Quello che non sapevo fino ad oggi, ora che ho abbastanza superato il mezzo secolo, era che persino il mitico Carlo Verdone aveva plasmato il nome di Oscar Pettinari – il celebre attore motociclista aspirante divo di Cinecittà – sulla falsariga ed in onore del nome del mito che voglio raccontarVi ora.
Venuto a sapere questo tramite la navigazione sulla Rete (che dispensa a volte queste piccole perle di memoria sconosciuta) la mia simpatia verso l’attore e regista è di certo aumentata; ma la simpatia e la stima (oltre che l’affetto) che da almeno quaranta anni mi lega all’eroe del motorsport avventuroso e genuino di tanti anni fa non è cambiato.
Ed Oscar è un nome che nella Roma popolare di qualche decennio fa era molto diffuso (anche nella gettonatissima versione personalizzata di “Oscaretto” che in romano testaccino ne è il vezzeggiativo affettuoso); per di più sono risalito (magia della Rete, anche questa) all’etimologia ed all’origine sassone scandinava del nome, dove Oss è la radice onomatopeica che rappresenta una divinità, e Gar sarebbe la trasformazione di Gaira(lancia).
Che quello che Vi sto per presentare sia una sorta di “Dio” delle Due ruote in Pista (e prima ancora in strada…) è certo e lo dimostra la serie di articoli che le Riviste di settore gli hanno tributato ma anche l’affetto continuato di un esercito di suoi tifosi; che andasse veloce come una “lancia”, pure; che si possa chiamare “Oscaretto” (letteralmente “Piccolo Oscar”) un pilota di moto molto vicino al metro e novanta, beh quello è davvero più difficile.
Il mio Campione di un passato non troppo lontano, ma purtuttavia di un passato che manca a tutti e che difficilmente tornerà, si trovava spesso “incastonato” nelle moto su cui saliva; ma questo non era certo un problema per lui.
La competenza tecnica e motoristica che ne hanno fatto un ottimo collaudatore chiamato dai Marchi più prestigiosi, il fiuto per la “zampata” vincente e la grinta naturale, legata ad un talento e ad una capacità di guida non comune, rendevano sempre e comunque questo ottimo centauro un tutt’uno con la moto che guidava. E Vi posso anticipare che di moto ne ha guidate tante.
Io Oscar La Ferla, il Campione di cui Vi racconto, ho avuto il piacere di vederlo “dal vivo” l’ultima volta una quarantina di anni fa, a Vallelunga.
Non vi sforzate di cercare, tuttavia, la sua storia in Rete. A differenza di tanti altri protagonisti sui Media, Oscar non è mai stato un ospite fisso dei Social o dei programmi mondani.
La Ferla è il campione silenzioso ma immenso che, grazie alla passione ed al talento, ha regalato pagine di storia che in pochi abbiamo l’orgoglio e l’onore di aver conosciuto; per quei pochi o tanti fortunati e più esperti il suo nome risuonava all’epoca come quello dei nuovi protagonisti americani o quello degli europei più blasonati.
Per gli altri rimane solo il Web, appunto. Ed è per questo che vorrei lasciare alla Vostra attenzione un mio profilo ed un ricordo personale.
Era una Domenica di Ottobre, e Vallelunga era l’appuntamento di casa per diverse famigliole appassionate pronte al pellegrinaggio sulla Cassia, accompagnati dalle borse ben fornite di panini, ciambellone e bevande casalinghe (il chioschetto “finger food” all’epoca era una barzelletta per i parsimoniosi e ben attrezzati tifosi capitoli celebri per il codazzo di famiglie un tempo così numerose da rendere impossibile l’acquisto di alcunchè dai “bibbitari” stanziali nel circuito.
In quelle Domeniche anni Ottanta, quando il Circuito di Campagnano aveva ormai perso la Formula Uno riservandosi tutta una bella serie di eventi di rilievo, le Gare di motociclismo erano un contesto prestigioso, tra Gare dell’Europeo e appuntamenti nazionali che mettevano a confronto i giovani talenti dei monomarca e delle Classi minori con i Campioni affermati nell’Italiano Classe 500 e TT F1 (si chiamava ancora così la Categoria mamma delle Superbike).
Quella Domenica di Ottobre del 1985, insieme a Virginio Ferrari, Marco Lucchinelli, Franco Uncini, Fabio Biliotti ed il “Team Italia” della Classe 500 a Due Tempi si correva anche l’appuntamento forse più determinante dell’Italiano TTF1.
Avreste dovuto vederlo: realizzazioni artigianali motorizzate Honda/Kawasaki/Yamaha su telai dei nostri specialisti artigiani (Moretti, Geminiani, qualche vecchia Motoplast ancora, e tanto altro) contro le eroiche Laverda e persino Guzzi stravolte dal loro assetto stradale; ed a corredo c’era tuttavia l’impegno diretto dei Costruttori nazionali.
