Stratos: curioso il modo di affrontare l’esigenza di conoscere, quando si diventa parecchio cresciuti come sono io ora; dopo mezzo secolo durante il quale questa parola (“Stratos” appunto) mi è entrata in testa con il suo suono importante, il suo significante evocativo (l’immagine straordinaria che appare quando chiudi gli occhi) e la affinità con storie e vicende quasi contemporanee (una su tutte, quella leggendaria carriera artistica di Demetrio Stratos con i nuovi confini aperti alla fonetica ed alla espressione vocale in musica), mi è sempre mancato fino ad ora il “significato” della parola in questione.
Ed è suggestivo pensare che quando quella parola entrò prepotentemente nel lessico popolare io ero ancora un bambino dell’Asilo: vicende, immagini e contesti mi apparivano così grandi ed intangibili che quella parola aveva finito per diventare il simbolo di un mondo di fantasia.
E dunque, da bravo e stagionato scolaro ho deciso di completare il percorso di ricerca e mi sono documentato: Enciclopedia Treccani, Stratos è una città dell’Acarnania, attuale Surovigli, vicino ad Amphilochia; rifugio di Antioco e Nicandro nel loro combattere contro l’antica Roma, protetta da antiche Torri trapeziodali comprendeva un Tempio a Zeus, era dunque una antica zona nei pressi del Peloponneso.
Questo per la cronaca “colta”, ma quasi nessuno ha davvero mai associato la parola “Stratos” ad alcunchè di umano e terreno: per parecchi di noi, povera gente, “Stratos” poteva essere un luogo indefinito nell’Iperspazio, un pianeta sconosciuto, persino una specie rara ed aliena dalle sembianze incredibili a ricrearsi nella dimensione dell’uomo.A meno che gli uomini in questione non fossero a loro volta dei geni, o dei semidei.
Stratos: più che un’auto, un Pianeta sconosciuto
Per tutti, infatti, “Stratos” era diventata non più la semplice denominazione di un’auto straordinaria, ma un mondo a parte, dove le simbologie e le emozioni che le auto potevano suscitare erano moltiplicate per multipli infiniti portando la percezione umana a livelli intentati.
Era la nuova era degli anni Settanta, e l’uomo che camminava sulla Luna pareva quasi essere per l’immaginazione popolare un palliativo per dimenticare l’uomo che invece doveva camminare sulle strade per non sprecare benzina ai tempi di una delle crisi energetiche globali più gravi di sempre.
In questo clima, in cui il passaggio del decennio tra Sessanta e Settanta portava il mondo Auto a compiere scelte contrastate e in antitesi tra loro, era apparsa la “Zero”: tutto partirebbe da Lei, ci dicono le cronache distratte da un particolare; e cioè che “Zero” è a sua volta non la causa ma l’effetto della creatività senza vincoli di Marcello Gandini che aveva progressivamente cambiato volto e linea ispiratrice al Centro Stile Bertone dopo aver ricevuto direttamente da Nuccio – vero scopritore di talenti – la consegna e la nomina di Direttore.
“Stratos”: portare l’uomo sulla Luna, restando con i piedi per terra
“Stratos” non è così una esplosione sporadica di genialità, ma piuttosto la cima di una montagna che Gandini aveva deciso di scalare verso la conquista del traguardo finale: fornire alla linearità del volume automobilistico teso e cuneiforme una nuova identità dinamica che derivasse non dagli orpelli e dalle esagerazioni cromatiche provenienti dal mondo statunitense ma dalla essenzialità di interserzioni, angolazioni e sagomature tra le quali nulla che fosse superfluo o persino barocco trovasse mai posto.
E in questo, il Maestro Gandini vorrà perdonarmi, vedo una sintonia filosofica dell’approccio di Marcello con un altro Genio, purtroppo andato via troppo in fretta, come Pio Manzù: che con la sua visione aveva dato alcuni spunti importanti anche in chiave sportiva sia con Autonova “GT” del 1964 che con la Concept Coupè Autobianchi (1967) a motore posteriore centrale di fronte alla quale il pur monumentale Dante Giacosa abdicò nei confronti del giovane e vulcanico Designer; non so perché la “GT” Autobianchi di Pio mi ha sempre ricordato una piccola “Miura”; e così, quasi per “vendicare” amorevolmente il destino di un genio prematuramente scomparso come Pio Manzù, forse non a caso la mano di Marcello esalta le linee di una rivoluzionaria “Autobianchi A112 Runabout” che prende simbolicamente il testimone cone unica altra “Concept “del Marchio di Desio (oltre alla “Coupè” di Manzù, appunto) votata alla sportività “pura”.
