Motori e Tricolore: non serve il Made in Italy ma l’Italian Feeling

Titolo: “URSO: Stellantis deve assumersi responsabilità e rilanciare l’auto Made in Italy”.

Spezzoni di un articolo che resterà alla storia dell’auto italiana:” E’ più di un anno che lavoriamo CON (???) Stellantis che deve assumersi la responsabilità del rilancio dell’auto in Italia nel rispetto di quello che Fiat ha fatto per l’Italia e che l’Italia ha fatto per la Fiat”…

E chiosa finale:”Lavoriamo insieme perché l’auto torni ad essere orgoglio dell’Italia, il sogno dell’Italia”. 

Con rispetto parlando, la lettura di quel pezzo ha rappresentato un minuto e mezzo di assoluta perdita di tempo. Nulla di quel che era scritto aveva un senso pratico, e lo affermo in rispetto alla mia legittima opinione.

Un pezzo che riassume la vuota querelle tra Governo e Stellantis sulla Junior “Made in Milan”, sulla Topolino con il tricolore da grattare via prima della consegna al Cliente, e con la “sparata” (tale è, dal mio punto di vista) del Governo sul rilancio di Autobianchi ed Innocenti attraverso l’interazione con produttori cinesi…..

 

Una panoramica mediatica ed informativa piena di amenità che – a mio personale giudizio – ultimamente riempiono il tema dell’Automotive “nazionale”.

Alfa Romeo “Milano NO, Junior SI”: e il consumatore è davvero tutelato?

La storia della collaborazione pacifica e proattiva del nostro Governo con Stellantis è di per sé un paradosso, basta ricordare il caso “Alfa Romeo Milano – Junior” e le bandiere sulla “Topolino”. Dell’ultimo caso neppure voglio parlarne per la stupidità del contendere, ma ritorno al nome della nuova Alfa: “Milano”, si disse, è ingannevole. Chi lo afferma?

Una norma (a mio modesto parere buona esclusivamente per il patrimonio agroalimentare italiano vittima degli abusi sull’Italian Sounding) che però ha messo “ a forza” il naso dentro al mondo Automotive: la Legge 350/2003 che all’Art. 49 recita che un “Produttore” non può commercializzare prodotti “recanti indicazioni di provenienza o di origine false o fallaci (ad esempio con la stampigliatura “Made in Italy” su prodotti estranei all’origine nazionale); in questo senso la legge chiarisce espressamente che è fuorviante anche l’utilizzo di segni, simboli, raffigurazioni e quanto altro potrebbe indurre il Consumatore a ritenere che il bene da acquistare sia di origine italiana”. 

 

Alfa Romeo Milano è estranea all’origine nazionale perché la sua produzione e’ stata decisa in Polonia, e dunque chiamarla come la città meneghina indurrebbe il Consumatore a ritenere che quest’Alfa invece sia di origine italiana, secondo il Ministro delle Imprese.

Peccato che solo “Autoprove” abbia avuto coraggio e decenza – rispetto a tanti altri Organi di “informazione” – per segnalare la aleatorietà del giudizio e per aver posto in essere un simpatico “Inpeachment” verso tutti i Governi dal 2012 ad oggi: era infatti quello l’anno in cui la Lancia vendeva sul mercato nazionale la “Flavia” (antica Via imperiale Romana) basata ineludibilmente sulla Dodge e di cui Fiat utilizzava persino lo Stabilimento di Sterling Heights negli USA. Secondo la Legge 350/2003 “Flavia” non è forse allo stesso modo una dicitura ingannevole? 

E in questo caso, le Istituzioni chiamate a deliberare e ad eseguire le norme di Legge non sarebbero state omissive o peggio ancora promisque verso il Costruttore nazionale?

Caro Ministro Urso, che ne direbbe di aprire una minisanatoria per tutti i casi che i Governi precedenti al Suo hanno trascurato nonostante fossero casi contrari alla predetta Legge 350/2003? Sanatoria più, Sanatoria meno……….Perchè, sia chiaro, quando l’irregolarità si verifica dal momento in cui il prodotto “fallace” viene registrato alla Dogana, è la’ che scatta l’omissione di atti formali delle Istituzioni nella mancata osservanza della Legge.

