L’Europa troverà un vaccino contro l’Auto Elettrica di massa?

Non c’è pace dentro la trincea continua della guerra commerciale tra Occidente e Cina nel comparto Automotive.

Con la nuova “legislatura” che segue le elezioni di Giugno ’24 il primo tema all’Ordine del Giorno di Bruxelles è una questione che ad intervalli regolari occupa spazio anche negli USA: i “Dazi” sull’import nella UE di auto cinesi, provvedimento parallelo a quello in vigore negli USA e che trova il suo contraltare in dazi doganali applicati dalla Cina sull’import di auto straniere.

Il nuovo meccanismo ideato in Europa vede soglie di tassazione differente, per Marchio e/o per modello, proporzionali all’ammontare dei sussidi pubblici erogati da Pechino caso per caso ed emersi nelle inchieste avviate dalla Commissione lo scorso Autunno.

Le soglie sono supplementari, ricordiamo, a quella generale del 10% già in vigore sull’import di auto elettriche di provenienza estera generica.

Curioso il fatto che il dispositivo colpirà anche i modelli creati da Joint Ventures tra Marchi cinesi ed Europei, ma chiaro anche che gli esiti dell’inchiesta antidumping devono aver mostrato unaragionevolezza dei sospetti della UE in tema di sussidi lesivi della concorrenza, altrimenti in caso di condotta arbitraria della Commissione si rischierebbe una controversia estesa potenzialmente agli organismi dell’Organizzazione mondiale del Commercio.

Vero è anche che i dazi, per essere effettivi, dovranno essere ratificatida ogni Stato Membro entro il prossimo Autunno, ma l’unica forma di appello di Costruttori e Ministero cinese è la formula del ricorso con presentazione di controdeduzioni in dieci giorni.

E se i superDazi non colpiscono anche modelli annoverabili tra gli endotermici è perchè su questi il Governo cinese non ha dato adito a sospetti su atti di dumping: il che stoppa sul nascere le ridicole obiezioni di chi, nemico giurato del motore a scoppio, ha subito gridato a chissà quale complotto.

SuperDazi e incentivi pubblici “drogati”: e se la U.E. multasse se’stessa?

Tuttavia alla schiera dei commentatori sfugge una obiezione che un sensato uomo d’affari cinese potrebbe legittimamente porre al suo proprio Governo:

1) -​I Brand Europei sono presenti TUTTI sul mercato cinese attraverso Joint Ventures con Produttori locali;

– La Gamma proposta e progettata dai Brand europei entro queste Joint Ventures è quasi essenzialmente BEV (in minor parte Ibrida) in volumi e valore sulla Gamma locale che in Europa neppure ci sogniamo;

– I suddetti Brand europei, con Sede Legale nella U.E. solo per tale motivo hanno ricevuto sussidi e azioni proattive da parte dell’Unione in tema di ecomobilità elettrica, attraverso i Programmi Quadro o altro;

– Gli stessi Brand europei incrementano le proprie vendite di BEV entro i confini comunitari grazie agli ecoincentivi favoriti e consentiti dalle politiche nazionali e comunitarie, ricevendo dunque aiuti di Stato per poter vendere le proprie piattaforme;

– Tuttavia è facilmente dimostrabile che ogni Brand europeo presente in Cina partecipa o in proprio od in parte ad una Gamma BEV che – Tesla e pochi altri Marchi specialisti in tema a parte – è superiore di diverse quote percentuali rispetto alla attuale offerta di mercato entro i confini di mercato della UE: detto in estrema sintesi, la stessa UE indirettamente incentiva programmi basati sullo Z.E. di Costruttori europei che però sono concretizzati maggiormente al di fuori dei confini dell’Unione;

Ma se tra i modelli provenienti dalla Cina (gravati perciò dai superdazi in quanto prodotti da Costruttori cinesi) ve ne fossero alcuni originati da Joint Ventures con Brand europei (che per conseguenza di quanto sopra sono stati beneficiati da ecoincentivi pubblici destinati alla loro produzione BEV) si arriverebbe al paradosso per il quale l’Unione multerebbe modelli in quanto provenienti dalla Cina ma derivati da piattaforme che nel mercato continentale la stessa Unione potrebbe aver beneficiato di campagne di ecoincentivo…..Assurdo, no?

