La storia di Ermanno Cressoni: l’ultimo alfista

Non deve essere stato facile essere Ermanno Cressoni, a Milano: ci era nato poco prima che iniziasse le Seconda Guerra Mondiale, poi ci era cresciuto dopo l’8 Aprile del 1945, fino alla agognata Laurea in Architettura. Solo che una volta ottenuta questa, invece che partecipare alla ricostruzione edilizia come professionista del “Building” aveva forse risposto ad una passione che evidentemente già dagli anni di Univrsità era ben evidente: il talento stilistico per le auto. 

E infatti appena laureato diventò uno dei Collaboratori dello Staff Alfa Romeo, nel 1965, al Centro Stile.

Non deve essere stato facile essere Ermanno Cressoni all’Alfa Romeo in quegli anni: Pomigliano, le contestazioni, i duelli della presidenza Alfa con l’IRI; e poi le lotte sindacali, i problemi della produzione, per arrivare dai primi anni Ottanta all’Austerithy nei budget pubblici sempre più risicati.

Arriva in Alfa Romeo quando Luraghi è ancora il “Dominus” capace di mettere nello stesso ufficio al Portello e poi ad Arese il meglio della tecnica e dell’intelligenza motoristica italiana.

Eppure, dentro a quell’Alfa Romeo, Ermanno Cressoni ha svolto il suo ruolo con grande professionalità ed umiltà, navigando dentro le acque agitate che hanno travolto tanti suoi colleghi e probabilmente avendo l’accortezza di mantenersi discreto e misurato nel percorrere una carriera che lo ha portato nel 1975 a diventare il Responsabile del Centro Stile di Arese.

In quell’anno Giuseppe Scarnati, il “Guru” della progettazione del Marchio, colui che ha accompagnato Alfa Romeo dal primo Dopoguerra fino ad allora “deve” andare in Pensione. 

E punta i piedi affinchè quel geniale ancora ragazzo, Ermanno, prenda le fila stilistiche del Biscione: Architetto, strutturalista e razionale che fa della linea essenziale e del gioco di ombre e luci tra le superfici in suo elemento naturale, Cressoni può essere capace di modificare le sorti di un percorso storico determinante, con il suo operato: da poco sono nate l’Alfetta e la GTV, e anche se il contributo sulla prima è fortemente di Scarnati e per la seconda vale la matita di Giugiaro, Cressoni è là in parallelo a mettere i suoi primi paletti: angoli di attacco il più estremi possibile, sagomatura e pieghe delle lamiere che devono di per sé dare ricchezza senza fronzoli, secondo un inizio dettato dalla famosa gamma “1750/2000” che è ufficialmente la prima alla quale Ermanno era stato chiamato ad intervenire nello Staff di progetto. 

Per questo Ermanno Cressoni, pur avendo potenzialità e genio, si limita ad un ruolo di “seconda fila” nella gerarchia del Biscione fin quando nel 1973 arriva la crisi energetica e la prima gelata nelle elargizioni dell’IRI al marchio milanese.

La “Proletarizzazione ” in corso a Pomigliano con l’Alfasud deve trovare una sorta di sponda anche nella gamma “Premium”. Cressoni comincia così a diventare un poco piu’ influente negli stilemi di linea: volumetria interna ed ergonomia, visibilità e sviluppo verticale delle superfici, minimalismo razionalista nella sagomatura e nella rifinitura della carrozzeria.

Nulla a che vedere con “Giulia” e “1750/2000”, l’Alfetta vede ovviamente anche i contributi di Giugiaro, benchè le fila di tutta la piattaforma le tenga Giuseppe Scarnati, il responsabile Centro Stile. Alfetta è un nuovo paradigma nel panorama motoristico europeo. Guardate stile, proporzione tra i volumi e sbalzi delle sue concorrenti dirette. Si può dire che Alfetta fosse un lustro avanti agli altri.