Legge che, recita chiaramente, è fatta a tutela del consumatore; e pensate dunque – sempre richiamando il caso della “Flavia” – se un Consumatore, dichiarandosi eventualmente danneggiato dalla dicitura fuorviante (ai sensi della L.350/2003) ritenesse di invocare il Consiglio di Stato…….Chi di paradossi ferisce, si sa……

Nel frattempo all’orizzonte si segnalano i pericoli della nuova “Capri” di Ford

Ma è presto per pensarsi. Invece non è presto per ricordare la questione “bandiera tricolore” che il Governo ha pacificamente chiesto a Stellantis di rimuovere – per le stesse declinazioni fatte prima – sulle “Topolino” Z.E. sequestrate a Livorno per la presenza di loghi tricolori sulla carrozzeria.

 

Qui il Governo del 2011 fu più fortunato: la “Punto EVO” di Fiat realizzata per il 150° dell’Unità d’Italia era prodotta a Melfi……Il tricolore era – in quel caso – congruo. 

Insomma, un percorso di sereno confronto e sinergia tra Governo e Stellantis, in questi mesi, è innegabile. 

Del resto, abbiamo letto sopra : “…..Il Governo lavora con Stellantis……”. Ma in forte sintonia, sia chiaro. Non ci sono prove del contrario…

Il richiamo romantico del passato. Ma il “Made In” ormai è solo in Cina?

Caro Ministro, consapevole della croce che Lei un po’ avventurosamente si è caricato sulle spalle (forse per dovere cameratesco verso la conquista di una buona immagine del Suo Governo) sarebbe così cortese da rispondere ad un quesito??

E’ più tricolore una batteria Bosch prodotta a San Lazzaro di Savena ma secondo brevetto tedesco, o una Pinza Brembo marcata come tale e prodotta in Cina? 

E’ più ingannevole per il potenziale consumatore una Alfa “Milano” prodotta in Polonia, o un Panettone “Tradicionàl” prodotto in Sudamerica in almeno mezzo milione di pezzi all’anno e – chissà – in commercio anche da noi a “tre-euro-e-novantanove” nei Discount nazionali? In effetti questo è un aspetto che sarebbe interessante approfondire. 

Dunque, perché continua a battere il martello solo contro l’ipotetica origine “terza” rispetto all’Italia dei prodotti Automotive

Sappia, cortese Ministro, che il concetto di “Made In Italy” Automotive era una mezza frescaccia già nella seconda metà degli anni Ottanta, quando la produzione di serie nazionale si realizzava molto spesso mediante una meccanizzazione estremizzata usando impianti di brevetto estero: per anni le Autobianchi di Desio venivano verniciate e trattate ai fini di anticorrosione da un impianto innovativo ed automatizzato importato direttamente dagli Stati Uniti. Guarda caso le Autobianchi trattate con il metodo americano negli anni Settanta non si arrugginivano, le Alfasud di Pomigliano e le 128 di Mirafiori “all’italiana” invece si…….

 

Ebbene, quale sarebbe stata la prerogativa che rendeva quell’impianto “Made in Italy”?? Nessuna. Punto. Solo, si continuava in Italia a confondere l’immagine iconica e la prassi largamente manuale e artigianale (a quel tempo) di Ferrari, Lamborghini, De Tomaso, Maserati con un prodotto contiguo di sempre maggiore serie per la cui catena di montaggio ci si serviva di soluzioni ed impianti di concetto internazionale. 

 

Certo, lo stile ed il Design, certo la ergonomia degli interni, certo il carattere dei motori: in quel contesto la mano italiana si distingueva dai canoni dei Paesi concorrenti; ma diciamo anche che la prosopopea tipicamente indigena sul “Made in Italy” è stata corroborata da una sorta di epopea in cui, da fine anni Sessanta, il nostro Paese era contemporaneamente all’avanguardia in così tanti campi dello stile, dell’Industria, della moda e della cultura.

