Delle vicende che portarono Fiat ad acquisire la quota di minoranza del pacchetto azionario della “SEFAC Ferrari” a partire dal 1969, sappiamo “parecchio”. O meglio, la maggior parte degli appassionati conosce la storia pubblica, mentre in buona parte trascura od ignora una serie di “sottopassaggi” che rendono la vicenda ben più intrigante ed intricata di quanto la letteratura ordinaria – che circoscrive il passaggio di Maranello in Fiat come un semplice e costoso capriccio dell’Avvocato – vuole descrivere. Quello che è curioso è in primo luogo il passaggio “siamese” per il quale in quel 1969 un altro Marchio di prestigio, la Lancia, entrava pienamente (comprata al valore simbolico di Lire UNA dal Gruppo Pesenti) a Corso Marconi.
Era la terza volta, nella storia dei due Marchi, che Lancia e Ferrari entravano in contatto: in primis quando nel Mondiale di F1 anni Cinquanta Maranello fornì i motori alle scocche disegnate a Borgo San Paolo; la seconda quando, con un finanziamento quinquennale offerto proprio dall’Avvocato, nel 1955 Ferrari acquisì il materiale ed i diritti della Squadra Corse Lancia, emanazione di un Marchio in fallimento che finì proprio in mano alla famiglia Pesenti per una quindicina di anni tra luci ed ombre; o meglio, tra prodotti ancora testimoni di una proverbiale e storica eleganza e qualità, prodotti nuovi ed iconici, ma una dimensione commerciale e gestionale in crisi progressiva di numeri e di fatturato. La terza occasione , inesorabilmente, diventò quel 1969 in cui la Fiat fece “filotto” portando dentro casa due dei Cinque Marchi industriali più prestigiosi dell’industria italiana del tempo (escludendo dunque il filone degli Artigiani esclusivi che a loro volta realizzavano opere straordinarie): fuori dall’orbita Fiat, all’epoca, rimanevano come Costruttori di Auto solo Maserati, Iso Rivolta, Lamborghini, Innocenti, Alfa Romeo……Come erano diversi, quei tempi…..
Ricordiamo solo due cose, però, in questo dettaglio temporale: che Fiat accordò a Ferrari quel finanziamento per acquistare la Squadra Corse prevalentemente per superare l’interessamento dichiarato sulla stessa da parte di Mercedes. Una eventuale acquisizione da parte di Stoccarda della divisione torinese avrebbe ben presto prefigurato un nuovo concorrente estero per Corso Marconi.
E che “Business is Business” anche a Maranello, Enzo Ferrari lo dimostrò perfettamente alla fine del 1959, ultimo anno di restituzione da parte del Cavallino dei ratei per il finanziamento avuto da Fiat: proprio allo scadere di quell’anno il “Drake” presentò alla Stampa un motore – 850 cc., quattro cilindri, potenza prevista tra i 75 cv ed i 95 (!!!) – decisamente “ostile” alle piccole sportive che all’epoca appartenevano direttamente a Fiat oppure indirettamente come fornitore di piccoli motori ai Preparatori. Se non era un guanto tirato in faccia a Corso Marconi, questo….
Insomma, un rapporto sempre in chiaroscuro quello tra Torino e Maranello, con l’Avvocato grande (e forse unico in via continuativa) estimatore del Cavallino dentro il Gruppo Fiat, e il Commendator Ferrari determinato ad imporre, chiunque fosse il Gruppo di compartecipazione, l’unico comandamento accettabile ed ammesso: che a comandare alla fine dei conti era sempre e solo lui.
