Il futuro delle auto elettriche: quella insostenibile leggerezza dell’esserEV 

Breve storia triste dell’auto elettrica dal Dopoguerra ai giorni nostri: la diffusione di benzine sempre più raffinate, trasportabili e stoccabili ha reso ovviamente, fin dagli albori, più vantaggioso per i Costruttori occidentali proporre motorizzazioni endotermiche: ma davvero questa pappardella spiega compiutamente il fenomeno monopolista che ha portato nel mondo quasi un miliardino di barattoli ambulanti sulle strade fino al Crack Lehman del 2007?  

No, la pappardella è buona solo per gli iniziati. Insomma, per coloro che dal punto di vista mediatico e professionale (parlo come sempre della mia seconda categoria preferita, dopo quella dei Dealer: i giornalisti….) o dimostrano una verginità frutto della poca materia grigia oppure di tanti che dopo anni di onorevole attività di meretrice mediatica hanno abbondato di plastiche rigeneratrici di una presunta e molto fantasiosa illibatezza. La diffusione di massa dell’auto endotermica non parte (solo) dalla maggiore potenzialità di trasporto, raffinazione, stoccaggio dei combustibili fossili rispetto alla rete elettrica ancora grandemente incompleta nell’Europa e nel mondo immediatamente postbellico. 

Uno dei maggiori fattori di espansione industriale della generazione endotermica nasce da altri tre fondamentali fattori: la presenza di un numero impressionante di Brevetti registrati sulle architetture endotermiche sin da prima della II° Guerra; la possibilità di scelta dei Costruttori tra ben quattro architetture di funzionamento: Due Tempi, Quattro Tempi, Ciclo Wankel, Ciclo Diesel; ed infine, cosa non di poco conto, la rivoluzione indotta dagli anni ’30 dello chassis stampato monoscocca portante, culla ideale per contenere lo schema endotermico contro il vecchio sistema a longheroni e traverse dove trovavano posto più facilmente i volumi delle prime batterie.

Andate a contare i Brevetti per auto elettriche attivi ed industrialmente interessanti nel dopoguerra, e ne troverete una manciata. Contate i Brevetti dopoguerra in tema endotermico e capirete perché i cosiddetti partigiani francesi carcerieri tra Digione ed altri luoghi ameni ci si sono fatti ricchi barattando con la cessione di diritti industriali sull’automotive la liberazione di presunti criminali o collaborazionisti dei nazisti.

Insomma la realtà è davvero molto più complessa, partendo dal dato fondamentale per capire di che parliamo: sapete cosa dà valore al mondo dell’auto? Tre cose: Know How, brevetti e capacità manifatturiera. Il resto è semplicemente catena di montaggio, filiera di approvvigionamento e simbolismo nazionalista e pedigree.

IL FUTURO DELLE ELETTRICHE

Per questo, non a caso, nel primo Dopoguerra l’industria Auto USA ha occupato per davvero pochissimo tempo il profilo di Leader mondiale, per poi essere surclassata dalla maggiore creatività europea; eppure gli USA disponevano dal 1945 di due risorse fondamentali, con il petrolio da un lato e il brevetto unico e mondiale sullo chassis monoscocca portante stampato, come detto. 

Quest’ultima trovata davvero in grado di ribaltare le sorti del mercato auto, perché senza lo chassis stampato non sarebbe stato possibile diffondere un’auto per tutti e per tutte le tasche. Eppure non dimenticate che la tecnica industriale automobilistica nasce in America grazie a Britannici e francesi, e che negli anni della Belle Epoque europea i Marchi auto americani a trazione elettrica pura erano nell’ordine delle decine.

Eppure l’Europa povera, disastrata dalla Guerra e ancora bucolica in gran parte del suo territorio riuscì in soli quattro lustri dalla fine della Guerra a superare una nazione americana che di lì a poco cominciò a franare sotto i colpi (automobilisticamente parlando) della propaganda anti-AmeriKana delle guerre in Asia, dell’ambientalismo, delle contestazioni giovanili e soprattutto della guerra commerciale giapponese e della crisi energetica che dal 1970 ha reso il mercato auto americano una metafora di sé stesso.