Non c’è – beninteso – alcuna narrativa riscontrata che mi dia adito a mettere in parallelo la concept Autobianchi “CoupèGT” di Pio Manzu’ con la Bertone A112“Runabout” di Marcello Gandini, sia chiaro: ma per chi vuole ancora insinuare elementi romantici nelle storie Automotive, poter associare ad un destino comune le uniche due Conceptsportive “pure” di Marchio Autobianchi è un pensiero che non posso fare a meno di evocare.
La base di partenza: “Zero”,“Runabout A112”, o tutte e due?
E dopo “A112 Runabout” il destino della Concept non si incrocia con “Stratos HF” ma – per prima – con una intuizione congiunta tra Bertone e Gianni Agnelli: l’Avvocato, a ridosso degli anni Settanta, cerca una possibile sostituzione per la “850 Coupè” in grado di tenere il Marchio Fiat sul segmento sportive popolari, surrogare il motore posteriore a sbalzo, eventualmente fare da apripista ad una Gamma ben definita di sportive in questo senso (ricordiamo la successiva “Beta Montecarlo”, ma Corso Marconi aveva in animo l’uscita di una terza sportiva popolare “taglia medio grande” per chiudere la serie), ma soprattutto in grado di “rastrellare” qua e là in Europa la clientela sportiva orfana di decine di piccoli Marchi che le crisi industriali avevano spazzato via lasciando inevasa una potenziale domanda che vedeva all’orizzonte una possibile risposta dal Sol Levante.
La “A112 Runabout” non era percorribile – nei piani di Corso Marconi per la filosofia del Marchio voluta per Desio – anche perché nel frattempo ci si doveva ritagliare un nuovo spazio per l’ingresso di Lancia nel Gruppo Fiat. Mentre la “Runabout” poteva essere una base ottima per sviluppare una alternativa provocatoria alla “VW Porsche 914” erede della Karmann Ghia: di questo tipo di guerre incrociate Fiat e l’Avvocato si resero protagonisti per anni, nello scontro dinastico che opponeva Torino a Detroit, Parigi, Wolfsburg.
Dunque Gandini si trova, tra il 1969 ed il 1973, a dividersi tra tre esigenze progettuali e filosofiche in contrasto: da un lato la industrializzazione della “Runabout” attraverso la Fiat “X1/9”; dal secondo lato la creazione di un prototipo onirico come la Bertone “Zero”, in grado di esaltare i geni ereditari di 33 Carabo; e per finire a Gandini capita anche il compito non facile di ideare uno dei capisaldi della “nuova Lancia” entrata nell’orbita Fiat. Ad un comune mortale sarebbero saltati i fondamentali dell’equilibrio spirituale, ma la tempra di Marcello sapeva reggere bene le sfide impossibili.
E così nell’intervallo di tempo sopra detto Gandini dà vita a tre binari concettuali tra loro affini, paralleli ma non sovrapponibili: un record difficile da ripetere nella storia.
Nascono – in successione – “Lancia Stratos Zero” (1970); “Fiat X1/9” (1972); ed alla fine del 1971 inizia a prendere forma la “Stratos HF”; nel mentre – tengo a precisare – Gandini lavora od ha appena finito di lavorare anche su Innocenti “Mini 90”, “Iso Rivolta Lele”, “Maserati Quattroporte II”, “BMW Garmish”, “Lamborghini Urraco” e “Countach”, e “Ferrari GT4”;
e senza farsi mancare anche la “due ruote” : Moto Guzzi“V7” parte dal 1970, appena dopo la fine del progetto “Innocenti Lambretta Lui” del 1968. E questo solo per fare un elenco sintetico.
Linee e forme aliene: Stratos non viene dallo spazio, ma dal foglio bianco di Gandini
Non ci sono parole, ma non è questo l’ambito per esternare ancora ammirazione su questa panoramica straordinaria. Torniamo a noi: se dentro “A112 Runabout” entra lo spirito anticonformista e volutamente “dandy” che l’Avvocato voleva per Desio, dentro la “X1/9” arrivano i canoni nazional popolari che fanno della berlinetta Fiat una sponda per lo sport ed il divertimento su strada di giovani e di squadre e piloti privati che specialmente con le Gr.3 e 4 si divertono in pista, nei Rally e nelle Gare in salita e slalom dove la X1/9 diventa un must.