Il problema tuttavia si rivelò, a livello economico, più pesante di quanto il prestigio innegabile ed il richiamo del Marchio modenese restituisse a livello di immagine e dunque di impatto sul mercato: Ferrari costava tanto, per un Gruppo che dovette sostenere tra l’altro, da inizio anni Settanta, sia una crisi energetica che una effervescenza socio-politica che avrebbe portato ben presto alle contestazioni studentesche ed operarie ed agli anni di Piombo. Insomma, un panorama del tutto sfavorevole ai simboli che il Marchio del Cavallino proponeva al pubblico. In più l’organizzazione patriarcale dentro lo Stabilimento portò ben presto la Ferrari a patire in forma pesante le contestazioni sindacali in un ambito nel quale fino ad allora le diatribe e le contrattazioni erano svolte secondo modalità quasi da grande famiglia allargata. Eppure in tutto questo Ferrari ottenne la ristrutturazione e l’ammodernamento degli Impianti, fruì di tutti i benefit consentiti dall’essere parte del Gruppo Fiat (collaborazione con le realtà industriali e di ricerca del Gruppo, Design e ricerca aerodinamica Pininfarina e Fiat Aerospaziale, componentistica Magneti Marelli, etc…) fino a potersi permettere il nuovissimo (all’epoca) centro di Fiorano con Pista Prova personale.
Di tutto questo Fiat sosteneva la voce più antipatica, quella dei costi. Pur potendosi permettere dagli anni Settanta, a livello di Griffe di prestigio e di apparentamenti sportivi, il contributo di due firme di chiara fama. Una era la “Abarth” con cui Fiat poteva “vestire” le piccole cilindrate sportive che da metà anni Settanta divennero ricercatissime; e l’altra era proprio la “Lancia” che al di là delle contestazioni sulla qualità di prodotto mosse dai Clienti affezionati dopo l’ingresso in Fiat, era comunque un Marchio che proprio grazie a Corso Marconi passò in meno di cinque anni da una Gamma di soli tre prodotti (Fulvia, Fulvia Coupè, Flavia) a raddoppiare l’offerta: Beta Berlina, Beta Montecarlo, Beta Coupè, Beta HPE, Gamma berlina e Gamma Coupè, e per un breve periodo la “2000” che tuttavia era un progetto lanciato dalla gestione precedente.
Insomma, Fiat aveva “agio” a possedere il Marchio Ferrari, benchè dalla seconda metà degli anni Settanta questo gli costasse una enormità e benchè – volendo – di alternative se ne potessero immaginare. Ed infatti, sottilmente, così fu o meglio cominciò ad essere. Ma facciamo un attimo una piccola digressione: chi era Vittorio Ghidella? Arrivato in Fiat dall’esperienza nella fabbrica paterna di accessori Auto, pur giovane ingegnere aveva raccolto le sfide e le missioni che progressivamente il Gruppo gli impartiva. Il momento d’oro fu però a partire dalla “Marcia dei Diecimila” del 1978, un vero piccolo terremoto che contribuì a cambiare l’approccio dei Media e dell’opinione pubblica sulle motivazioni e sulle ragioni della lotta operaia fuori e dentro le fabbriche.
Se per quanto tale la Marcia dei Diecimila sortì effetti che fecero breccia nell’opinione pubblica, l’immagine stessa di Ghidella (ottimo tecnico, brava persona e soprattutto originario di quella appartenenza e fisionomia sufficientemente popolare in grado di familiarizzare con le maestranze) dovette apparire forse all’Avvocato similare a quella del mitico Michael Edwardes che, in Gran Bretagna, riuscì gradualmente ad avere ragione di un vero e proprio marasma sociale e industriale che stava portando l’Automotive inglese nel baratro. Dunque Ghidella scalò rapidamente le vette del potere diventando a fine anni Settanta il Capo della divisione Auto di tutto il Gruppo Fiat, con dunque autorità e potere decisionale su Fiat, Lancia, Autobianchi, e ovviamente Ferrari.
L’impronta del “guru” Vittorio si vide gradatamente nella ricerca di un “family feeling” che dando attenzione ai trend commerciali più graditi al pubblico e senza venire travolti dai costi, portò rapidamente a ristrutturare la Gamma di Fiat, Autobianchi e Lancia secondo un paradigma che evitasse a tutti i costi una concorrenza interna. Fu così che ad esempio la vera utilitaria di massa divenne la Panda, mentre a 126 in Fiat ed alla A112 in Autobianchi spettava il ruolo di “Citycar” di pregio. Fiat 127 e 128 finirono la loro carriera nell’allestimento “Unica”, di fatto uno dei primi esempi europei di auto concettualmente Low Cost.