LE TAPPE

In quel periodo che va dal 1960 alla gran parte degli anni Ottanta l’Europa ha surclassato l’America in Brevetti, sperimentazioni, prototipazione ma soprattutto creatività e passione. Pensate solo che dall’alluminio al magnesio al titanio al carbonio l’Europa si dimostrò più elastica degli Stati Uniti; e anche sul versante informatico la monumentale IBM e la Silicon Valley non sono state in grado di opporre resistenza al gigante giapponese ma neppure alle varie soluzioni ICT europee e persino sovietiche in tema di controllo industriale, di CAD/CAM, e così via.

Su una cosa l’America superava l’Europa, fino agli anni Novanta: sulla avventurosità del sistema finanziario che lentamente, come una enorme ameba appesa alle mucose del mercato auto, ha cominciato a gonfiarsi e a diventare sempre più vorace, incontrollabile, e tossico.

La premessa? Che il mondo auto europeo era altra cosa dal mercato americano fino alla fine degli anni Ottanta. Poi sono arrivate le mirabolanti unificazioni di Bruxelles e dopo Maastricht un’intero esercito di raccomandati, pusillanimi, ignavi, sottosviluppati e trombati politici ha cominciato ad occupare gli scranni di Commissione, Consiglio e Parlamento con le natiche e non con la testa, devastando il Manifesto di Ventotene producendo milioni di norme e ordinamenti dal dubbio risultato. 

Oggi che Spinelli, Manifesto di Ventotene e Federalismo Europeo sono stati cancellati dalle tracce mnemoniche e dalla coscienza dell’elettorato europeo, è la volta buona per ricicciare fuori tutti quei concetti e viverci di rendita per un altro lustro almeno. Ma Voi cominciate a questo punto, anche un poco perplessi, a domandarVi cosa voglio dire.

Voglio dire che il mondo dell’auto è geneticamente la proiezione universale della famosa battuta di Soichiro Honda, quando volendo perculare elegantemente la tendenza degli americani ad essere liberali solo quando si tratta di acquisire i diritti degli altri (mentre sono la negazione esatta del libero mercato e della concorrenza quando serve tutelare i loro interessi e vantaggi industriali e commerciali a dispetto degli avversari o degli intrusi) fece quella storica battuta in cui affermò che ogni volta che il Governo Federale USA cambiava i parametri delle norme antiemissione, i giapponesi assumevano ogni volta schiere di ingegneri mentre i Costruttori americani assumevano solo nuovi Avvocati. Infatti, nel periodo che va dalla metà degli anni Sessanta a tutti gli anni Ottanta l’America ha semplicemente dato prova di una chiusura e di una poverta’ intellettuale e progettuale imbarazzante rispetto a Giappone ed Europa. Eppure la globalizzazione dell’auto doveva fintamente andare avanti, anche se chi blatera di mercato auto in regime di libertà non arriva a capire l’idiozia del suo pensiero: il mercato auto non è mai stato né aperto né libero, ma è diventato globale solo per ripartire al massimo costi fissi, immobilizzazioni ed investimenti. 

Dentro ogni dimensione locale poi ci pensava il rosario di norme circoscritte, il muro doganale, il ginepraio dei diversi Codici della Circolazione ed infine il gioco delle esclusive commerciali a impedire la libera circolazione delle auto e dei Marchi tra un mercato e l’altro. 

Ed infatti gli anni Ottanta rappresentano, per i conoscitori della storia dell’auto, la massima esposizione di frontiere e muri doganali e fiscali, con il Giappone che mostra i muscoli con la posa della prima pietra, nel 1980, del primo stabilimento europeo di un’auto del Sol Levante, a Londra: da quel momento il decennio sarà preso d’assalto da impianti produttivi dei Costruttori giapponesi in ogni angolo possibile d’Europa.

Eppure, al momento in cui un blindato veniva fermato da un ragazzo a Piazza Tien an Men oppure quando il Muro di Berlino iniziava ad essere spicconato dai ragazzi festanti, il corredo di Brevetti e studi sulla mobilità elettrica in Europa od America era ancora molto limitato. Con due sole eccezioni in Gran Bretagna ed Italia, dove la Micro Vett nasceva nel 1986 per svolgere un meritevole ed onesto ruolo di assemblatore di piattaforme elettriche “Homemade” su chassis di origine endotermica.