 

Ma questo era il mondo fino a 30 anni fa: poi globalizzazione e tecnologia avrebbe dovuto far riflettere la “classe Dirigente” che anziché fossilizzarsi su simbolismi del passato sarebbe stato meglio coordinare una ristrutturazione del tessuto di impresa nazionale in chiave di internazionalizzazione e di sostegno alla creatività nazionale.

Cosa che è avvenuta, ma con trenta anni di ritardo e in assenza di una programmazione istituzionale: anzi, potremmo elencare casi di autolesionismo istituzionale in tema.

Un esempio? L’unico corso universitario di Laurea in Industrial Design, alla facoltà di Architettura di Calenzano (Firenze) che assegnò il Titolo Honoris Causa a Giotto Bizzarrini è stato chiuso recentemente, costringendo i giovani talenti di casa nostra a pagare rette impegnative per i Corsi Privati erogati da Istituti di fama. 

Certo, la questione “origine” e provenienza torna ad avere tutto il suo peso quando si parla di Cina ed India. Ma è inutile anche stare ad approfondire il perché. 

Per quanto riguarda l’Italia, la guerra santa sull’origine tricolore delle auto è davvero pari al nulla: dal nostro Paese “esce” ormai meno di un milione di auto all’anno, cioè meno della metà di quel che si costruiva fino agli anni Novanta.

Tra le auto prodotte oggi troviamo Pagani, Ferrari, Lamborghini, Maserati (per diverso tempo equipaggiata con motori costruiti in America); insomma l’elite della produzione nostrana, oltre ad alcune Alfa Romeo; ma troviamo anche auto che da noi vengono assemblate poiché provenienti da altre catene di montaggio estere o perché discendenti da piattaforme realizzate in Stabilimenti esterni all’Italia. 

Quelle le consideriamo “Made in Italy”?

A quanto pare, secondo AGCM, non è corretto farlo: la sanzione comminata contro DR Automobiles S.r.l. e la sua controllata DR Service & Parts S.r.l. (per un totale di 6 milioni di euro) parte dalla contestazione di aver creato nel Consumatore l’aspettativa di un prodotto di Gamma “DR” ed “Evo” come realizzato in Italia, dove invece avverrebbe “solo” una serie di lavorazioni finali (evidentemente ritenute secondarie e non discriminanti sulla genesi dei modelli) su architetture sostanzialmente definite e mantenute nella struttura originaria industriale di provenienza. 

Cioè la Cina; dunque, secondo AGCM, DR Automobilesavrebbe pretestuosamente accentuato la fase lavorativa e gestionale in Italia (che pure c’è stata e continua ad esserci) “celando” (ovvero “per celare”) l’origine cinese del manufatto commercializzato a marchio proprio.

Dunque per l’Autorità Antitrust “movimentare” o lavorare parzialmente un prodotto – in questo caso cinese – in Italia non è condizione necessaria e sufficiente a dichiararne l’italianità. Dopo di che, questo è il panorama che accompagna l’ultima idea ” del Ministero per le Imprese: l’intenzione così, dal nulla, di diventare attore in primo piano della rinascita e del rilancio sul mercato di due Marchi tipicamente “Italian Sounding” ed evocativi: Autobianchi ed Innocenti. Ecco, voglio approfondire questo aspetto, ripartendo dalle veline di Stampa e media per come hanno descritto la questione.

Decadenza di Marchi inutilizzati da cinque anni? Campa cavallo

Anche qui, alla base di tutto c’è una norma, alla base: ma secondo il mio umile pensiero non è la famigerata “Legge Quadro” sul “Made in Italy” ma un riferimento di Legge non superabile da alcuna Legge successiva: si tratta del “Codice della Proprietà Industriale” (D.Lgs. 30/2005). In base alle strategie che i Media descrivono essere in costruzione presso il Ministero, quest’ultimo avrebbe richiesto la “decadenza” dei Marchi Autobianchi ed Innocenti. Il “Codice” del 2005 prescrive sia la decadenza per “non uso” (Art.26) di un Marchio, sia la “decadenza parziale” relativamente ai prodotti o servizi non più attivi nella programmazione industriale del Marchio (Art. 27). 

Cosa definisce tuttavia il concetto di “non uso”?