Ed allo stesso modo, se il Dumping lamentato verso il Governo cinese fosse operato verso modelli di JV con Brand europei, la stessa Commissione penalizzerebbe gli stessi Brand i cui modelli sono aiutati entro l’Unione…Ancora una volta assurdo, siete d’accordo?

Cioè, in sintesi, come si fa ad escludere che quei modelli che la Commissione sottopone a Dazio non derivino da piattaforme, tecnologie, sinergie e componenti oggetto, entro i confini dell’Unione, di aiuti pubblici?

Insomma, chi può escludere che la Commissione non stia sottoponendo a dazio anche sé stessa?

La questione del “soccorso finanziario” all’acquisto di auto BEV, Hybrid o comunque presunte ecologiche rischia, dopo questo provvedimento sanzionatorio della Commissione Europea, di diventare una grana politica che prima o poi andrà affrontata e risolta: è ancora questa la leva giusta per promuovere l’uso e l’acquisto di auto a basse emissioni dentro la UE? E’ ormai uno strumento superato? E soprattutto, i Dazi sono una soluzione riequilibrativa dei valori di mercato?

Ed infine: cosa è ormai lecito o non lecito ritenere o classificare come lesivo della concorrenza in tema di aiuti pubblici alla ecomobilità?

Tutti gli ecoincentivi statali sono giusti, qualcuno è più giusto degli altri (G. Orwell)?

Potrebbe sembrare una sciarada da Settimana enigmistica; tuttavia il problema “dazi” scopre il dente dolente (o ormai sul punto di cadere) su due questioni calde:

A) E’ arrivato il momento per il quale l’auto elettrica deve, per convinzione o per forza, cominciare a camminare con le sue gambe senza aspettarsi sempre la classica “paghetta” a fine mese in termini di ecoincentivi pubblici?;

B) E’ arrivato il momento di chiedersi “quale” auto elettrica sarà nozione comune in Europa: popolare o Premium? Proviamo a dare una risposta a tutto.

La questione dei Dazi punitivi contro l’effetto Dumping sulle elettriche cinesi (cui si è mostrata sfavorevole la CLEPA per effetto della ciclopica Supply Chain che lega la subfornitura Automotive europea ai confini commerciali cinesi; e che non piacciono ovviamente alla ACEA perché ormai una fetta considerevole dei fatturati e dei margini dei Costruttori europei deriva dalle Joint Ventures con partner cinesi) trasmette in modo molto sottile all’opinione pubblica europea una immagine di ulteriore pregiudizio verso un auspicio che piano piano si va a dissolvere del tutto nelle aspirazioni del consumatore potenziale: quello che possa concretizzarsi il profilo industriale e commerciale di una BEV popolare, di massa, dal costo accessibile a molti e soprattutto in linea con l’ideale di utilitaria europea che era in voga fino almeno ad un lustro fa.

La risposta del vicepresidente della Commissione Europea, ValdisDombrovskis, chiarisce in modo molto netto la situazione: nessuna penalizzazione del prodotto elettrico cinese, ma solo la sicurezza che le strategie di pricing non siano viziate dal Dumping. Traduzione: se le BEV cinesi Vi vengono offerte a quel prezzo, cari europei, è solo perché il loro prezzo è sostenuto da aiuti pubblici; ergo, toglietevi dalla testa che un’auto elettrica possa costare poco in un regime di mercato concorrenziale e libero: un concetto decisamente “salvifico” per cercare di rimettere sui binari un treno deragliato, quello della ecomobilità europea che gradino dopo gradino – a causa della discontinuità di strategie politiche e della eccessiva eterogeneità delle teste pensanti a Bruxelles – si è trasformata in una Torre di Babele lungo una gimkana durata 30 anni di Unione da Maastricht in poi; colpa di una Istituzione (la Commissione Europea) che non essendo un vero Governo Federale ma un Direttorio trasversale dei Paesi Membri ha peccato non solo in qualità ma anche in continuità ed equilibrio nelle scelte strategiche.

Non avrete altra BEV Low Cost all’infuori dei Ventimila

Ed ecco la prima domanda: quale auto elettrica si aspetta, o intende favorire l’Unione Europea nei suoi territori, ed a discapito di quale altra motorizzazione? Direi che la risposta è semplice: La BEV di fascia Premium.

