La prima immagine che mi viene in mente, salutandolo nel suo piccolo “Principato motoristico” di Barberino Val di Pesa (cioè nella sede dove conserva le moto alle quali è affezionato inclusa la Laverda con cui suo fratello corse il Trofeo 500), è quella di un cavaliere della Tavola Rotonda un poco irriverente e anarchico, ma coraggioso e leale.
La sua armatura non riluce di riflessi bronzei od argentati, ma dalla sua tuta da lavoro scura puoi scorgere sempre i bagliori di un arancione vivo, esattamente quello della Laverda: il suo marchio sembra campeggiare tra quelle mura come lo stemma di una Casata nobiliare. Fedele ed innmorato al punto da indossare ancora le sue amate T-shirt con i colori ufficiali, non certo per fanatismo ma per eterno senso di appartenenza.
E’ questa l’immagine del guerriero di tante battaglie, avvezzo a sfidare quei draghi alati (soprattutto giapponesi) difficili da combattere in pista e resistere alle streghe cattive (quelle invece sono più spesso arrivate da casa nostra, cioè dall’Italia e dall’Europa sotto forma di leggi e regole insopportabili per chi è animato da sana passione motoristica), che si propone a prima vista ai visitator ed agli appassionati che vogliono salutarlo per raccogliere simbolicamentedalla sua mano tesa sempre cortesemente un po’ di quella magia che solo i personaggi leggendari come lui inconsapevolmente spandono intorno.
Quella magia che parte dai racconti articolati in un toscano degno del suo più illustre concittadino millenario, con un tono così pacato e divertito da diventare coinvolgente; una magia ancora più forte e speciale perché profumata di normalità, di aria di casa: direi proprio di “Dolce Stil Novo”, ma mi viene più naturale chiamarlo “Dolce StilMotor”…
Nulla di quello che Augusto Brettoni (il nostro eroe titolare di questo racconto) esprime, ricorda, racconta od onora ogni giorno attraverso sé stesso diventa mai una barriera tra lui e gli interlocutori; tutto quello che Sir Augusto rappresenta (fino ad essere già leggenda per tutti noi suoi contemporanei) non viene opposto come differenza di rango, ma viene condiviso come fosse una piccola legnaia a cui attingere per continuare ad alimentare il fuoco della tradizione e della passione.
Mai visto in lui un atteggiamento da star, da senatore. Per questo è nel cuore di tutti; ma la cosa bella, come per tanti suoi conterranei (Bizzarrini, Moretti, Ancillotti, Ermini, etc..) è che se davvero vuoi sfogliare l’albo delle vicende leggendarie, allora non devi limitarti a leggere quello che si trova sui Media “globali”.
Augusto Brettoni, per la gioia di chi lo conosce personalmente, ha ancora il dono di saper trasmettere pillole di leggenda intrattenendosi a parlare, guardandoti negli occhi o scorrendo nei ricordi ogni metro quadro del suo Regno-Officina che ha visto momenti epici: e ti indica un banco da lavoro dove ha preso forma la mitica “Enduro” Laverda-BMW di fine anni Settanta; o ti porta vicino ad una moto che ne ha viste di battaglie leggendarie che neppure la tavola di Re Artù.
Non posso fare a meno di pensare che se si fosse chiamato Auguste Bretòn, magari, e che se oggi abitasse a due passi dalla Senna avrebbe titoli ed onorificenze, articoli e libri oltre a pullman quotidiani di adoratori di ogni parte del mondo.
Ed è in parte così, fuori d’Italia. Probabilmente se in questo momento siete a Tokyo, Londra, New York, Amsterdam o persino Sidney e – durante il vostro Tour – voleste chiedere in giro chi è Brettoni trovereste più interlocutori preparati di quanti non ve ne siano in Italia. Il segno di una grandezza che non è solo dettata dal curriculum sportivo eccellente.
Su tutto c’è il suo rigore umanista che lo rende (al pari di divinitàterrene del motore come Carlo Murelli, Giotto Bizzarrini, Giulio Alfieri e pochi altri “guru”) capace di descrivere motori e modelli tecnici quasi fossero entità vitali, meritevoli di cure e di attenzioni come ogni individualità fisica pensante.
Ma in tutto questo mai nulla di quel che Augusto racconta o propone è banale o scontato; persino prendere un caffè con lui diventa occasione per incontri, aneddoti, scherzi e buonumore.
La prima volta che l’ho contattato, alla fine di Marzo di quest’anno, mi sembrava quasi uno scherzo telefonico: trovato il suo numero attraverso un qualunque media pubblico, lo chiamai per invitarlo ad un evento dedicato ad un altro grande fiorentino – un campione di motovelocità – scomparso di recente.