L’Art. 24 del “Codice” stabilisce al comma “1” che la ipotesi di decadenza decorre dopo cinque anni continuativi di non uso “effettivo” da parte del Titolare o da terzi in qualche modo beneficiari del suo consenso: dunque, anche il solo raduno periodico di “Bianchina” o di “Mini 90” potrebbe essere adatto a interrompere il periodo di inutilizzazione; ma andiamo oltre. 

Ogni motivo giustificante il “non uso” esclude ogni eccezione di decadenza, e a ben vedere l’Art.24 includerebbe ad esempio, per Autobianchi, la condizione in cui il Titolare del Marchio “eventualmente” non utilizzato sia titolare di altro Marchio (Lancia) che contraddistingua la produzione con elementi distintivi del Marchio inutilizzato (Comma 4). In parole povere “Y”, cioè il modello che nella evoluzione da “Y10” all’attuale ha dato continuità sotto il Marchio Lancia anche alla Autobianchi. Tanto per fare un esempio sensato. 

Dalle notizie di Stampa si ricava che Il Ministero delle Imprese avrebbe depositato la richiesta di registrazione dei Marchi “Autobianchi” ed “Innocenti”. Anche su questo il “Codice” del 2005 è chiaro: il deposito non implica il titolo del Marchio depositato se non al compimento di una serie di circostanze, ultima delle quali il diritto del vecchio titolare di eccepire contro il deposito stesso. Ed infatti Stellantis si è di recente fatta sentire con un “Innocenti ed Autobianchi restano nostre e non si toccano”.

In parole povere, quando il 28 Marzo scorso il Ministro delle Imprese ha attraversato si e no quattro corridoi per passare dalla sua stanza all’Ufficio Italiano Brevetti (Via Molise 19, Roma), l’effetto del deposito non ha assolutamente dato alcun diritto esclusivo ed inesorabile di dichiarare quel che dopo è stato dichiarato, facendo passare di già il Governo titolare di diritti in pieno iter di vaglio giuridico. Anche se un minimo avallo di legittimità si potrebbe intravedere nell’azione del Governo dalla famosa (e triste per noi italiani) Sentenza della Cassazione sul caso della Lambretta, Marchio acquisito dagli indiani.

 

Da qui, credo, gli inevitabili “distinguo”: per primo “Il Sole 24 Ore” ha chiarito che il Ministero delle Imprese e del Made in Italy avrebbe fatto domanda e ha ottenuto la registrazione per un marchio Innocenti e per un marchio Autobianchi dalle caratteristiche grafiche diverse da quelli di proprietà di Stellantis (per la precisione di Fca Italy e di Fiat Group Automobiles). Entrambi i marchi sono stati registrati con titolarità Mimit il 28 marzo 2024, dopo domanda depositata il 10 novembre 2023.

Ma quel che davvero lascia sgomenti è l’ipotesi che per rilanciare due pezzi della storia “Made in Italy” ci si voglia affidare a produzioni cinesi!

Cioè, a dire, questo significa che Innocenti e Autobianchi finirebbero per produrre su licenza auto di un Costruttore terzo, raffigurando una tragicomica nemesi storica di quando era il Gruppo Fiat a creare collaborazioni su licenza nel mondo. 

 

E questo sarebbe “Made in Italy”, caro Ministro?? Forse per un esercito di consumatori italiani abituati ormai ad indossare mutande di nylon griffate dai nomi di moda tricolori, forse; ma per chi ha un minimo di buon senso ancora attivo, voglia credere che questa Vostra “iniziativa” sembra più un racconto da Corriere dei Piccoli.

 

Se davvero Lei volesse rianimare l’”Italian Feeling” – caro Ministro – dovrebbe farlo rianimando le eccellenze del nostro ingegno che hanno fatto grande il tricolore nel mondo: lo Stile ed il Design, la cura manifatturiera sulle lavorazioni speciali, i Distretti di eccellenza e –perché no – il fronte ecocompatibile della rigenerazione e rettifica Ricambi, un settore dove l’Italia era il riferimento mondiale. Altro che brevettare Marchi.

 

 

Riccardo Bellumori.

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