L’ANNO DELLA SVOLTA

Ma è nel 1977 che Ermanno Cressoni “crea” la sua forma d’arte. Il cuneo Giulietta. Non potrebbe neppure essere immaginata ad Arese se Scarnati, ritiratosi ormai in età da pensione, non si fosse impuntato nel 1974 per favorire il suo piccolo gioiello creativo (Cressoni) a capo del Reparto Stile.

E per la prima volta al mondo un Architetto è a capo di un Centro Stile interno ad un Marchio Auto europeo.

Giulietta è un piccolo terremoto nell’immaginario e nel mercato, violentata solo dal fuoco delle lotte sindacali e dalla ruggine delle inadeguatezze industriali e dei sabotaggi operai dentro le fabbriche. Purtroppo sono anni difficili. 

Il battesimo di Giulietta è dentro agli anni di Piombo, così come l’immagine collettiva della povera Alfetta rimane quella carrozzeria crivellata di colpi a Via Mario Fani. Forse anche per questo, senza tuttavia l’apporto pratico di Cressoni ma solo con il placet del Centro Studi, nasce quasi per esigenza quell’Alfa 6 così discussa e discutibile ma adatta, con un budget da picnic domenicale, a rappresentare la proposta presidenziale e “blindabile” dell’Alfa Romeo per le Istituzioni. 

Quelli erano gli anni, quella era l’atmosfera. E dunque in tutto questo “Giulietta” diventa un sasso nello stagno. Sembra una fiera rappresentante del razionalismo tedesco, sembra piu’ una concorrente dello stile di Paul Bracq e di Bruno Sacco che non l’avversaria in casa di Fiat 131, Lancia Beta e Gamma oppure, in campo europeo, di Opel Ascona e Ford Granada. Il taglio classico a tre volumi viene trasformato in una linea a cuneo dove purtuttavia il volume di coda, capiente ed imponente, non occupa la visuale e non ingombra neppure nella vista di tre quarti dove si esalta anche il profilo snello e provocatorio del frontale. Giulietta non assomiglia a nulla di già visto sul mercato ed è per questo che non può essere capita da tutti. Ma eleva purtuttavia l’immagine di Alfa anche nei mercati esteri, prima che i disastri della poca qualità e delle linee di produzione ne facciano purtroppo oggetto di critiche feroci. 

E non deve essere stato facile, per Cressoni come per Bertone nei confronti delle sue creature marchiate Alfa, dover difendere la sua linea, la sua immagine di bellezza contro una politica industriale in piena crisi. Eppure Ermanno non perde un colpo, e dal 1980 inizia la sua nuova sfida ad Arese. Siamo  nell’anno della seconda mini austerithyenergetica, il colpo di coda della crisi petrolifera di inizio decennio. Occorre pensare ad una alternativa all’Alfasud che presto dovrà uscire di scena: ma con i soliti problemi di Budget Cressoni si deve impegnare sullo chassis Alfasud modificato il meno possibile e sul caratteristico Boxer.

Riuscire a creare con due vincoli del genere un’auto familiare di Segmento “Crossover B/C” (cominciava, in quel decennio Ottanta la suddivisione marziale del mercato con fasce commerciali molto più definite e rigide rispetto al passato) per confrontarsi con: Ford Escort, Opel Kadett, Fiat Ritmo, Peugeot 305, Volkswagen Golf/Jetta ma anche con Volvo 340/360 e soprattutto con la neonata Lancia Delta non è impresa da niente. 

E non deve essere stato facile per Ermanno Cressoni rimanere se’ stesso, negli anni Ottanta, di fronte alla girandola di notorietà e di esaltazione mass mediatica di alcuni nomi dello Stile molto più ridondati del suo, che cercava soprattutto di ricavare un menù da Gran Galà con gli ingredienti di una mensa operaia.

In più sul progetto di “nuova Alfasud” c’era da superare un valico a due livelli: il primo era la concorrenza interna che Alfa Romeo era solita dare nella creazione di alcuni modelli mettendo a confronto progetti e bozzetti di stile di altre firme di Design; e dall’altro lato c’era da superare un problema persino doppio all’ interno di Alfa Romeo.