Dalla costola “Ritmo” derivò la Regata con cui Fiat accelerò la dismissione della “131”, mentre per un po’ di tempo il Marchio di Corso Marconi rimase senza ammiraglia, con la “Argenta” uscita dal mercato, di fatto, nel 1983 e sostituita dopo oltre un anno dal prodotto geniale “Tipo 4” che diede vita a Croma ed a Thema.
Già, Thema; e prima ancora Delta ed “Uno”…Vi sorprende? Bene, pochi sanno che la Fiat “Uno” deriva da una concept caldeggiata dall’allora Presidente di Lancia Gian Mario Rossignolo che, in concordia con la filosofia di Ghidella, pensava di fare di questa “piccola” una “B Premium” ante litteram. Poi, motivi di prudenza e di volumi di vendita fecero debuttare la Concept con il Marchio Fiat. Segno tuttavia di un vero e proprio “focus” rivoluzionario con cui l’Ingegner Vittorio (mai segreto sul suo amore per Chivasso) intendeva riportare la luce in Lancia; riuscendoVipienamente, poiché negli anni Ottanta questo Marchio è stato uno dei più dinamici, innovativi e graditi in tutta Europa. La Lancia di Ghidella, tuttavia, sarebbe ben presto entrata in piccola rotta di collisione con…Maranello.
L’occasione è il 1977: quando la “Stratos” inanella ancora risultati record (motorizzata Dino Ferrari, ricordo) e la Fiat si prepara però ad una staffetta divenuta quasi canonica (dal 1969 Mirafiori e Chivasso si erano sovrapposte nell’Internazionale Rally con Fulvia HF e Fiat 125, Fiat 124 Abarth, Lancia Stratos ed a seguire la Fiat “131 Abarth”), ecco che all’orizzonte si muovono due pedine simbolo di questa sottile guerra di nervi. Cosa era accaduto?
Che nell’alternanza di ruolo nei Rallyes internazionali la Lancia si era ritagliata quasi un posto di ordinanza, e tutti erano convinti che dopo la “131 Abarth” sarebbe toccato di nuovo a Chivasso. Tuttavia nelle corde del management e soprattutto di Ghidella vi era anche il ritorno di Lancia sulle Piste di Velocità. L’occasione – furba – la offrì una modifica regolamentare nella Categoria Sport Prototipi, modifica favorevole al Gruppo 5 FIA dove Chivasso aveva un prodotto “ad Hoc” nella “Montecarlo” che, dotata di un 1475 cc turbocompresso studiato e lavorato in casa, aveva in parte “rotto” quel binomio avviato con Maranello sulla Stratos. In verità la Montecarlo, un vero gioiellino tecnico ma ancora di più un miracolo di lungimiranza politica, pareva quasi uno schiaffo lanciato al Cavallino: la capacità di interpretare i Regolamenti poteva surrogare perfettamente la tecnologia esorbitante.
A confronto della iconica “512 BB” Gruppo 5 Ferrari (per paragonare modelli dello stesso Gruppo Costruttore) la Montecarlo poteva apparire come una utilitaria. Eppure conseguì risultati che rimangono nella storia ed in Albo d’Oro superando, persino, ogni più rosea aspettativa. Come l’avrebbe presa il “Drake”, colui che cioè si era sempre ostinato ad opporre all’astuzia dei garagisti inglesi la pura ed eccellente meccanica? Diciamo che, in effetti, per coincidenze curiose, in quel 1977 in cui alla Pininfarina si prova – in Galleria del Vento – il primo prototipo aerodinamico della Montecarlo Turbo Gr.5; a Fiorano sta girando in prova una primogenita un poco speciale.
E’ una 308 GTB, la Berlinetta due posti nata come “entry level” al mondo stradale delle Ferrari: motore 3 litri 8 cilindri aspirato posteriore centrale, misure e forme che in effetti sembrerebbero privilegiare le Gare in Pista; ma è pur vero che l’arrivo della Stratos ha davvero stravolto parecchi canoni.
Perché quella “308” è allestita e tarata per un uso rallystico, e come tale ha chassis irrobustito, carrozzeria alleggerita e priva di qualunque orpello inutile alla causa si mostra tuttavia con due bei fanaloni tondi alloggiati nella griglia inferiore anteriore, dettaglio iconico dell’utilizzo rallysticodei tempi.
