Bruno Sacco: storia della rivoluzione in Doppiopetto tra le Stelle

Deve essere difficile migliorare costantemente la perfezione, soprattutto se questa nobile attività ti occupa oltre quaranta anni di vita, e soprattutto se nel caso l’emblema della perfezione a quattro ruote è un Marchio come Mercedes, che ha fatto della qualità e della superiorità tecnica un protocollo.

Deve anche essere difficile pensare che una città piovosa, fredda ma allo stesso tempo ordinata e regolare, razionale come Udine nasconda storie che evocano il fuoco, la passione, e l’avventura che al massimo sembrerebbe relegata, a quelle latitudini, al trekking delle vicine catene montuose. 

E pensa tu dunque nel 1954, quando un ragazzo ventunenne precocemente diplomato all’Istituto per Geometri Antonio Zanon di Udine nel 1951 (mentre al MoMa di New York arrivava in esposizione la prima auto al mondo inserita in un Museo d’Arte come “scultura in Movimento”) decide che disegnare elementi edilizi e planimetrie topografiche non fa per lui, (che si dice essersi innamorato delle auto dopo aver visto ancora adolescente una Studebaker di Raymond Loewyal Salone di Torino); e che decide di farsi avanti con il suo coraggio e la passione dei vent’anni partendo dal “paese col tram” (Udine è stata tra le prime città a dotarsi del tram a cavalli fino dal 1887 ed elettrico dal 1906, per poi essere sostituito dalle prime linee motorizzate nel 1952) presentandosi alla Ghia di Torino con la rituale valigetta piena di bozzetti e di saggi di stile: Udine-Torino non era all’epoca una passeggiata come oggi, ed il ragazzo avrà cominciato in silenzio a fantasticare guardando il paesaggio scorrere dai finestrini: e la Ghia, che ancora all’epoca era un Carrozziere di grido che collaborava con importanti Marchi, per molti sarebbe stata la tappa di arrivo per costruire una carriera.

Ma quel giovanotto di ottime speranze, di talento eccezionale e di volontà granitica non sa accontentarsi, la sua ambizione è pari solo alla sua capacità di crescere, ed alla passione per un Marchio che ha cominciato a “inquadrare” da mesi: la Mercedes Benz. Oggi Vi pare tutto facile, passare la frontiera con il Brennero ed arrivare in Germania: ma all’epoca la commissione bilaterale Italia Germania a Verona, deputata alle visite ed alla approvazione dei visti lavorativi per chi voleva andare in Germania a lavorare era un ostacolo durissimo, e le immagini dei migranti italiani alla Stazione di Verona erano emblematiche; piccola parentesi per spiegare lo spirito di avventura del nostro giovane intenzionato ad andare a Stoccarda. 

La sua collaborazione a Torino con Ghia è animata persino dal rapporto, in corso d’opera, con un “guru” come Sergio Sartorelli che era entrato ad Aprile 1956 (assunto direttamente da Segre, da Savonuzzi e da Casalis, chissè se lo stesso della Cisitalia?) per realizzare il famoso progetto “Karmann Ghia”: Sergio, classe 1928 e fresco laureato ventiseienne al Politecnico di Torino nel 1954 era quasi coetaneo del nostro eroe, che del Politecnico all’epoca era allievo mentre svolgeva lo Stage presso la Carrozzeria; e nel 1957 il friulano entra in contatto anche con Pininfarina. 

Ma poi segue cuore, passione, avventura e coraggio e si presenta, al Salone di Torino del 1957, allo Stand Mercedes con la sua fatidica valigia piena di lavori. 

Siamo a Novembre, e il nostro giovane sta per farsi un regalo davvero speciale per il suo ventiquattresimo compleanno, che cade il 12 Novembre dell’anno.

Karl Wilfert, Responsabile Sviluppo Design dentro la Stella, non ha dubbi: quel giovane può fare i bagagli perché dal 13 Gennaio dell’anno successivo diventerà la spalla di Paul Bracq a Sindelfingen dove si trova il Centro Stile; un poco un gioco del destino, di quelli affascinanti perchè Bracq è nato quasi un mese dopo il nostro pur giovane eroe, ma fin da giovanissimo ha lavorato come assistente di Philippe Charbonneaux, per poi assolvere il servizio militare in Francia tra il 1954 ed il 1956. 