Ma dovevano arrivare, e sono arrivati, gli anni Novanta: il simbolo americano per eccellenza, quel “V8” preferibilmente a camere emisferiche e big Block, diventa improvvisamente un gravame tecnologico a stelle e strisce nel confronto mediatico rispetto alla presa immediata che hanno nel mondo i piccoli motori giapponesi a 3,4 o più valvole, Turbocompressore e iniezione con annessa e connessa trazione integrale ed estremo rispetto per l’ambiente. In gioco però ci sono i nuovi mondi: Cina ed Est Europa. Gli USA puntano decisi alla prima, l’Europa ha il diritto di prelazione sul secondo mercato uscito dalla fine dei due blocchi.

Il Giappone, molto più pragmaticamente, fa la corte da subito ad ambedue i mercati. Sia Stati Uniti che Giappone timbrano l’inizio degli anni Novanta con la rivoluzione elettrica ma mentre “GM EV-1” rimane uno slogan buono solo per gli ecologisti di Hollywood il Giappone fa sul serio e prima del terremoto del 1995 diventa il primo Continente per numero di Brevetti su Ibrido ed elettrico. La visione distorta degli europei rispetto al mercato cinese si capisce nel confronto tra due prototipi: la Porsche “C88” del 1994 sfoggia la sua imbarazzante e anomala maschera proletaria e pauperista e rimane un prototipo per il mercato cinese cui il Governo della Grande Muraglia dice “No, grazie”. 

Prendete la Concept Toyota Prius del 1995 per comprendere che già 30 anni fa i giapponesi avevano visto lungo. Dunque gli anni Novanta sono all’insegna della “continentalizzazione “ delle formule motoristiche simboliche: elettrico/Ibrido per il Giappone, mix propellente per gli USA (Etanolo, Idrogeno) e Diesel come baluardo per l’Europa che tuttavia, a differenza degli altri due Continenti, vive sulla pelle la nascita ed esplosione di un fenomeno incontrollato, pernicioso ed autoindotto dalla stessa politica comunitaria: il monopolio IAM sull’Aftersales con un effetto pernicioso proprio sulla produzione di auto a Gasolio.Eccolo il nemico dell’ambiente: non è la CO2, è l’Aftermarket.Quella si che per gli OEM diventa una  brutta bestia…

E tutto questo proprio perché la neonata Unione Europea decide di mettere il timbro a dodici stelle sulla visione pangermanica dell’auto europea. Nasce il mito del Turbodiesel, della qualità globale, del Brand solo e se odora di Oktoberfest; il Marco Forte uccide ed ingloba letteralmente il DNA industriale della Gran Bretagna, il fascino dell’Italia e la grande capacità postvendita della Francia. Il resto lo fa la perversione delle “Doganite” spinta all’eccesso da alcuni Stati Membri, come Italia e Francia. Con la abolizione delle barriere le dinamiche protezioniste vanno all’aria, e la cosiddetta concorrenza potrebbe essere combattuta da alcuni Stati (come Italia, Gran Bretagna, Spagna) con la leva della svalutazione competitiva per l’Export. Peccato che Soros ci metta il naso adunco e il terremoto dello SME renda Lira e Sterlina a tal punto carta straccia da rendere Italia e Regno Unito terra di conquista degli investitori esteri. Chissà le mazzett…Scusate, i diritti di intermediazione degli illustri professionisti del Trading. Tricolore ed Union Jack vendono tutto, comprese le  mutande, all’estero. 

Arriviamo alla metà degli anni Duemila, il branding tedesco e la esplosione finanziaria statunitense portano le vendite europee dell’Unione a 25 su valori in controtendenza: da 20 milioni in su di nuove immatricolazioni annue, scarso impatto sul ciclo di ringiovanimento dell’anzianità media e crescita del fenomeno “seconde auto”; una obsolescenza indotta nel parco usato europeo con crollo progressivo dei valori di remarketing, ed infine flusso in aumento delle esportazioni di Usato europeo verso le aree in via di sviluppo. Si parla ancora o già di elettrico? In Europa no, in America ogni tanto. 