Curiosità: sembrerebbe esservi stato un protocollo di intesa, tra la Ferrari ed il Gruppo “finanziatore” Fiat, in base al quale pur nel rispetto assoluto del potere decisionale di Maranello sulle politiche agonistiche Corso Marconi avrebbe ottenuto una rinuncia preventiva del Reparto Corse alla partecipazione ai Rally. Se tale protocollo sia stato mai reale, e se in caso Corso Marconi lo avesse proposto per evitare lotte intestine o per evitare di spendere ulteriori soldi oltre a quelli investiti in F.1, non è dato sapere.
Guarda caso, tuttavia, l’ “Excusatio non petita” arriva direttamente dal Cavallino: quella 308 è stata allestita, preparata e fornita dal Reparto Assistenza Clienti e non dal Reparto Corse fin troppo oberato di lavoro con la F.1; ed infatti la GTB Rally Gruppo 4 non prevede un impegno diretto della Ferrari nei Rally ma sarà ceduta a Squadre terze come ad esempio l’importatore francese Charles Pozzi. Tutto chiaro, nessuna obiezione? Per ora no, ma…
Passano i mesi, e finalmente la Montecarlo Turbo fa il suo debutto, dalla fine del 1979 alla fine del 1981. E dopo? Dopo accade che la FIA stravolge i Regolamenti e propone una Classificazione sportiva che trasforma il Gruppo 1 in Gruppo “N”, il Gruppo “2” in Gruppo “A”, i Gruppi “3”/”4”/”5” in Gruppo “B” ed il Gruppo “6” in Gruppo C.
La Montecarlo Turbo deve andare in prepensionamento, purtroppo, dal primo Gennaio 1982.
Tuttavia i nuovi Regolamenti “Gruppo C” e “Gruppo B” spiazzano in parte anche la Ferrari: sebbene la “308 GTB” già omologata in Gr. 4 fruisca dell’upgrade utilizzato da tanti altri Costruttori nel passare al Gruppo B le precedenti omologazioni, nei Rallyes Maranello rimane nominalmente fuori dalla gestione diretta e stringe un accordo con Michelotto, il preparatore cui fa arrivare le scocche ritoccate, le carrozzerie alleggerite, l’accessoristica omologata ed i motori elaborati; a questo punto lasciando al destinatario solo l’impegno di assemblare tutto.
Quello che però manca e mancherà fino al 1984 sarà un modello totalmente nuovo studiato appositamente per il Gruppo B. Dovrà arrivare la famosa “288” GTO per rompere gli indugi.
Tuttavia, alcuni pettegolezzi di corridoio parlano di un piccolo braccio di ferro, alla data di fine 1981, tra Maranello e Chivasso davanti al giudizio finale di Corso Marconi. Cosa accade?
Succede che il cambio normativo mette fuori scena nel Rally anche la “131 Abarth” da Gennaio 1982, mentre ancora per qualche mese si vedrà soprattutto nei Campionati nazionali, la Stratos.
Ovviamente Corso Marconi non ha alcun modello in casa da derivare – come Fiat – per il Gruppo B, mentre può far riferimento sulle Ritmo “Gr.A” e su queste e la “A112 Abarth” Gr. N.
Stessa condizione, in proiezione, per Lancia: sul Gruppo “N” ha appena iscritto al Mondiale 1982 le elegantissime e pepate “Beta HPE 2000 i.e.” non avendo raggiunto il numero sufficiente di unità prodotte sulla preferita (e forse più idonea) “Volumex 2000”; ma Chivasso non ha “pronta in casa” una berlina da derivare come – ad esempio – hanno potuto fare Renault, Audi, Opel e Toyota.
Ecco allora che le “voci di corridoio” parlano di un presunto fraseggio tra Corso Marconi e Maranello: Ferrari avrebbe rappresentato ai vertici la consistenza della “308 GTB” che solo un anno prima grazie al Team Pozzi si è comportata benissimo con Andruet; e che, fruendo di un budget supplementare e di una autorizzazione all’impegno diretto, potrebbe essere una contendente – se non delle Audi Quattro – perlomeno di R5 Turbo, delle 911 Porsche, di Opel Ascona 400, di Escort RS, di Toyota.