E dentro la “Stratos Zero”? Beh, dentro quella c’è la saga extraterrestre del Voyager e di “2001 Odissea nello Spazio”, c’è il Comandante Stryker di “U.F.O”; c’è tanto della voglia del mondo di andare diretti nel futuro ed abbracciare un progresso che comincia a parlare di elettronica e di informatica sempre più frequentemente. C’è insomma la prefigurazione di auto che diventano sempre più tecnologiche, seducenti, veloci ed abitabili. Quanti volumi ci sono a formare la linea della “Zero”? Ce n’è uno solo, una sorta di monolite che pare creare da sé stesso le sagome, le rientranze, gli spazi vetrati e le feritoie per l’aria.
Una specie di “continuità nello spazio” che dalle sculture futuriste di Boccioni sembra rifiorire nelle linee di Marcello, dove sono spazio, tempo e aria a dare forma ideale alla materia.
“Stratos Zero” appare dunque così, come un fendente ottico capace di ipnotizzare, nel pieno del 1970. Alcuni provarono a trovare punti di incontro con la “AMX/3” di Eric Kugler, Bob Nixon e Dock Teague (con l’apporto manuale di Salvatore Diomante) ma tra le due c’è solo il colore in comune ed un mondo di differenze: “AMX/3” ricalca l’andamento lineare inaugurato da Lola, Ferrari GTO, Ford “GT40”, Iso/Bizzarrini e così via; mentre Stratos “Zero” è un cuneo continuo scalfalato nelle sue superfici da inserzioni e da un gioco di “pieni/vuoti” dalla efficacia funzionale; “AMX/3” è ancora stile, la “Zero” è Design, anzi: possiamo dire che “Zero” è la antesignana di una serie di berlinette all’italiana che segnano la differenza stilistica dalla tipica forma anglosassone, francese, tedesca ed americana e che anticipa i canoni che prenderanno piede dagli anni Ottanta in poi, influenzando persino il compassato stile inglese che provocatoriamente con Aston Martin nel 1979 nominò “Bulldog” una concept sportiva monovolumetrica molto più estremizzata della pur geometrica “Esprit” Lotus.
“Stratos Zero”: nuovo millennio nello Sport, una “New Age” per la Lancia dentro Fiat
La concept “Stratos Zero” arriva a Torino anche per battezzare la rinascita di Chivasso sotto l’ala del Gruppo Fiat: Lancia è passata al valore simbolico di Lire “Una” da Pesenti ad Agnelli, ed urge trovare una nuova immagine e gamma di prodotto rispetto alla proposta classica e ridondata della gestione precedente.
Un azzardo ma ben giocato: monovolume a cuneo contro la dinastia di tre volumi superclassiche (con l’unica eccezione della Fulvia Coupè, il cui motore messo posteriore e centrale spinge la “Zero”). Cesare Fiorio, fondatore della “HF” e DS della Lancia, sta pensando al pensionamento della Fulvia, ma davanti a sé ha appunto una Gamma di prodotto obsoleta, troppo vecchia e decisamente turistica per poter cercare “in casa”.
Ma nel frattempo “la casa” Lancia è diventato tutto il Gruppo Fiat con il corredo di novità di Gamma che investono da subito Chivasso così come Autobianchi e Mirafiori.
Di fatto però, nel 1971, la nuova frontiera produttiva di Corso Marconi è votata alla trazione anteriore: la “Primula” Autobianchi di Giacosa è stata la capostipite di un cambio filosofico pesante da tentare quasi come quello di Maranello che non voleva mettere il carro davanti ai buoi.
Gli Agnelli erano scettici sulla affidabilità e gestibilità industriale della estensione di gamma alla trazione anteriore, mentre tuttavia la classica architettura a ruote motrici posteriori cominciava ad essere davvero vecchia e – in tema di crisi energetica in arrivo – troppo poco efficiente. Per questo Fiat aveva fatto di Desio il suo laboratorio elettivo dove testare le novità di prodotto: “Primula”, “A111” ed “A112” furono gli apripista alla prima trazione anteriore Fiat, la “128”. In questo contesto, con la sola “126” a rappresentare l’alternativa popolare a motore posteriore a sbalzo, per Fiorio e la Lancia era davvero difficile intravedere spiragli. Ma bastò a Cesare vedere la “StratosZero” per leggerne il DNA corsaiolo e sottolineare a Pier Ugo Gobbato l’ascendente appena rivelato del Marchio Lancia nel prototipo Bertone, con quel motore Fulvia posizionato dietro.
