Sugli USA aveva ragione Mister Honda: il racconto dal Bar del Teschio

I nostri cari due lettori di Autoprove.it hanno iniziato ad affezionarsi ad un luogo surreale, magico, intriso di mistero e di pura poesia. 

E’ il Bar del Teschio, in un punto imprecisato di Via Oderisi a Roma: qui si incrociano vite, esistenze, anime, opinioni, stili di vita diametralmente opposti tra loro eppure artisticamente intrecciati e sovrapposti a creare un vero e proprio micromondopostmoderno. Da un po’ di tempo aveva iniziato a frequentare quel luogo ameno anche un avventore particolare: indefinito, misterioso, dall’età e dalla personalità incerta, amava raccontare storie di Auto e del mondo di cui faceva parte da tempo e che sapeva però rappresentare con un punto di vista clamorosamente diverso dal solito, e tutto questo – all’insaputa dei gestori del Bar capeggiati dal bravo e giovane Fabrizio – era determinato esclusivamente a sollecitare gesti di generosità dei suoi interlocutori – a loro volta clienti del Bar del Teschio – che nel dialogare con lui offrivano la consumazione; ovvero a sollecitare sconti  e favori in  modo plateale e sfacciato allo Staff del Bar medesimo.

Tuttavia il suo fraseggio ed i suoi temi erano entrati un poco nel linguaggio comune dei frequentatori del locale.

“Eh, Fabbrì???” – esclamò il distinto signore che amava sorbire un caffè seduto all’esterno del Bar, e che solitamente attirava l’attenzione di Fabrizio in questo modo – “hai inteso????”

“Dimme Gio’!!” – rispose prontamente il giovane – “Che è successo??”

“Sto Trampe sta facendo un casino, vole chiude tutto, mette i dazi, fa le guere….” (Giorgio era uno degli ultimi manifesti viventi del romanismo dialettale romantico e popolare, per cui va trascritto religiosamente nel verso della pronuncia dialettale) “Sto mondo è diventato ‘n’casino!!”

Fabrizio, premuroso e paziente come sempre, cercava di rasserenare il nostro distinto avventore, quando si affacciò dentro al Bar del Teschio una presenza sempre gradita, capace di portare buonumore e di interessare le platee per la caratura scientifica delle sue argomentazioni. 

In gergo e con affetto veniva soprannominato dai frequentatori del Bar come un viaggiatore dell’Iperspazio ignoto, data la sua indiscutibile competenza su tutto quel che fu, sarebbe dovuto essere, e sarà dell’Universo Intergalattico, che lui conosceva ed aveva girato come una famigliola romana sapeva fare nelle gite fuori porta del ponte Pasquale. Da tempo, si dice, costui era stato bannato dalla Società scientifica per le sue verità scomode.

Per lui, uomo di scienza, la questione era racchiusa nel simbolo del Dollaro e dell’Euro: piegando solo seicentosessantasei volte le banconote americane od europee, al buio totale ed a distanza di almeno seicentosessantasei metri dall’oggetto della osservazione, si vedeva benissimo nel cartoccio risultante dalle piegature l’immagine del diavolo e delle sue corna.

Sistemato il viaggiatore dell’Iperspazio nel suo tavolino preferito, dal quale poteva dialogare al solito con il suo Smartphone, dal tavolo dirimpetto una simpatica ed esperta conoscitrice del mondo reale, in quanto giornalista professionista, inizio’ un racconto sulle sue esperienze in America, tra Miami e la Costa Occidentale.

Ma l’ambiente del Bar si completò ben presto di nuove anime dibattimentali: entrò il nostro indefinito avventore alla ricerca disperata di un caffè gratis, ma la platea non poteva garantirgli in quel momento di ricavare gesti di generosità, fino a quando non si appalesò un amico del Bar del Teschio: Simone.