Tornato alla vita civile, era stato invitato dalla Mercedes per uno stage di prova, trasformato in chiamata professionale dalla primavera del 1957.

Ma chi è il nostro coraggioso, avventuroso e volitivo giovane? 

E’ colui che – tradendo questo fuoco giovanile e mascherandolo sapientemente – è negli anni apparso sempre in foto come un signore elegante, tranquillo e sorridente, quasi rassicurante e pacifico dentro all’immancabile doppio petto gessato e grisaglia.

Bruno Sacco: passione, coraggio, seduzione in doppiopetto grigio

Stiamo parlando del geniale Bruno Sacco, il ragazzo dell’estremo Nord agricolo e montuoso che aveva dentro un fuoco di passione che investì tutti gli ambienti di lavoro con cui si è via via interfacciato dentro una unica Azienda perché è rimasto 40 anni e mezzo a presidiare e guidare la forma e l’immagine della Stella di Stoccarda: un caso quasi unico in ambito aziendale ma assolutamente unico per il mondo del Design ad ad eccezione di Sixten Sason in Saab e di pochi altri. 

Non che la stessa Mercedes Benz non abbia mostrato a sua volta una grande dose di coraggio e di eresia nel consegnare nelle mani di due “latini mediterranei” (Bracq francese, Sacco italiano) lo Stile di quello che era un emblema della mobilità e dell’immagine teutonica, ed infatti i risultati straordinari di questa “fusion” si vedono da subito: Pagoda, 600, Serie “S” sono il frutto di una straordinaria contaminazione.

Se tuttavia Paul Bracq chiude l’esperienza con Stoccarda nel 1967 per tornare in Francia presso Brissonneau & Lotz, e successivamente aprire i nuovi filoni di BMW e Peugeot;

Bruno Sacco rimane fedele e saldo dentro la Stella di cui assume la Direzione Stilistica da metà anni Settanta, sostituendo Friedrich Geiger ed essendo a sua volta sostituito da Peter Pfeiffer dal 2000. 

E considerando che Geiger si era insediato alla Direzione di Sindelfingen dal 1955 e che Pfeiffer ha avuto sino ad ora un solo sostituto in Wagener, è a sua volta significativo che Mercedes (Daimler) abbia cambiato solo quattro Dirigenti del Centro Stile nel corso di ben settanta anni nel prossimo 2025: ma sotto Geiger il nostro Bruno impara la progettazione industriale, la codificazione e la lavorazione per commessa e per Reparto, impara persino la modellazione in 3D con gesso e la quotatura pre industrializzazione.

Ovviamente ogni prodotto – a parte rare eccezioni – in progetto o in prototipazione dal 1958 per conto della Stella viene “toccato” dal duo Bracq/Sacco; ma l’impronta di Bruno diventa palese dal 1979 con la W126: per rispettare dentro Stoccarda il mantra del suo Capo Design (“Ogni Mercedes deve assomigliare ad una Mercedes”) occorreva la sua visione formale per trasmettere dalle linee delle nuove auto di Stoccarda la capacità di evolverne la percezione di lusso, qualità ed affidabilità nella visione del pubblico senza tuttavia abdicare ai valori ed alla simbologia tipica della Stella, attraversando anche fasi critiche come la crisi energetica, le contestazioni sociali, la prima concorrenza giapponese, il protezionismo incattivito degli Stati Uniti e le prime questioni ambientali: tutti aspetti che cadevano come sassate sulla schiena dei Costruttori di prodotti di lusso; ed infatti caddero Rolls e Bentley, caddero Jaguar ed Aston Martin, cadde anche la Maserati salvata dalla Gepi, ma la Stella rimase salda in piedi grazie anche alla visione di Bruno che lavora continuamente di cesello e di matita per snellire, semplificare, de – barocchizzare le tante cromature e gli inserti così cari agli americani senza tuttavia impoverire ne’ l’impatto né la suggestione.