Insomma, nelle premesse c’era sostanza in grado di promuovere già la 308 ad un ruolo di potenziale “Vice” mondiale; perché davvero le potenzialità e l’architettura adatta la “Ferrarina” le aveva. Ma soprattutto, a favore della rossa giocava un fattore: rispetto a parecchie concorrenti pareva indistruttibile.
Non è dato sapere se vi fu mai questa proposta del Drake alla Fiat, ma sembra verosimile per la continuazione di questo racconto. Di certo la Lancia non era rimasta a dormire: Cesare Fiorio, insieme proprio a Vittorio Ghidella, aveva pensato bene ad una controproposta per riportare in staffetta alla Fiat il Marchio di Chivasso.
Partendo da una cellula rielaborata della Beta Montecarlo, il Dream Team Lancia concepisce e realizza un’opera oggi ritenuta immortale, senza tempo, bellissima e diabolica allo stesso tempo. E se non lo pensasse nessuno, me ne importerebbe il giusto, perché questo è quello che penso io.
La “037” è una delle più belle auto della storia, anche in confronto alla estasiante Ferrari 308 GTB. Come è andata la Lancia Rallye nella sua storia lo sappiamo: pochi tuttavia conoscono uno strano “sfogo” di un Campione che ammiro e seguivo in quel periodo: Mister Tonino Tognana, Campione Italiano Rally. Iconica la sua immagine alla guida della “308 GTB” bianca con – tra gli altri sponsor – “Canale 5” su fiancate e cofani: ebbene, la vittoria in campionato di Tonino è stata rubricata quasi dappertutto con la Lancia “037” che tuttavia lui ha alternato con la “308” e che – a suo dire – avrebbe utilizzato da metà Stagione in poi più per “canone” contrattuale e disposizione aziendale che non per convinzione personale poiché Tonino riteneva la Ferrari superiore per lui alla Lancia 037……Insomma, cose che fanno riflettere sui “retroscena” del motorsport.
Sentire da un campione in carica e professionista dei Rally un giudizio di ipotetica superiorità di un’auto che, alla data del 1983, la Ferrari stava sviluppando ininterrottamente da cinque anni prima; per contro va detto che la “037” aveva ben meritato la fiducia, visto il Titolo Costruttori 1983 ed un mondiale Piloti nello stesso anno sfumato probabilmente anche per un calendario programmato da Rohrl abbastanza discontinuo…
Insomma, la parentesi di confronto/scontro tra Ferrari e Lancia in quel frangente di Gruppo B sembrerebbe surreale rispetto al nuovo binomio in Pista che si crea nel 1983.
Mentre l’anno prima Lancia trapianta il 1475 cc turbo della Montecarlo sulla “LC1” da Gruppo C, nel 1983 i nuovi Regolamenti pongono Chivasso nell’esigenza di dover adottare un motore concorrente “livellato” sul proverbiale Boxer Porsche della “956”. Nasce così la Lancia “LC2” con motore Ferrari V8 da 2600 cc. biturbo. Un mostro da 720 Cv, ben superiori al valore delle Porsche, ma minato da consumi esorbitanti. L’esperienza LC2 non sarà delle più edificanti, diciamolo sinceramente, e porterà all’uscita di Chivasso dall’Endurance dove tuttavia non perviene il prototipo Alfa Romeo ora che (ci avviciniamo al 1986) Arese entra nell’orbita Fiat.
Perché – forse – nel frattempo accadono alcune vicende che ne scompaginano altre precedenti, e in particolare con riguardo alla posizione di Maranello dentro al Gruppo Fiat.
Torniamo ai primi anni Ottanta: fino al decennio precedente la Fiat aveva strutturato la sua forma di “monitoraggio” nella figura di Luca Cordero di Montezemolo. Entrato in Ferrari nel 1973 ma sostanzialmente gradito all’Avvocato, diventa Responsabile dentro Maranello a partire dalla stagione inoltrata 1974.