Simone era davvero un Cliente DOC: sempre simpatico e capace di raccontare in modo coinvolgente le suE vicende e le sue esperienze, era tra i pochi in grado di trasformare l’ambiente e di coinvolgere le persone con argomenti o domande sempre interessanti. Con l’avventore automobilaro indefinito, che amava raccontare storie ignote e spesso contraddittorie, Simone aveva parlato spesso data la sua passione e conoscenza delle belle auto e dei modelli di prestigio. Anche Simone, interessato dal tema “Stati Uniti, dazi e mazzi”, aveva trasmesso al dibattito le sue esperienze di viaggio in America, le auto chilometriche e la passione storica degli Yankee per i bei motori. Avvicinato al nostro avventore misterioso, fu come sempre amabile e amichevole nell’offrire un caffè. Magicamente il nostro personaggio indefinito si animò con una serie di considerazioni.

La presunta simbologia degli Stati Uniti come nazione del libero mercato e della iniziativa personale era da sempre una grandissima balla. Nessun Paese come gli Stati Uniti sono stati esempio costante di cultura medievale padronale e latifondista, ossessionata dall’imperialismo di reazione dopo secoli di dominazione coloniale europea. Un coacervo, gli Stati Uniti, di razze e mescolanze socioantropologiche che tuttora sono tenute insieme – dobbiamo dirlo – dal rispetto per la Costituzione, rispetto autogenerato ovvero imposto pesantemente dalle Istituzioni. Il liberalismo dalla mano pesante delle istutuzionifederali non ha mai avuto nulla a che vedere con le teorie liberali di Hamilton, di Popper e di altri simboli vuoti dell’Aquila Yankee. Una sola persona ha saputo dire la verità assoluta sugli Stati Uniti. E fu un giapponese, di quelli su cui l’aquila liberale fece cadere inavvertitamente le due bombe atomiche. Fu Soichiro Honda, figlio del Giappone umiliato e presidiato dall’Esercito americano nel primo Dopoguerra, a dire cosa davvero è quel nobile immondezzaio che si chiama Federazione degli Stati Uniti d’America.

Lo dichiarò in una Conferenza Stampa nel 1970: il Giappone, nuovamente e per la ennesima volta, si preparava ad asfaltare il grigiore industriale e la scarsa attitudine al lavoro degli americani. Fin dalla fine degli anni Cinquanta i giapponesi umiliati dall’America preparavano clisteri commerciali sul mercato statunitense: cominciarono con i micromotori e con le subforniture di eccezionale qualità, ed in poco tempo circuiti elettrici e stampati, oggetti di arredamento, accessori per giardinaggio e piccoli lavori, finendo con ciclomotori e piccoli mezzi per l’agricoltura fecero del Giappone il primo Paese per importazioni negli USA. Ma la partita doveva ancora cominciare: la ossessione nipponica nel voler ingrassare e poi cucinare il tacchino a Stelle e strisce portò in poco tempo il Sol Levante a costruire una gamma di auto piccole e medie che superavano i bisonti americani in tecnica, affidabilità e persino in qualità costruttiva, costando e consumando meno. La mazzata per i costruttori USA iniziò con la Guerra del Kippur dei loro “amici” medioorientali: proprio loro, incapaci atavicamente di tenere a bada istinti bellicosi primordiali, generarono un effetto a cascata di crisi energetica e petrolifera. Edato che con un pieno di una berlina americana i giapponesi ci alimentavano almeno dieci loro piccole vetture, l’esplosione commerciale delle “zanzare” contro gli elefanti di GM/Ford/Chrysler/AMC fu devastante. Iniziarono i primi default, e gli Stati Uniti incapaci di combattere ad armi pari – da sempre – si inventarono norme ridicole e fuorvianti sul rispetto climatico. Vero: furono i primi, gli USA, ad imporre il Catalizzatore venti anni prima dell’Europa. Ma il movente non era climatico: con un arzigogolo illegittimo, autoritario e mai contestato, gli USA imponevano il rispetto delle norme antipollution ai Marchi esteri e creavano le zone di esclusione e di tolleranza per i Costruttori nazionali, e via via nel corso dei decenni le regole antiemissionevenivano modificare arbitrariamente dal Congresso e dalle Agenzie solo ed esclusivamente per danneggiare l’importazione di modelli concorrenti. Questa è la verità. 