In particolare di Ducati, che attraverso il dinamismo di Cagiva era presente sia in nome proprio con le “750 F1” di Borgo Panigale sia attraverso la Bimota DB1 motorizzata “Pompone”.
E sulla Bimota, stupenda e minuta principessa delle Piste, bellissima ed essenziale creatura di Giuseppe Morri e Federico Martini, il mio Campione Oscar La Ferla si era presentato come un po’ ambasciatore casalingo; lui che a Roma era un poco il simbolo dello sport popolare, quello nato sulla strada nel vero senso della parola.
Via Olimpica, Via Salaria, le altre strade consolari capitoline: il teatro dei giovani motociclisti che sulle prime Maximoto giapponesi a due tempi mostravano davvero cosa significava saper guidare, negli anni Settanta, in un periodo davvero effervescente a livello sia commerciale e tecnico che – purtroppo – sociale.
A saperlo raccontare, quel tempo e quel periodo: io per una gran parte neppure posso dire di averlo vissuto, per limiti oggettivi di minore età, ma nel corso del tempo mi sono “documentato” per scoprire una sorta di una “Roma com’era” o “Roma Sparita” che non fa capolino solo dalle tele dei Pittori o dagli stornelli capitolini.
C’è una Roma sparita anche nelle “Due Ruote”, in quella piazza metropolitana che solo per il fatto di far fluire dentro ed intorno a sé già oltre un milione di persone sulle strade era negli anni ’70 un mercato di assoluto interesse. Chiaramente la passione ed il mercato motociclistico aveva le sue isole di eccellenza altrove, perché di Costruttori Industriali ed artigianali in quel periodo se ne trovavano quasi zero su Roma (a parte i piccoli Artigiani, ovviamente)
Ma c’erano le Scuderie, c’erano soprattutto diversi Distributori ed Importatori di Marchi internazionali, ed infine c’era la forza commerciale delle Concessionarie ed i loro “numeri”.
A Roma la più piccola e familiare delle realtà Concessionarie poteva vantare fatturati che in altri Centri Urbani potevi raggiungere solo sommando tra loro diversi operatori locali: non ricordo più purtroppo tante di loro, ma certamente nomi come “Ianniccheri”, come “Biaschelli” (Benelli), “Pellegrini” (Moto Guzzi); “Cappelletti” (per H-D, Cagiva e poi Suzuki); ed infine “Nardi” per la Moto Morini e “Samoto” per Honda sono riferimenti storici che hanno significato soprattutto parecchi Clienti per le rispettive Case Mandanti.
“Samoto” Honda, la creatura di Franco Malenotti che rese leggendaria la figura di Tommaso Piccirilli, il “Re” di Vallelunga sulle Derivate di Serie.
Le corse stradali, più o meno “autorizzate” (quasi nessuna, in verità, ma questo era il fascino aggiuntivo della cosa) erano in fondo il mondo che satellitava intorno alle Concessionarie, protagoniste del “Boom” delle Maximoto (aperto in misura esplosiva dalla presentazione nel 1969 di Kawasaki Z900 e Honda CB750 Four, e via via a seguire tutte le altre) che aveva suddiviso il mercato in due grandi classi di Sportivi (Clienti entro i 250/300 cc. legati al prodotto nazionale e Clienti “oltre”); in quell’epoca la Concessionaria era contemporaneamente anche la sede di informazione (riviste, dialoghi, dibattiti corsaioli) e quella antesignana ai “Social” dove a dominare non erano le Chat ma gli annunci di “Porta Portese” o “MotoSprint” che pubblicando la vendita o la ricerca di moto e componentistica usata vedevano spesso come sede di trattativa ed esposizione “alla buona” il Motosalone o l’Officina interna: le regole commerciali non erano asfissianti come oggi ed il famoso “Conto vendita” era diffusissimo.
Così come, a differenza di oggi, era motivo di vanto esporre in un angolo apposito del Salone una vetrinetta o un piano di appoggio dove facevano bella mostra di sé i Kit di elaborazione, le Catene speciali, le corone alleggerite ed i dischi freno, le forcelle “Marzocchi”, “Ceriani”, e tutto quel che poteva rendere una moto normale in “Speciale”. Davvero altri tempi…Tempi che a Vallelunga si interrompono il 27 Aprile del 1975 quando lontano dal circuito capitolino si consuma la tragedia che ci porta via Tommaso Piccirilli.
Quel giorno, anche idealmente, i campioni come Oscar La Ferla o Giovanni Menegaz ed altri raccolgono un testimone simbolico da Tommaso.
Oscar, dal suo lato di Pilota di rango, percorre tutte le tappe di un percorso che lo porta dalle competizioni locali, alle derivate di Serie fino al palcoscenico internazionale dell’Endurance / Bold’Or e del Mondiale Classe 500.
Un ragazzo straordinario e di cuore: Oscar
La Ferla era caratterialmente cordiale e disponibile ma ferreo, rigoroso: la sua capacità di collaudatore lo ha reso protagonista anche di memorabili “scazzi” con Squadre o staff tecnici, quando le sue rilevazioni e le sue indicazioni tecniche venivano talvolta disattese o bloccate dal Team.