Arriva il “Dino Ferrari” sulla Stratos HF: omologata Gruppo 4
Convinto Gobbato e dunque ottenuto il via libera dalla Lancia, Cesare Fiorio cominciò il pesante percorso di costruzione, tra Bertone /Gandini da un lato, e Gruppo Fiat dall’altro, per costruire pezzo per pezzo la “Stratos HF” del 1971 cercando tra le varie motorizzazioni disponibili in casa Fiat quello migliore per prestazioni, categoria di omologazione, affidabilità. Per questo il Gruppo di Corso Marconi ha una disponibilità illimitata: ma chiaramente il piatto di portata più prestigioso è un motore marchiato Ferrari, sebbene il Drake sia inizialmente sfavorevole per i “soliti” motivi industriali, con le maestranze già affogate tra programmi agonistici e produzione per i Clienti.
Passa un solo anno e nel 1971 a Torino è esposta la “StratosHF” in collaborazione con il Reparto Corse di Borgo San Paolo; sebbene il motore montato sia il “V6 Dino Ferrari” in realtà si tentano altre vie, come persino la richiesta fatta a Maserati (che all’epoca era di proprietà Citroen ma dentro un patto in cui Fiat aveva il 49% del pacchetto azionario del Double Chevron). E se tra la “Stratos Zero” ed altre Conceptcontemporanee passa una intera costellazione, nelle differenze tra la “Stratos HF” e la “Zero” passa una Galassia e tra la “HF Stratos” e la concorrenza stradale ed agonistica passa un intero sistema solare.
La nuova creatura Lancia presentata a Torino è qualcosa di mai visto prima, agli occhi della massa: a prima vista sembra una “Kit Car “ perfetta composta da massimo tre parti di Carrozzeria composte ed associate perfettamente tra loro: un semiguscio perimetrale dal frontale corto e tagliente, sormontato da un volume centrale di cockpit vetrato, il tutto a chiudere una superficie di pavimento e attacco delle quattro ruote. In pochi si rendono subito conto che quel prototipo da esposizione non è – come capitava spesso nei Saloni – una maquette solida ma “vuota”; è in realtà un prototipo assemblato completo da cui fa capolino in V6 Dino. Gandini si è ancora una volta dimostrato superiore, onirico ed efficace allo stesso tempo: la “Stratos” è davvero piccola, con spazio abitacolo ristretto ed essenziale; come essenziale e sportiva senza fronzoli è la intera sagoma e linea dell’auto.
Le quattro ruote sembrano essere state “avvitate” lateralmente su ogni parte per quanto restano esterne al filo di tangente di portiere e lato cofani; ma a coprire provvidenzialmente i quattro pneumatici imponenti (che paiono scappare fuori dalla carrozzeria) ci sono parafanghi dal disegno a mo’ di “spallina”, il che rende la “Stratos” attraente e pericolosa come una First Lady a confronto delle sagome appesantite delle auto da Rally con i passaruota ignoranti.
Fari reclinabili a scomparsa davanti, due occhi tondi e simpatici dietro solo per far capire di più che mostro si cela sotto al cofano. Ecco la Stratos di Marcello Gandini che, tra l’altro, fa il “pieno” in quel salone di Torino dove sono presenti anche il prototipo Lamborghini Countach, e dove la “X1/9”, come qualcuno saprà, viene astutamente anticipata dalla protagonista di una “Spy Story” come la De Tomaso Spyder 1600 Ford.
Ma non mancano neppure le nobili “antagoniste” che in qualche modo bissano, senza poterla eguagliare, quella che banalmente viene chiamata “linea dallo sviluppo cuneiforme” che tuttavia, nella concorrenza a quel Salone per la coppia Bertone/Gandini, non trova un’espressione felice come nelle realizzazioni della mano di Marcello: le forme monovolumetriche a cuneo ci sono ma davvero troppo geometriche e fredde rispetto alla “voce” ed alla comunicazione di Stratos e Countach. Nella concezione più pura del Maestro alla sua Laurea Honoris Causa.