Pensando io di dover passare, di norma, attraverso chissà quali filtri telefonici, non immaginavo che a rispondere sarebbe stato proprio lui, forse inconsapevole dell’effetto che la cosa poteva avere su un suo ammiratore ed appassionato.
“Drinn…..Drinn” (risponde)….”Buongiorno, è l’Officina di Augusto Brettoni?”
“Si” (Risposta, e silenzio).
“Ma” (riprendo io il dialogo) “parlo proprio con Augusto Brettoni?”
“Eh Si” (pausa, serena e con tono pacatissimo) “Ci sono solo io qui dentro…..”
Insomma, avete capito che razza di mito ho avuto la fortuna di poter conoscere? Senza blocchi o filtri lui, Augusto Brettoni, era riuscito a sciogliere ogni mio timore reverenziale fuori luogo, ma la magia non era finita.
Viene il giorno in cui, insieme ad un caro amico come Luciano Leandrini (ottimo centauro anche di Superbike anni ’80) organizziamo una visita da Brettoni: Luciano lo conosce dai tempi del Trofeo Laverda ed Augusto ci accoglie con familiarità e cortesia.
Un bel quadro di re-incontro e di ricordi, nel mentre tuttavia il telefono del mago delle Laverda continua a squillare in un numero interminabile di volte svelando a me ed a Luciano una novità inaspettata: Augusto Brettoni ci ha accordato l’incontro nel giorno del suo compleanno, coinvolgendoci in una occasione di festa che per lui corrispondeva ad un comune giorno passato tra le sue creature.
La storia sportiva di Augusto Brettoni parte come per tanti suoi contemporanei dalle Gare di Velocità in Montagna, le Cronoscalate, alla guida di una serie di moto e cilindrate: dai cinquantini che sotto di lui apparivano ancora più zanzare fino alle cilindrate più impegnative(quasi tutte inglesi, per via del papà che gestiva una Officina AJS e Triumph) affiancate alla Parilla 350 bicilindrica, la sua prima moto; entra in Laverda come pilota nel 1969 fino al 1973, poi fino al 1978 ne gestisce la squadra corse conoscendo ed affiancando nomi celebri del motorsport a due ruote.
Da pilota non è certo uno “fermo” : vittorie importanti alle 500 km di Monza, alla 24 Ore di Barcellona, secondo al Bol d’Or, 200 Miglia di Imola, primo di Classe 750 ad una folle 24 Ore ad Oss in Olanda – su un circuito ricavato nel perimetro cittadino tra pavè, alberi e case – corsa con nome di fantasia per evitare provvedimenti federali, poiché la Gara era organizzata da una Federazione dissidente.
In questo percorso di vita Augusto ha conosciuto davvero l’alfabeto nobile del motorsport italiano ed internazionale ed ha incrociato da avversari i piloti ed i Marchi che occupano la letteratura e la fantasia popolare. Come detto, dopo l’iniziale carriera di Pilota ma anche di ottimo conoscitore della meccanica delle moto, entra in contatto con Laverda, allora guidata dal Patron Massimo.
La “SFC” con le sue poche centinaia di pezzi prodotti è senza dubbio la moto più iconica e rappresentativa della storia di Augusto con la Casa veneta, anche se il “bozzolo” iniziale in realtà è la più classica e turistica “SF”, che con pazienza e metaforico cesello viene raffinata ed elaborata a mano a mano.
Certo, “SFC” nasce così dalla Factory quasi già pronta e caratterizzata anche nelle sue prerogative più “ostiche” come la durezza di guida e la scarsa agilità.
Per Augusto, forgiato sulla granitica “Atlas” della Norton (curiosa nemesi storica, “Atlas” sarà anche il nome di un ultimo Enduro a marchio Laverda) in realtà la SFC appare quasi come una moto “facile”; ovviamente la sua tecnica, la sua capacità fisica e la sua dedizione verso Laverda non possono supplire a delle caratteristiche endemiche quali la potenza non eccellente del bicilindrico o la progressiva anzianità – dalla fine degli anni Settanta – di un progetto che a differenza di altre concorrenti viene aggiornato via via sempre meno e sempre più lentamente.
Inizia a soffiare su Laverda un vento di crisi, dalla seconda metà degli anni Ottanta, e anche nel torneo internazionale forse rimasto unico a poter ospitare una “SFC” (cioè la B.o.T.T., la “Battle of the Twins”) negli USA, le ultime presenze della elegante livrea arancione fanno apparire la “SFC”, il suo Manager Augusto e la batteria di piloti impegnati in Gara una sorta di stoici “Highlanders”.