Anche il buon amico Simone, che ascoltava, non credeva alle sue orecchie: l’America liberale, anticomunista, progressista era uno Stato canaglia? Beh, si, a detta dell’improbabile interlocutore automobilaro. Che, mentre sorbiva il caffè offerto da Simone ingentilito da biscottini e pizzette magistralmente offerte dalla Casa, ricordava come l’America della Giustizia era quella di Sacco e Vanzetti e non delle Class Action contro le multinazionali del Tabacco; che l’America della democrazia esportata andava cercata in Cile e in Medio Oriente e non nella pseudo liberazione europea dal nazismo, lasciata fare in primis (in Italia) alle truppe lanzichenecche di Marocco ed Algeria, con gli effetti vergognosi cui diedero luogo dei mercenari tribali mandati a presidiare territori da cui i nazisti ormai fuggivano e basta…..E così, allo stesso modo, l’America salutista è oggi quella della nazione più obesa del mondo, l’America del benessere è quella più psicotropa e consumatrice di droghe, ed infine l’America tecnologica è quella che defini’ benissimo Soichiro Honda, al quale il nostro avventore, in finale di caffè, arrivò creando un effetto attesa tipico del suo fraseggio.

Si era, dunque, al 1970: la “Honda Motor Company” era diventata in soli dieci anni la Ferrari d’Oriente: pluricampionessa mondiale di moto, aveva iniziato la gamma automobilistica con piccole vetturette a motore a due tempi, ed in breve queste erano diventate un must per giovani americani e per i contestatori che demolivano i simboli Yankee sporchi del sangue vietnamita e asiatico. La Honda così cominciò ad investire ogni spicciolo in ricerca e sviluppo, mentre al contrario i Big di Detroit dividevano utili azionari e premi restando al palo con vecchi cassoni ormai destinati al cimitero degli elefanti.

Appena scoppiò la crisi energetica ovviamente i marchi giapponesi ed in parte quelli tedeschi cominciarono a crescere vertiginosamente. In tutta risposta la Lobby dei Costruttori USA che pagavano fior di mazzette a Senatori e Deputati del Congresso (storie del tutto rese note nel tempo, la Direzione di Autoprovenon si preoccupi delle esternazioni del curioso avventore del Bar del Teschio) avevano stretto tra le mani gli zebedei della politica, e per risposta le Istituzioni avevano iniziato un florilegio di modifiche sempre più penalizzanti sulle norme antiemissionecontro le Case estere. Mentre dunque i Costruttori giapponesi in primis modificavano di continuo le loro tecnologie, i Costruttori USA mantenevano i loro pachidermi a motore V8 iniziando lo sfacelo delle cosiddette “Pony Cars” che a parte due o tre esempi rari di successo furono uno scempio di soldi e di credibilità.

LA CENTRALITÀ DEGLI USA

Soichiro Honda, in Conferenza Stampa a Giugno 1970, per la presentazione negli USA della World Car “Civic I° Serie”, fu stuzzicato da un giornalista connazionale scelto non a caso per questa domanda: in effetti Mister Soichiro amava copiare Enzo Ferrari nelle invenzioni furbette verso la Stampa, e l’idea in Conferenza della “domanda amica” in quella occasione profumava di Lambrusco e tortellini emiliani. Insomma, il giornalista amico domandò a Soichiro Honda come prendessero i Costruttori giapponesi la iperattività del Congresso USA nel modificare di continuo le leggi antiemissione.

Soichiro Honda rispose nell’unico modo in cui un Davide divino può sparare in mezzo alla fronte di un Golia vecchio e degenerato la sassata, piena ed inesorabile. La risposta è di quelle che, come un pugno ben piazzato al centro della panza dell’attuale Tycoon, spezzò il fiato per anni al vecchio carrozzone USA.

La risposta di Soichiro Honda, dopo un silenzio ben studiato ed un sorriso malizioso, fu epocale: “Vede”, rispose Soichiro, “Ogni volta che il Governo cambia le leggi antiemissione i giapponesi assumono decine di nuovi Ingegneri. I costruttori americani invece continuano ad assumere decine di nuovi avvocati”.

Questo, in soldoni, il motivo per cui il Presidente dei cosiddetti Stati Uniti d’America chiude la sua Nazioncina come Sansone, ormai calvo, chiuse la porta ai Filistei. Perché ormai era il fantasma di sé stesso.