Nel mentre la Stratos comincia ad ottenere l’acclamazione popolare che supera lo stupore o lo sconcerto, tra Ferrari e Lancia iniziano le altalene nei rapporti: come sempre, tra il Drake e Fiat, sul filo di lana estremo Maranello e Corso Marconi trovano un accordo (nel 1972 Enzo Ferrari contratta con Gobbato per fornire i motori Dino) che poi in corso d’opera trova diversi inceppi.
Infatti, nonostante la disponibilità premessa per 500 motori, nel corso del primo anno di accordo partono dal Cavallino verso Torino solo poche decine di unità appena sufficienti per test e prototipi da Gara, e si deve attendere il 1973 per il lotto concordato.
Questo ovviamente ritarda le procedure di omologazione “FIA” per il Gruppo 4, il destino naturale della “Stratos HF” nata esplicitamente per rilanciare Chivasso in primis nel palmares sportivo, ed infatti la “Stratos” vince fin dalle prime apparizioni il “Firestone” ed il “Tour de France” del 1973. Prime glorie internazionali, e la concorrenza a pensare rapidamente cosa fare per evitare di finire seppelliti dalla polvere lasciata dalle ruote posteriori di quella nuova Lancia.
Ed è il 1° Ottobre 1974: Cinquanta anni fa, oggi che Autoprove mette in pubblicazione il pezzo: la Stratos ottiene l’omologazione FIA in gruppo 4 con tutte le unità complete e premiate con la agognata “Fiches”. Ed inizia l’epopea di un’auto a tal punto sperimentale da essere contemporaneamente irresistibile per gli altri e penalizzante per se’ stessa: con assetti e configurazioni da Gara praticamente incomparabili con qualunque altro Concorrente o con il precedente “Database” dentro “HF” (la Fulvia Rallyeera una trazione anteriore…..) riuscire a costruire una messa a punto ottimale non era una cosa da nulla.
Stratos: primogenita di Gruppo B, in anticipo di dieci anni
Stratos avvia un concetto che prima di allora era praticamente inesistente nei Rally e nelle Gare iridate: provate a contare quante altre concorrenti della “Stratos” – prima e durante la vita della stessa – erano costruite come due posti corta e bassissima, con cellula centrale e ben due tralicci al posto del monoscocca portante continuo, un motore posteriore centrale dentro una impronta a terra di circa quattro metri per quasi due ed un appoggio delle quattro ruote poste agli angoli più estremi del quadrilatero di ombra?
Sapete quanti records unici ha battuto la Stratos con la sua concezione? La prima Lancia di produzione stradale con motore posteriore centrale (la Beta Montecarlo arriverà sul mercato successivamente); la prima berlinetta a motore posteriore centrale di produzione stradale ma dedicata esclusivamente al mondo dei Rallyes (la di poco precedente Porsche 914 era destinata ad un uso parzialmente agonistico ma non nativo specifico); la prima Lancia stradale con un motore Ferrari, ed in assoluto l’unica auto di marchio diverso dal Cavallino, ma concorrente diretta, che si sia fregiata di un motore di Maranello (la “Stratos” a differenza della Fiat “Dino” prima e della “Thema 8.32” successivamente entrava a gamba tesa nel settore di mercato, e “quasi” nei segmenti, di casa Ferrari); ed infine una sfumatura che credo sia importante: Lancia, nel bene o nel male, proveniva da una gestione durata 15 anni in casa Pesenti dove la Gamma residuale era data da poche Flavia, Fulvia Berlina e Coupè e pochissime Flaminia, vendute per il 90% dentro il mercato nazionale: tra il 1969 ed il 1975 la “cura” di Mirafiori consegna a Chivasso la nuova “Beta” berlina 4 porte, la “Beta Coupè”, la “Beta Montecarlo”, la futura “HPE”, la “Stratos”, oltre alla già programmata “2000”: uno sforzo di rinnovamento industriale che la storia ha registrato poche volte e che ha comportato per Lancia un impegno tecnico ed umano straordinario anche per il ritorno sui mercati esteri. In tutto questo sforzo si comprende come la “Stratos” non poteva essere un fattore commerciale secondario, ma cruciale.