 

Anzi, la Coupè “SEC” W126 del 1981 fa apparire comedettaglio in penombra la grande rivoluzione gentile di Bruno: la enorme maschera copriradiatore cromata a forma di tempio lascia lo spazio ad una sagomatura sportiva che mai ti saresti immaginato all’epoca davanti al muso di una Mercedes; e così per la linea laterale e l’angolazione delle superfici vetrate. 

Ma fino all’inizio degli anni Ottanta, mentre altrove è una continua produzione narrativa sui colleghi Designer di Bruno Sacco che – nel nuovo edonismo del decennio – diventano vere e proprie star mediatiche con persino qualche isolato caso di iperpresenzialismo, il nostro compassato genio italiano è praticamente ancora una presenza sconosciuta: quasi nessuna recensione personale, o speciale televisivo dedicato, forse (ma dico forse per non averne conoscenza) solo una visibilità presso le Riviste specializzate di settore. Poi arriva “Lei”: che ancora oggi appare “acciaio dipinto” (lo slogan che la pseudo concorrente di Mercedes, cioè la Volvo, adotterà proprio in contrapposizione per la Serie “400”) quando passa per le strade in una quasi irreale ed immancabile apparenza di perfetto stato persino nel caso di modelli che dopo anche 35 anni hanno mantenuto intonsa la verniciatura originale. E’ “Lei” che pur osservandola di continuo per ore, da ferma, non ti solleva nemmeno mentendo una minima imperfezione o un minimo squilibrio nella continuità lineare delle sue forme. Fa quasi rabbia, ed è a tal punto perfetta da lasciarti il dubbio che le superfici metalliche siano in modellabile plastica, che le plastiche siano in verità metallo ben colorato, e che i cristalli siano una parte solidale della carrozzeria invece che applicazioni vetrate. Insomma, in parole povere Lei, la “190” o Baby Benz, pare dopo ancora 40 anni un monolite. Se solo bastasse una enciclopedia per descrivere la serie di ragionamenti, test, proiezioni, sondaggi, ricerche, scongiuri e segni di croce per tentare da parte Mercedes quella che all’epoca apparve qualcosa di posizionabile nell’intersezione maestra di un poligono ai cui vertici potevi elencare: follia, rischio, colpo di genio, roba da non credere, chi l’avrebbe detto, è un reato, no è un miracolo. Ma Bruno sapeva che le linee si sarebbero intersecate nello spazio poligonale di “E’ un miracolo, chi l’avrebbe detto, colpo di genio”.

Non puoi definire in altro modo la “190”, che nel tempo ha persino riportato la Mercedes in Gara come Costruttore unico (non solo come fornitore di motori) grazie alla famosa “2.3-16 Cosworth” che ha costruito una leggenda nel Turismo. 

Ecco, il nome di Bruno Sacco ha cominciato a circolare fuori dai confini dei circoli elitari e degli esperti solo dopo l’exploit che ha nello stesso tempo riportato volumi di vendita alla Stella traghettandola in un segmento di mercato dove concorrenti perfette erano la nuova Audi 90 e la BMW Serie “3”; ma in modo indiretto anche le sempre più insidiose medie di lusso giapponesi, e dove però “190” ha avuto successo per la capacità di vestire “Medium” anziché “Large” ed “XL” la classe della Stella di Stoccarda. Ed allora si è cominciato a parlare diffusamente dell’uomo protagonista con Bracq di “600” e di “Pagoda”, ma anche delle concept C-111 da record di Nardò, ad esempio.

 

Curioso che sulla questione nessuno mai abbia domandato a Bruno Sacco come prese la notizia che un vulcanico Eberhard Schultz, con la sua “Isdera”, avesse beatamente ripreso lo stile personale del nostro Designer sulla C-111 e la Stella a tre punte come logo, in modo del tutto illegittimo, per farne quella sorta di scandalo sfiorato al salone di Francoforte. 

Ma a me piacerebbe anche sapere cosa passò per la mente a Bruno ed alla Mercedes quando dopo l’accordo dell’Hilton del 1986 la FED svalutò il Dollaro portando in piena crisi le esportazioni di auto europee che avevano fatto del vantaggio valutario delle loro monete un punto di forza. Con listini di auto di lusso svedesi ed inglesi che lievitarono fin del 25% in meno di un mese, quella “190” diventò per molti affezionati a Stoccarda una sorta di ripiego di lusso.