Ma in Europa si parla soprattutto di maxi fusioni per puntare, ancora una volta, al mercato cinese mentre per qualità e quantità di brevetti su Hybrid e BEV l’industria europea è paragonabile a San Marino…..Sia chiaro, come detto molto prima le storie di assemblatori e piccoli Costruttori elettrici sono già presenti in Europa, dove del resto il comparto dei mezzi per Magazzino e Logistica offre ai piccoli Archimede la materia prima per movimentare le loro realizzazioni; ed è così che quasi nel disinteresse generale nascono i Bedford Rascal o i Piaggio Porter elettrificati, oppure è così che nel 2009 con piattaforma Linde gira in Germania credo il primo prototipo targato di “Nuova Fiat 500” completamente elettrica, la Karabag.

Tuttavia scoppia la bolla dei mutui subprime negli USA, curiosamente anticipata dalla invenzione per mano italica dei “Green Bond” da parte della BEI (Banca Europea per gli Investimenti); arriva così con tempismo perfetto per gli investitori in fuga da cartolarizzazioni pericolose e da Junk Bond uno strumento finanziario che fa pace con il Portafogli, l’ambiente e la coscienza. Nessuno in quel 2007 ha il coraggio di ammettere che se il Default avesse investito il comparto creditizio Automotive invece che quello immobiliare, la crisi finanziaria a catena sarebbe durata altri quindici anni alla data di oggi.

La finanza Verde sostituisce buona parte degli strumenti finanziari in caduta libera, e i casi nazionali di Argentina e Grecia fanno “raffreddare” la finanza facile in tutto il mondo. Ne paga le conseguenze il comparto Auto dove tuttavia sta per nascere, finalmente, il nuovo modello di sviluppo globale: Verde il motore elettrico, verde l’approccio dei Costruttori, Verde la finanza connessa, verdi anche i Carbon Credits che da là a poco iniziano a creare un “CashFlow” alternativo, una sorta di “Baratto legalizzato” tra chi ha crediti e chi li può comprare. Una fetta importante della contabilità di TESLA si basa sulla intermediazione di Crediti, e TESLA stessa a confronto con il quasi Crack di Ford, GM e Chrysler diventa il nuovo simbolo a Stelle e Strisce promosso dalla politica BimbominchiesKa di Barak Obama tutta rivolta verso il sogno elettrico e sottilmente capace di strizzare l’occhiolino alla finalmente democratica e libera Cina, dove l’industria USA vorrebbe mettere piedi e mani. 

Non sta a guardare la Germania che, come ricordate, parte dai proclami della Angelona Federale pronta a spendere diversi Miliardi di Euro per fare della Terra dei Nibelungi la Terra dei Nibelettrici. 

Per un po’ la chimera riesce anche, e dobbiamo ammettere che i Costruttori dal 2010 in poi ogni dieci promesse di auto 100% Electric almeno una ne hanno messa in campo, anche se a fare scalpore e a fungere da agnello sacrificale come “debuttante” è quella Opel Ampera che nessuno sa cosa sia alla data del 2010: elettrica con motore 1400 a benzina per ricaricare le batterie od alimentare i motori elettrici di trazione, un peso da Traghetto, un consumo con la fase endotermica spaventoso e una domanda: Ma a che serve? Basteranno solo 10 anni da allora per spiegare a tutti che l’Ibridazione in Serie e la Range Extension è molto di più di un esperimento. Ma l’elettrico fino al 2015 resta un esercizio spirituale in Europa, un vorrei ma non ci credo in America, mentre cresce bene in Cina e rimane una eterna promessa in India.

Poi però il DieselGate fa capire al mondo che è meglio uccidere con eutanasia il motore a Gasolio piuttosto che fare vittime tra i Costruttori impegnati stupidamente da quindici anni a farsi battaglie con listini in ribasso, promesse da marinaio ma soprattutto margini di redditività negativi. Chi doveva essere il primo ad alzare bandiera bianca? Nessuno, ci ha pensato l’EPA a tagliare il nodo di Gordio. Dal 2015 tutti assenti giustificati nel mondo del Diesel, che dal 2018/2020 e poco dopo il Lockdowntrova il suo fidanzato ideale, il linea con l’evocazione culturale in corso oggi sulla fesseria della differenza di genere (il genere, per fortuna, è sempre biologicamente differente……):infatti il Diesel si fidanza con gli Ibridi, dando vita alla “second Life” dei modelli originariamente endotermici puri. Stranezze del mercato: se un Costruttore fino a ieri avesse spacciato per nuova Gamma la sola applicazione in serie di un impianto a Gas avremmo riso: invece a tutti è sembrato corretto definire “nuovo modello” un ex endotermico puro addizionato di un Impianto Ibrido. Misteri del mercato.