E’ un ragazzo dinamico, presente, telegenico e soprattutto autorevole. Tuttavia ha anche il duro compito di interagire con un Drake sempre più stanco, sempre meno in sintonia con una Formula Uno che sfoggia assetti normativi da veri azzeccagarbugli; Enzo Ferrari si mostra sempre più autoritario ed insofferente, e la gestione di due casi contrapposti – quello di Niki Lauda e quello di Gilles Villeneuve, lo dimostra in pieno recando con sé tuttavia un forte dissappunto di Corso Marconi su entrambi i rapporti tra Pilota e Squadra. Luca di Montezemolo, quasi per nemesi storica, lascia la Ferrari e diventa Responsabile Relazioni Esterne Fiat nel 1977, l’anno del controverso divorzio tra Lauda ed il Drake che si mostra – quasi penosamente direi – combattere un duello rusticano a difesa della “integrità storica” e della sacralità del Cavallino persino contro Niki (colpevole a suo modo di aver adombrato con il suo mito nascente quello delle Rosse); al contrario l’ingaggio di Gilles appare fin troppo smaccatamente il simbolo di una superiorità della Ferrari tale da consentire a qualunque “cavallo di Caligola” di vincere al volante delle sue auto.
Da quel 1976, per effetto della gestione diretta della Ferrari da parte del Drake e per le conseguenze del clima socio-politico-sindacale, tra Torino e Modena il rapporto si abbastanza teso, meno gioviale di un tempo. Come detto, il costo di Ferrari nei bilanci Fiat è spaventoso, inutile girarci intorno. E su questo come incide Ghidella??? Dal 1979 come detto sopra la mano dell’Ingegner Vittorio si mostra da subito con la ristrutturazione commerciale e industriale di Lancia, per poi coinvolgere in questo processo tutti i Marchi del Gruppo. Ma l’attenzione di Ghidella dai primi anni Ottanta va decisamente oltre i confini di casa Fiat. Il lavoro paziente di cesello a cui il Manager sta lavorando è impegnativo: si tratta di immaginare uno spazio aureo in cui collocare due obbiettivi in quei primi anni Ottanta, uno dei quali fortemente nel mirino e l’altro al contrario abbastanza incerto. Quest’ultimo è in sostanza il “Tridente di Stato“, quella Maserati “intrusa” tra Lambrate e Modena sotto Don Alejandro De Tomaso che aveva rilevato nel 1976 – con i soldi pubblici della Gepi – un Marchio vicino alla bancarotta e l’aveva riportato su buoni livelli: la “Quattroporte” di Giugiaro del 1979 era diventata la nuova auto del Capo dello Stato (contro la gloriosa Lancia Flaminia) mentre la Gamma Biturbo creava un nuovo paradigma di lusso e sportività che, nel Gruppo Fiat, “puntava” dritto alla nuova fascia della sportività Lancia Abarth.
Ma era questione di tempo: le “auto di Stato” cominciavano a diventare, da inizio anni ’80, un lusso difficile da mantenere a lungo; e l’uscita della Maserati dalla Gepi poteva dettare il suo countdown da quando la stessa nel 1984 aveva obbligato De Tomaso a fondere insieme Innocenti e Maserati per risanare un colossale buco di bilancio: tutti già sapevano che il Boss di Canalgrande (là risiedeva nell’albergo di famiglia) cercava disperatamente un potenziale acquirente in Lee Iacocca (Chrysler) ma questi, sebbene amico di Alejandro e molto interessato alla Maserati, aveva rifiutato diverse proposte di fusione proprio per i conti disastrosi del Tridente; insomma, Torino sapeva che colpo su colpo prima o poi la Maserati sarebbe arrivata a portata di tiro. Nel frattempo, l’idea di Vittorio Ghidella si era orientata verso un “polo del Lusso” Fiat, il cui incubatore diventò – una volta acquisita Alfa Romeo – la nuova Divisione “Alfa Lancia Industriale Spa” che incluse Desio, Chivasso ed Arese. Siamo già alla seconda metà degli anni Ottanta, quando tra l’altro prese vita una nuova creatura voluta da Ghidella: la Thema Ferrari 8.32.
Ma la Vostra curiosità è tutta rivolta a quello che immaginate sia accaduto tra Vittorio e Ferrari nella prima metà del decennio.