 

E sempre l’America divenne la Patria adottiva della straordinaria “SL 320/500”, la coupè Spider che ad inizio anni ’90 è diventata una icòna immaginifica che – una volta chiusi gli occhi – indentificava per la massa la Mercedes così come la “911” era diventata iconica per Porsche, la “Testarossa” per la Ferrari e la “Countach” per Lambo; anche se i più maliziosi all’epoca si sbizzarrirono inutilmente a minimizzare la famosa “R129” dipingendola come una mera risposta di Mercedes alla Cadillac Allantè di Pininfarina senza considerare che erano invece quelli di GM ad essere in tremendo ritardo rispetto sia alla Best Seller “R107” precedente sia rispetto alle altre Coupè Cabrio europee. 

Ma le sorprese dal cilindro di Bruno Sacco non erano finite, perché con “ML” Bruno porta la Stella dentro il nascente mondo dei SUV o meglio degli “Urban SUV” molto prima della concorrenza Premium connazionale e così differenzia la categoria dalle fuoristrada che nel caso di Mercedes corrispondevano alle divine “Classe G”, sulla quale ovviamente aveva detto la sua, come per tutte le altre Mercedes…..Ah, per inciso, dal 1993 Stoccarda gli affida anche la supervisione di tutto il settore “LCV”.

”Tutte le altre”: perdòn, scusate la frase irrispettosa. Con Sacco ogni Mercedes era “un’altra Mercedes” ma nel senso di un’altra cosa. E la riprova si è avuta nel miracolo quotidiano ripetuto da metà anni ’90 con A Clas, Smart, appunto con “ML” e con la nuova revisione di Gamma che è seguita da questi nuovi innesti; revisione che nel caso di “Classe A” si è dipanata con effetto Domino, visto che dopo la sua uscita (e soprattutto dopo il famoso Test dell’Alce, l’ESP ed il Test iconico di Niki Lauda) un poco tutti i Marchi concorrenti od affini dovettero ripensare la propria offerta commerciale al fine di non lasciare Mercedes dentro un Segmento che lei stessa aveva creato dal nulla, persino nella sua stessa tradizione industriale: trazione anteriore, monovolume, motore a sogliola, dimensioni da Segmento Crossover B/C.

Pensateci un attimo: quanti Designer sono stati capaci nella storia post Anni Settanta di creare con una loro idea un nuovo settore di Mercato? 

Ed in una Classifica delle 100 auto più belle, prestigiose ed iconiche del mondo e della storia, quante creature di Bruno Sacco entrerebbero in griglia? E quanto deve a lui la Mercedes che, in occasione della sua scomparsa, gli ha dedicato un Comunicato Stampa che è una lettera di amore e fratellanza? Bruno Sacco ha regalato alla Mercedes un DNA che si è fuso dentro a quello che la Stella già aveva. E’ come se in una storia mitologica la creatura sovrumana fosse plasmata ulteriormente da un Mago. 

E questo Mago è stato lui, Bruno. Che arriva al 1999 quando la sua età (66 anni) lo deve ufficialmente mettere in pensione, e quando tuttavia inizia – guarda caso – per la Stella un percorso ad ostacoli legato alla fusione con Chrysler. Un punto “grigio” nella storia bella della Stella, insieme all’altro “flop” forse persino preannunciato: quello della “Maybach” Concept 1997, totalmente elaborato dal Centro Design Mercedes in Giappone dal 1996 e su cui Bruno Sacco non ha praticamente nulla da condividere; ma intanto, per nemesi storica, quelle Maybach “57” e “62” (pensate abbastanza precocemente per il nuovo mercato cinese – oltre che per i Sauditi – più che per competere con le nuove anglo-teutoniche Rolls e Bentley) sono fondamentalmente un fiasco commerciale……Destino nel destino, solo quello che toccava Bruno Sacco diventava sempre Oro anche sotto il segno della Stella. 

Ed ora che la Stella in cielo è diventata anche Lui, Bruno Sacco, il firmamento è certamente ancora più elegante e solido. Come le sue auto.

Riccardo Bellumori

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