Ed ora eccoci qua: il mercato non solo non proietta numeri da “Mass Market” per le BEV in Europa e in Occidente; non solo la parte del leone commercialmente la fanno le Ibride in parallelo, ma la cosa straordinaria è che da un poco di anni a questa parte Cina e Stati Uniti brevettano molto più consistentemente dispositivi “Range Extender “ endotermici che soluzioni tipicamente BEV…Assurdo, no?

Ed arriviamo ai giorni d’oggi: ricordare i proclami dei diversi Governi nazionali sul presunto Stop alla circolazione e vendita di Diesel ed endotermici? Neppure la unica fedele agli impegni presi, la Norvegia, è perfettamente in linea con le tempistiche che si è autoimposta: gli altri Stati, ancorati al 2030/2035/2040 hanno improvvisamente staccato la spina al countdown. Perché ovviamente la politica non ha bisogno di essere seria come l’Industria, tanto non gli costa nulla: al massimo alle date sopra elencate arriverà un nuovo Governo opposto a quello vecchio che aveva determinato le presunte scadenze e dirà che quelli di prima erano dei quaqquaraquà……..

Come è ridicolo il movimento elettrofilo, come sono patetici i “Testimoni di GeoWATT” che per anni hanno offeso e deriso la coscienza e la passione dei “conservatori endotermici” e che oggi si trovano abbandonati dal codazzo mediatico e dal seguito Istituzionale e politico. E che sembrano improvvisamente estinti: dite la verità, da quanto tempo non leggete più un proclama carico di rimprovero verso i “Fossilisti” e i critici della svolta elettrica? Infatti la questione è che la svolta elettrica non c’è stata. In Occidente, almeno, di sicuro. C’è dove da oggi gli Stati devono portare la diffusione di massa delle auto al restante 50 o persino 70% del popolo potenzialmente automobilista e acquirente. E per farlo gli stessi Stati dovranno puntare all’autosufficienza ed allo stimolo alla domanda interna. 

In parole povere, il mercato auto globale ed aperto da oggi è finito: l’Europa ha iniziato per prima con i Superdazi verso la Grande Muraglia, ricevendo in risposta un nuovo muro doganale da parte cinese; e Trump ha come al solito fatto lo starnuto più potente, sbattendo la porta in faccia ad una intera architettura di rapporti internazionali e globali, e di fatto chiudendo in un “Club” commerciale ristretto gli USA, il Messico ed il Sudamerica, ed ovviamente l’Africa. C’è da scommettere che le alimentazioni del futuro per l’auto di massa saranno le miscele di benzina ed etanolo da mais, il Biogas, e l’Idrogeno. 

Ed in Europa? In Europa – ohibò – sta tornano il Diesel, riabilitato dopo la proscrizione del 2015, guarda caso dieci anni tondi. Il Biogas è sull’altalena, il GPL un po’ ha stufato, l’Idrogeno è ancora da studiare.Ma soprattutto in Europa si comincia a disegnare un nuovo panorama di Player: i Gruppi e le alleanze che ci sono adesso in Europa o aventi un collegamento con il Vecchio Continente non rimarranno come sono ora, ed il 2025/2026 sara’l’intervallo di calendario in cui esploderanno M&A, chiusure, traslochi, divorzi e rinascite. Non a caso la Commissione ancora frena sulla applicazione di una valanga di scadenze che tardano rispetto alle previsioni da diversi semestri: Euro VII, BER 2028, Revisione del termine del 2035 per “Fit For 55”: tutto pare fatto apposta per entrare a regime quando il regime sarà quello meglio definito a livello di apparentamenti tra Marchi.

Le alimentazioni che contano sono e resteranno però quelle che arrivano garantite per le nostre amate Istituzioni a Bruxelles; risolto il problema più importante, i nostri rappresentanti saranno capaci di poco come sempre, in attesa che – inevitabilmente – questa Unione salti e diventi altro. Ma forse io non sarò tra i presenti a raccontarlo. In caso Vi lascio il divertimento e la curiosità.

Riccardo Bellumori

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