, ed etereo: cominciarono a prendere piede sul mercato i “Brand”. Cosa erano? Erano delle composizioni assiomatiche – del tutto definite a priori – di valori e simboli che taluni Marchi eletti ed autoproclamati superiori agli altri rivendicavano di detenere e che costituivano veri e propri certificati di pedigree industriali. In parole povere il Marketing psichedelico occidentale, ingolosito dal miraggio di invadere i nuovi mercati di Est Europa ed Asia con la riedizione automobilistica di perline e sveglie per indigeni, aveva proclamato il celodurismo germanico titolare del privilegio di detenere i “Brand”. Anzi, la categoria presidenziale dei “Premium Brand”.

IL VALUE FOR MONEY PER BYD

E tutto il resto era, pietosamente, value for Money. Anzi, mi correggo: il Value for Money era la dimensione di valore intermedia nel mercato, dopo i Premium Brand ed i “multilevelBrand”. Alla base di questa nuova scala Darwiniana del mercato vi era il “Junk Value” rappresentato dal segmento Low Cost.

Ci siamo andati avanti come idioti per quindici anni in Europa con vaccate del genere: Media e opinion leader avevano sdoganato l’arianesimo industriale, se sei un Marchio biondo e nordico sei di elite, e chi se ne frega se poi le fatture dei servizi di aftersales ti costano l’espianto di organi all’atto del saldo. 

Chi ha prodotti del Brand vive più a lungo, ha tutti i valori ematici a posto, vive sereno e non patisce le pene del volgo sottostante, quello che guida “Value for Money” o peggio. 

E pazienza se l’illusione che il Premium Brand di turno sforni “assegni circolari” duri al massimo un semestre dopo l’acquisto per poi presentare il conto all’aristocratico babbeo di turno, cioè a colui fideisticamente convinto di guidare appunto un presunto “assegno circolare”.

Ma chi di Brand ferisce di Brand perisce

E così la razza automobilistica euroariana per dono di Brand, dopo aver letteralmente piallato il mercato auto abbattendo, con il silenzio assenso di Bruxelles, la biodiversità dell’industria auto continentale, doveva attendere la crisi dei Mutui Subprimeamericani per sbattere il muso contro un unico e solitario gran figlio di Lehman: Elon Musk aveva visto lungo e cavalcando l’onda di contestazione contro il vecchio, maleodorante e precario mondo dell’auto classica, si era inventato il primo Premium Brand totalmente elettrico nella storia del mercato auto; e siccome chi primo arriva meglio alloggia, lo “spread” temporale (alias il temporaneo immobilismo dei Premium Brand tedeschi nel controbattere tempestivamente contro Tesla a suon di modelli full electric) è stato capace di garantire al nuovo Marchio leader di simpatia e consensi di prosperare a suon di ordinativi fatti attendere semestri e di Carbon Credits elargiti come se piovesse. 

PREMIUM DI NOME E PREMIUM DI FATTO

Dove era finito il Value for Money in tutto questo scenario? Semplicemente si era perso per strada: nessuno più valutava le BEV in base al rapporto tra costi e rendimenti, ma solo in base a quanto bene facevano all’ambiente. Un esercito (molto piccolo, in verità) disposto e convinto a guidare delle piante mangiafumo delle quali nessuno sapeva, e mai ha saputo in seguito, conoscere o determinare il reale valore tecnico e di investimento. Tanto, alla fine, o ti compravi una elettrica o prima o poi la politica dei divieti avrebbe messo la tua classica endotermica al bando.

Ma anche in questo caso l’arianesimo elettrico ha avuto la sua contropartita. E’ bastato l’arrivo in Europa di chi sull’elettrico ci lavora e ci fa industria da almeno un ventennio, per far precipitare anche la regina BEV d’occidente (la Tesla) nelle sabbie mobili. 

Sarebbe bastato alla Cina presentarsi come “Premium Nation” del mercato BEV per convincere un mercato di consumatori europei ormai rintronati a scegliere prodotti provenienti dalla Grande Muraglia? Sicuramente, sarebbe bastato controbattere l’offerta europea con una guerra al ribasso dei Listini. 

Questo ha presupposto Bruxelles che, aprioristicamente, ha rovesciato il tavolo da gioco dove erano ben nascoste le carte di salvaguardia dei Dazi. Ma probabilmente la UE ha sottovalutato il suo competitor. Fateci caso, e troverete che l’offerta BEV da parte di Marchi cinesi leader dell’elettrificazione non si basa assolutamente sulla corsa al ribasso. Ma sulla composizione di una offerta completa, di rango, tecnologicamente eccellente e capace di mantenere le promesse. 

Questa è la lezione, impartita con serenità e classe, dal Management Staff di BYD all’incontro con Media e pubblico nello spazio delle Officine OGR a Torino: tornare al “Value for Money” e rendersi primi protagonisti del ritorno a questo protocollo di intesa con i consumatori. Perché da questo si deve ripartire per ricreare fiducia nell’investimento necessario ad acquisire e a detenere un’auto. Elettrica o no, per i Brand è l’ora dell’addio.

Bentornato “Value for Money”, benvenuta BYD.

Riccardo Bellumori

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