Come lo è, da diverso tempo, questa povera America. Stretta nella sua paranoia imperialista, impoverita fra guerre senza né capo né coda, e soprattutto vittima delle razzie e della guerra intestina tra poteri interni, questa America chiude le porte perché non è più in grado di opporsi al vento contrario. Troppo arretrata, troppo esposta, per non cadere di fronte al pragmatismo cinese e orientale, ed ormai disinteressata ad una Europa che stringe la cinghia. E non a caso, vedi un po’, il nostro interlocutore del Bar del Teschio continua la sua filippica antiamericana sulla quale, sia ben chiaro, Autoprove.it riporta solo le sue dichiarazioni dissociandosi a prescindere dal contenuto e dal tono…

Il nostro interlocutore si sofferma, amabilmente ascoltato da Simone e dall’elegante Giorgio (gli altri si erano nel frattempo dileguati) e da Fabrizio in lontananza, sull’aspetto che fa dell’America quella manifestazione pericolosa di sé stessa e della incapacità di cambiare. Forse colta di sorpresa dall’improvvisa attenzione dell’Europa verso il prossimo nuovo mercato unico dell’Africa, l’America ha dettato l’estremo colpo di coda, novello Cerbero, verso proprio il Continente Africano, sospendendo o minacciando di sospendere (la decisione è in queste ore) gli aiuti economici. Ebbene, cosa ci si può attendere da un vecchio gigante tubercolotico americano che si chiude, sbeffeggia il mercato globale e le sue regole e si appresta a creare una zona di riservato e libero scambio con Sudamerica e Messico? 

Il nostro interlocutore farlocco, finito il caffè offerto dall’amico Simone, saluta con una battuta: “Attendiamoci un nuovo VENTINOVE”…..Ma non un numero da giocare al Lotto…No, no. Proprio quella ripetizione di quel Crack del ’29 da cui, inspiegabilmente, gli USA sono usciti per la prima volta come la Nazione Leader. 

Peccato che all’epoca il mondo che pesava economicamente era un terzo di quello che è oggi. Chiudendo le porte automatiche della sua Banca, l’America rischia davvero (e forse potrebbe essere una fortuna per il mondo, insinua l’interlocutore del Bar del Teschio….) di fare la fine del topolino raccontato dalla celebre Gag di Enrico Brignano in Banca. Ma già: Trump non guarda Brignano. La sua nuova immagine di America, dove il Dollaro colabrodo non può resistere più come valuta guida e dunque si butta nella cripta delle Cryptovalute, dove la tecnologia ed i Brevetti statunitensi sono un decimo ormai di quel che producono Cina ed Oriente, e dove il “lasciar fare” è ormai un incitamento al casino fine a se’ stesso, è un gigante che sta per morire. E Donald lo sa. Ecco perché finge. Tirare a campare finche’ la sua generazione di vegliardi viventi sopravviva nel lusso, lasciando alle generazioni future il deserto che ne deriverà, fa a scopa perfettamente con la sinergia puramente simbolica tra il vecchio stampo Trump e l’eroe nuovo Musk, che alla fine di nuovo ha portato ben poco…….

Secondo il nostro interlocutore misterioso che si congeda ancora una volta senza pagare, Donald non ha bisogno di maestri per essere comico. Peccato che alla fine della sua commedia non saranno in molti a ridere, nel vecchio Occidente decadente. E ricordando una vecchia battuta di una serie TV, “Nellie”, il nostro interlocutore ripete la frase che in una delle puntate della serie il vecchio afroamericano rivolse a Ronald Reagan: “Questo Presidente sta gettando l’America nello scompiglio: dovrebbe far parte anche lui della schiera dei disoccupati”……Già, Nellie, è proprio così: probabilmente Reagan è l’ultimo a poter essere definITO Presidente degli Stati Uniti. Gli altri si chiamano sottoprodotti Low Cost, ma anche questa è opinione del nostro interlocutore improbabile del Bar del Teschio. 

E noi di Autoprove, ovviamente, ci dissociamo…

Riccardo Bellumori

Exit mobile version