Perché poco prima degli anni ‘90” il Marchio veneto si avvita dentro una seconda crisi (durante la prima il management aveva già ceduto la vecchia sede e ristrutturato l’organizzazione aziendale) dalla quale non esce, e così il settore moto della “Laverda” cancella del tutto il suo passato glorioso.
Tutti ricordi che in parte fanno un poco commuovere, ed in parte “pizzicano” nell’animo e nel cuore di Brettoni come i tanti “trofei di trincea” rappresentati anche dagli immancabili dolori e doloretti che nel tempo accompagnano fedelmente chi ha fatto della passione motociclistica una condizione agonistica.
Ma quel che forse “pizzica” di più dentro Augusto è il fatto che quel marchio glorioso, Laverda, oggi non c’è più.
Argomento a tal punto ritenuto da noi così delicato da spingermi ad evitare di farne oggetto di dibattito; anche perché se parlare del futuro non è mai facile soprattutto con persone coscienziose e giustamente scettiche come lui, diventa impossibile distogliere l’attenzione dai ricordi e dagli aneddoti fantastici di cui è stato protagonista: tanto coraggio, tanti sacrifici ed improperi tassativamente in fiorentino DOC, e storie di missioni impossibili, di convogli fatti da camion carichi di moto che trainano roulotte piene di ricambi, di viaggi che duravano anche giorni di guida lungo tragitti da patiti dell’avventura lungo mezza Europa.
Anche nel giorno della nostra visita con Luciano, che ha rievocato la disponibilità e l’affetto con cui Augusto lo aiutò in occasione di un intervento al motore della sua Laverda 500 Trofeo quasi mezzo secolo fa, gli aneddoti e i “dietro le quinte” di una vita impegnativa e sempre al limite avrebbero meritato l’onore di un pubblico ben più nutrito del solo sottoscritto: ed io, quasi una presenza estranea rispetto a quella familiarità, sono stato invece trattato come un amico di vecchia data. Quell’otto Maggio è da allora una data che conservo nell’agenda speciale del cuore, una ricorrenza da celebrare ed onorare per sempre.
Augusto Brettoni, un quotidiano esercizio e contesto di magia e leggenda, una pietra miliare, una vera e propria leggenda contemporanea; ma non diteglielo, è il primo a smorzare fanatismi ed a ritenersi una persona qualunque che ha avuto la fortuna di fare della passione giovanile una professione. Ma se questo gli fa onore, è ancora più encomiabile rendersi conto che il suo amore per Laverda lo porta tuttora in sella alla sua amata “1000” stradale; e che il suo supporto verso il Museo Laverda di Breganze non è mai venuto meno.
Un motivo in più, per chi non lo avesse ancora fatto, per andare a visitare proprio questo Museo che vive della passione volontaria e della libera attività dei suoi organizzatori e che purtroppo rimane spesso in ombra rispetto a paradisi nazionali del Motorsport ben più cavalcati dalla comunicazione dei Media.
Se Laverda è uno dei nomi simbolo della motocicletta all’italiana nel mondo, il suo Museo ne è la continuità storica; e Sir Augusto Brettoni ne è ancora – lui solo – il Cavaliere fedele e devoto che con la sua figura onora il prestigio della Casa veneta.
Averlo conosciuto e sapere che ha sempre la porta aperta per chi vive ed esprime passione pura, è la più bella delle sensazioni possibili.
Salutarlo è a che l’occasione simbolica per prefissare una ipotetica data di re-incontro, magari per approfondire qualche tematica tecnica, conoscere segreti e peculiarità di ogni moto del Marchio e non solo.
Perché davvero Augusto ha risposte per qualunque domanda legata al mondo delle moto; verrebbe voglia di dotarsi di tenda canadese e prevedere un campeggio di almeno due giorni nelle piazzole verdi circostanti, pur di poter intavolare un dialogo “extended range”.
Ed esprimendo questo pensiero come personale, voglio sperare che Laverda possa tornare di nuovo a campeggiare su serbatoi e fiancate di moto contemporanee pronte a tornare sul mercato.
Auspicabilmente senza motori cinesi; ma dentro di me sento che, invece, ad animare una “nuova” Laverda sarà un Gruppo Indiano. Il che, vista la ottima riuscita di Royal Enfield e di BSA, non è detto sarebbe una brutta prospettiva. Ma davvero quello che a tanti piacerebbe è il ritorno di Laverda.
E detto da un “ottantone” all’epoca adolescente che – rapito dalle facili sirene di Cagiva e dei Marchi giapponesi dell’epoca – non ha mai fino ad ora fatto nulla per ridondare in qualche modo la figura e il ricordo della Casa veneta, direi che non è poca roba.
Riccardo Bellumori.