L’immagine del prodotto Lancia “nuovo” era tutta da disegnare da capo ed il Marketing Fiat aveva a questo punto definito una strategia dimostratasi vincente e, in chiave Gruppo Fiat, persino inaspettata per chi, diversi anni dopo, assisterà alla slavina che da metà anni Novanta ha colpito Chivasso, Desio, Lambrate e per diversi anni anche Arese: prima di costruire una nuova Gamma si doveva rilanciare il Marchio rimasto sotto la polvere di una gestione Pesenti, incolore e minimalista sulla gamma di serie ma fortunatamente efficiente sul lato sportivo; cogliere da subito il testimone vincente di Fulvia Coupè per poi ribadire il concetto con “Montecarlo” (da cui derivò per pura combinazione di Regolamenti la iconica “Turbo Gruppo 5”) poteva significare stuzzicare la fantasia e l’emozione del pubblico potenziale riportandolo da subito sul Marchio e su una nuova aspettativa commerciale sulla quale ricostruire immagine e Gamma.
Non a caso nei primi sette anni di vita della Lancia dentro il Gruppo Fiat la componente “sportiva” di Gamma superava quella “tradizionale” (“Beta Coupè/HPE”, “Montecarlo”, “Stratos” contro “Beta 4 porte berlina” e “Lancia 2000”) sia per offerta che per numeri commerciali a fine anno; mentre dalla nascita di “Delta” gli anni Ottanta hanno visto un boom del Marchio di Chivasso (di sicuro uno dei Marchi che in quel decennio, rispetto al precedente, hanno registrato la crescita maggiore in Europa), e di tutto questo anche la “Stratos” è stata artefice, fornendo al mondo l’immagine di una Lancia futuristica, tecnologica e vincente. A tal punto che si potrebbe ritenere “Stratos” la capostipite, a sua insaputa, della generazione Rallye di Gruppo B che nascerà otto anni dopo. Di Stratos tutto è pensato per le Gare, la facilità di intervento e sostituzione, la distribuzione di pesi e spazi: i due cofani sono “gusci” che inglobano i parafanghi, ed alzati lasciano alle mani dei meccanici propulsore, cambio e trasmissione, sospensioni, serbatoio, etc..
Lo spazio abitacolo è limitato ai due vani interni portiera per i caschi dei piloti e ben poco altro.
Di lei Nuccio Bertone disse che calzava Pilota e Navigatore come la tuta faceva su un atleta, e così facendo entra in simbiosi con Lui: motore 2420 cc 6 cilindri, quasi 300 cv con due valvole per cilindro e oltre 320 ad 8.500 giri minuto con le quattro valvole. Peso minimale e dimensioni 3,71 mt. x 1,75 mt. ed altezza base di 1,10 mt. Un piccolo mostro, che andava bene su qualunque fondo.
E per quanto il Reparto “HF” di Cesare Fiorio fosse abile e ben addestrato, e Sandro Munari “il Drago” fosse un Pilota e collaudatore sopraffino, collezionare esperienze e settare correttamente un prototipo così’ innovativo come la Stratos“HF” non era operazione da poco.
E non dimentichiamo che la carriera di Stratos è stata accompagnata da nomi leggendari che, messi gomito a gomito a lavorare, si sono dimostrati davvero il Jolly vincente per le affermazioni della piccola berlinetta: insieme a Fiorio, Gandini, Munari c’erano Gianni Tonti, Sergio Camuffo, Claudio Maglioli, Giampaolo Dallara, Mike Parkes, Nicola Materazzi
E per quanto il Reparto “HF” di Cesare Fiorio fosse abile e ben addestrato, e Sandro Munari “il Drago” fosse un Pilota e collaudatore sopraffino, collezionare esperienze e settare correttamente un prototipo così’ innovativo come la Stratos“HF” non era operazione da poco.
La storia Iridata ed il Palmares della berlinetta sportiva di Chivasso sono ormai nella leggenda ed in Albo d’Oro: l’epopea della Stratos finì per essere propedeutica ed utile anche alla successiva “Lancia Montecarlo Turbo” ed alla “037” di Gruppo B.
Per chi invece all’epoca potè vedere tutto in diretta, “Lancia Stratos” fu un salto nell’iperspazio.
Di quelli che pochi Costruttori poterono ed avrebbero potuto tentare, ed è per questo che chi ama il mondo delle Auto non potrebbe sopportarne l’assenza di “Lancia”.
Tavares, pensaci…….
Riccardo Bellumori.