Sapete, sono gli anni in cui gli “Alfisti” cominciano ad assumere un tono quasi di rivendicazione e di autoconservazione rispetto al trend un poco decadente che sta prendendo il Marchio. Come detto le tensioni sindacali, i guai della produzione, la crisi energetica che ha messo il cappio ai “motoroni” Alfa sono stati somatizzati dal popolo alfista quasi come uno sfregio alla storia del loro simbolo. E per questo tutto quel che era “Alfa prima” diventa sacro ed inviolabile rispetto a quello che Alfa può proporre “dopo”.

In questo il secondo problema è che l’Alfasud – dapprima contestata e capita solo in parte dal pubblico Alfista – in corso di dieci anni è diventata un monumento e simbolo del Marchio; e l’ipotesi di vederla anche solo affiancata dal nascente progetto “Alfa Romeo Nissan” (ARNA) è già di per sé uno scandalo.

In questo Ermanno Cressoni si muove come suo solito, creando un’opera d’arte sotto copertura.

Decide di allontanarsi dalla formula “Due Volumi” che rappresenta all’epoca il 40% della Gamma europea e che però porterebbe ad un confronto discriminatorio inevitabile con Alfasud. La nuova “Segmento C” deve essere un taglio con il passato ed un ponte verso il futuro. Per la prima volta, persino, dopo anni una nuova proposta Alfa Romeo cerca un trait d’union con il resto di Gamma in chiave “Family feeling”. 

L’insegnamento di Paul Bracq e di Bruno Sacco è ben presente dentro l’animo di Cressoni: la nuova creatura ha un certo respiro che prende le misure con le linee di Giulietta ed Alfetta. E’ davvero un’Alfa in piccolo e non solo una piccola Alfa Romeo. Ed è così che nasce Alfa 33: per sostituire Alfasud e 15 anni di luci ed ombre in quella trincea di Pomigliano (in quel momento divenuto I.N.C.A. Investimenti) dove per contrastare un iniziale “loop” negativo di Alfa Romeo, sempre più in predicato di essere dismessa dall’IRI si producono parti dell’ARNA costruita a Pratola Serra in Avellino. 

La “33” è la Lectio Magistralis di Ermanno, che prevale su una proposta concorrente di Italdesign. 

E’ ancora oggi l’Alfa più venduta della storia del Marchio.

Dal punto di vista industriale, visti i budget all’osso, un altro miracolo è la 75 per la quale Cressoni fu capace di una impresa unica, mirata al contenimento dei costi ed alla industrializzazione meno onerosa possibile: nel passare dalla linea di montaggio della Giulietta a quella della 75 mantenne praticamente definito ed immodificato oltre il 70% di lamierati, (scocca, centine e rivestimenti) e complessi meccanici della Giulietta (del 1977), che per inciso già di per sé condivideva la sua piattaforma con Alfetta e GTV di poco precedenti all’epoca.

Ermanno Cressoni si trasferisce alla Fiat nel 1986 e cinque anni più tardi viene svelato il suo progetto più importante per il marchio torinese: la Cinquecento. Tra gli altri modelli da lui approvati segnaliamo le compatte Bravo e Brava presentate nel 1995. Oggetto di perculazio per anni, oggi rivalutate perchè pensare che la base di quello stile ha ormai 30 anni fa davvero sensazione.

Per me è uno dei dieci “Grandi” del Design industriale italiano, ma soprattutto è un eroe silenzioso che merita il ricordo perpetuo.

Purtroppo, lo stile di Ermanno si spegne per sempre, tra il 29 ed il 30 Giugno di quasi venti anni fa. Era il 2005, e tutto era diverso: le auto, l’Italia, il Web, Milano, il centro del mondo. Un mondo che anche Ermanno Cressoni aveva contribuito a rendere migliore, con umiltà e discrezione.

 

Riccardo Bellumori.

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