E cosa accadde? Accadde che, mia personalissima impressione, l’attenzione di Ghidella era stata molto probabilmente attratta dall’esperienza commerciale ed industriale di un altro “Cavallino”. Quello di Stoccarda, appartenente alla galassia Volkswagen: ad un passo dalla bancarotta alla fine degli anni ’70 il Marchio di Stoccarda aveva ripreso fiato con una differenzione estrema di servizi, di strategie commerciali (pensate solo all’enorme fatturato generato da Porsche Design e Porsche Engineering) e di produzione anche conto terzi ed in outsourcing, parole queste che a Maranello erano sconosciute, ma che avrebbero significato soprattutto nuovo fatturato in crescita. Tanto per dare una idea, il motore che in F1 avrebbe tolto ad Alboreto la speranza pur debole del Mondiale non era direttamente Porsche ma bensì una commessa ben pagata dalla T.A.G. alla Casa di Stoccarda. Se questa mia opinione potrebbe apparire sacrilega ai puristi (perché in concreto implicherebbe l’ipotesi balenata a Torino di fare della Ferrari anche una Griffe), i più attenti ricorderanno che nel 1983 apparve con un certo stupore generale una iniziativa mediatica e promozionale di forte impatto.
Nacque la linea “fashion” Ferrari Formula che dal 1983 presentò per la prima volta un merchandising che andava dallo Sportwear alle penne, ai gadget, ai profumi, persino una serie di orologi Cartier.
Probabilmente Ghidella cercava di “modellare” un nuovo profilo della “Rossa” prendendo spunto dalla evoluzione e dai risultati commerciali della nemica Porsche, questa la mia idea.
Che tuttavia si fosse verificata una vera e propria intrusione gestionale di Mirafiori dentro Maranello non è né una immaginazione né tantomeno una opinione.
Le ingerenze della Fiat su quello che riguardava la vita della Ferrari divennero ad un certo punto così concrete da creare una sorta di scontro al vertice: era il 1985 e fu presentata la Ferrari “408”, la Rossa più strana mai ideata a Maranello, opera di Mauro Forghieri ma che in verità Vittorio Ghidellaimpose all’allora A.D. Sguazzini (uomo Ferrari di stampo classico) con l’obbiettivo proprio di sviluppare concetti quasi sacrileghi a Maranello: telaio chassis monoscocca portante e non tubolare, turbo e trazione integrale.
Ma ancora all’epoca il Cavallino riteneva sé stesso sacro e inviolabile, cosicchè la “408” richiesta da Ghidella a Mauro Forghieri finì nel cassetto, Sguazzini e Forghieri uscirono dalla Ferrari ed il Drake, stranamente, rimase in silenzio; ma la ferita era aperta.
Come andarono le cose successivamente lo sappiamo bene: Ghidella affrontò uno scontro frontale e sanguinoso con Cesare Romiti. Il Manager cucciano vinse, in ultima istanza, portando Ghidella ad uscire dal Gruppo Fiat e di fatto interrompendo e stravolgendo la programmazione avviata dall’Ingegnere. La guerra tra Ghidella e Romiti iniziò nel 1985 e vide il suo apice sull’ipotesi di accordo con la Ford su cui aveva lavorato Ghidella: se fosse giunta in porto avrebbe creato un Gruppo del 25% di mercato in Europa, un gigante imbattibile per tedeschi e giapponesi. Invece a frenare Torino sull’accordo ci pensò proprio Romiti che paventò il rischio di “ingerenza/ingestione” di Detroit su Corso Marconi: saltato l’accordo di fusione con Fiat, Dearbornassunse Vittorio Ghidella come consulente speciale del presidente Ford, e l’Ingegnere di Vercelli abbandonò l’Avvocato finendo nel fuoco di fila di pettegolezzi e accuse pesanti del nuovo potere di Mirafiori.
Quando, tuttavia, Ghidella lascia la Fiat ad Ottobre del 1988 il Drake se ne è già andato, tre mesi prima. La guerra tra galantuomini e combattenti di valore rimane un passaggio epico irripetibile. Come l’immagine dell’auto italiana e del Gruppo Fiat in quegli anni.
Riccardo Bellumori