Come quando, chiamato a testare una mezzo litro Due tempi impegnata nel Motomondiale si impose sulle scelte di carburazione – per lui eccessivamente magra – che nel frattempo erano state volute per quella prova su pista, pretendendo giustamente di avviare lui stesso – a spinta – quella moto per verificare dalla prontezza della messa in moto il tenore ideale di carburazione.
Oscar ancora oggi le moto le sente a orecchio, ne percepisce le vibrazioni anomale, ne sente la musicalità di scarico.
Il suo è un rapporto di amore che non verrà mai meno, e che ancora oggi lo rende piacevolmente protagonista di piacevoli “sgassate” in Pista dove gli capita di passare per rivivere i momenti che hanno piacevolmente segnato la sua storia.
Tre volte Campione nazionale, vice Campione europeo e ottimo protagonista nonché baluardo (molto spesso “in extremis”) di Teams e Costruttori che – rivolgendosi a lui anche con accordi “spot”- sapevano di poter contare sulle qualità ed il supporto di un Top Rider senza doverne subire i capricci e la antipatia conseguente; Oscar La Ferla è salito su un elenco di moto che lo rendono davvero un esperto conoscitore di quel mondo e di quei tempi.
Ma tornando ai tempi ed a “quei tempi”: la Bimota “DB1” di Vallelunga in quella Domenica di Ottobre 1985 era una delle diverse “belve” guidate a Oscar: oltre a Laverda, Kawasaki, Honda stradali abbiamo la serie delle Ducati TT (inclusa la Factory 750 F1), le Superbike Yamaha, le Suzuki 750 Geminiani e persino la Suzuki RG 500 nel Motomondiale sia in veste privata che nella organizzazione del Team Gallina –HB.
Dovunque ha corso Oscar ha lasciato un ottimo segno del suo passaggio, sia in termini di prospettiva tecnica che di rapporto umano. Difficile ricordare persone che non siano diventate amiche di questo campione di animo, sportività e umanità.
Questo nonostante – come si dice in gergo – La Ferla fosse un vero “mastino” che non risparmiava grinta e forza agonistica. Difficile tenerlo dietro in una bagarre, viste le sue qualità che oltre al talento richiamavano anche una tenuta fisica e mentale di rara efficacia.
Motivo per il quale è diventata leggendaria anche l’accoppiata storica nell’Endurance tra Oscar La Ferla e Walter Cussigh. Nome anch’esso di un’epoca leggendaria ed avventurosa che in pochi conoscono.
E torniamo, per l’ultima volta, a quella Domenica di Vallelunga: con il Team ufficiale Ducati Cagiva di Virginio Ferrari (che conquista l’alloro tricolore proprio quella Domenica sul circuito romano) e di Marco Lucchinelli, c’è una ressa di nuove e vecchie quattro cilindri giapponesi agguerrite, e nel gruppone dei contendenti si distingue per bellezza ed aristocrazia un punto bianco striato di tricolore; è quella Bimota con in sella un cavaliere in tuta biancoazzurra e il nome fin troppo noto e stimato per passare sotto silenzio. Una buona fetta di tifosi romani è là per lui, per applaudire il campione cittadino. E Oscar non delude, finendo terzo dopo una battaglia estenuante conclusa quasi sulla linea del traguardo.
Il mio campione saluta Marco Lucchinelli, vincitore sul primo gradino del Podio, e sorride a tutti noi tifosi che – in fondo – siamo arrivati a Campagnano per applaudirlo. L’aria di festa si accompagna al fine serata in cui tutti, con il sorriso sulle labbra, tornano in auto e si rimettono nella fila chilometrica del rientro domenicale.
Un po’ di polvere di magia di quella Domenica mi è sempre rimasta addosso
Ovviamente Oscar La Ferla da quella Domenica ha continuato a collezionare successi e partecipazioni in Gara.
Crescendo io ho cercato di non venire meno al dovere ed alla promessa tacita fatta a me stesso ed a quei campioni, a quella storia del passato. Proprio perché non rimanga nel passato.
E rivedere, molto più recentemente, il mio campione Oscar in una celebre piazza del quartiere Prati, disponibile ad un caffè amichevole di un pomeriggio estivo, mi ha confermato di lui l’immagine di una persona straordinaria ed umana.
Core de Roma, un cuore sportivo che continua a regalare passione e leggenda.
E che, grazie al cielo, continua a raccontare alle generazioni future quanto bello è stato il mondo che amiamo, oggi che questo mondo del motore è un po’ in crisi.
E se non fosse che Oscar è di sicuro allergico ai ruoli pomposi ed aristocratici che l’Advertising si è inventato recentemente, sapete che Vi dico? Che lui sarebbe per qualunque Marchio di moto un perfetto “Brand Ambassador”.
Perché la sua passione è spontanea e contagiosa. Caratteristiche rare da produrre dai “professionisti” di oggi.
Riccardo Bellumori.