Era il 1993 quando l’appena nata UE scelse di disegnare un proprio modello endogeno di Automotive continentale da contrapporre alla simbologia della nascente rivoluzione ibrido-elettrica del Giappone ed alla tradizione americana dei poderosi “Big Block” a benzina; una immagine europea che tra l’altro permettesse all’Auto comunitaria di poter accedere ai nuovi potenziali mercati della Cina e dell’ex URSS. Casualità, il modello comunitario più rappresentativo all’epoca fu quello della nuova Germania Unita, contrassegnata dai suoi Brand in esplosione e dal motore Diesel sul quale i tedeschi potevano giocare molte più carte rispetto ai precedenti promotori francesi ed italiani. Motore che, tuttavia, era storicamente una creatura nata e diffusa sulle auto solo grazie alle strategie europee: tuttavia, seppur appena nata, l’auto simbolo europea si fregiava delle stellette di Diesel e Premium per effetto traslato dalla produzione tedesca. 

 

In parole povere tutto quello che andava bene a Volkswagen-Audi, Daimler, BMW, Bosch, KKK e Continental andava bene a tutta Europa, ad inizio anni ’90. Quello che non si riusciva a digerire si poteva facilmente imporre per effetto del Marco forte e della forza economica dentro la UE della Germania Unita.

La simmetria semantica “Auto U.E./Brand tedeschi/motore Diesel” durò fino al Crack Lehman, cioe’ per buoni 15 anni. In quello tsunami finanziario la U.E. ci entrò con indosso l’abito dell’automotive tedesco duro e puro e durante il suo attraversamento cambiò casacca vestendosi di “Green”. Cosa era successo? O meglio, “quante” ne erano successe?

Il pericolo cinese contro l’Automotive europeo? Nulla, in confronto a quello che hanno combinato gli USA

Siamo spesso a parlare del “rischio cinese” sotto l’aspetto economico del possibile scontro tra un gigante industriale automobilistico (la Cina) contro una ex potenza ormai appannata (l’Europa): vero in senso assoluto, vista la disparità di forze a confronto; tuttavia non si è riflettuto spesso dell’azione – volontaria o emergenziale – che gli USA hanno più volte esercitato con effetti perniciosi contro il sistema industriale auto appartenente alla UE.

Del contrasto verso la concorrenza di importazione sappiamo tutto: gli USA sono una Nazione rispettosa della libera concorrenza solo e se questa avvantaggia i suoi Marchi industriali, ma la politica governativa è molto meno prosaica quando i trend di importazione auto dall’estero si sono fatti pericolosi. E così, tra inchieste federali, modifica delle norme antiemissioni e sempre nuovi obblighi di omologazione l’America ha blindato i suoi confini commerciali da sempre, sortendo tuttavia l’effetto contrario di demotivare i suoi stessi portabandiera industriali a non migliorare qualità ed immagine: e la quasi bancarotta delle “Big Three” di Detroit a causa della crisi subprime ne è la prova.

Ma dall’affaccio del nuovo millennio e dopo la nascita dell’Euro gli USA hanno decisamente affilato i coltelli e, surrettiziamente, dalle politiche di tassi FED alle strategie internazionali, agli accordi di libero scambio, gli Stati Uniti hanno lasciato sull’Automotive europeo segni decisamente più pesanti di quelli che, fino a diversi anni fa, poteva causarci la Cina (presso la quale, anzi, i Produttori europei ampliavano progressivamente la presenza industriale): di certo in ambito Automotive  gli Stati Uniti hanno inteso iniziare una battaglia a distanza con l’Europa prima ancora che con la Cina.

In primo luogo è il neopresidente Obama, nel 2008, a comincia ad esternare una filosofia “Fossil Free” determinata a ridurre dipendenza ed emissioni legate al consumo di petrolio, intestando agli USA un diritto predeterminato nel voler diventare la prima Nazione occidentale caratterizzata dalla eco-mobilità elettrica: Obama preannuncia l’obbiettivo (mancato) di immettere almeno un milione di nuove BEV sulle strade USA entro il 2015.

Con questa mossa Obama sembra voler promuovere, in pieno tsunami finanziario da Mutui Subprime, il miracolo di Tesla, quella scommessa transnazionale (genesi in California, Guru dalla Sudafricana Pretoria, sede legale in Olanda) che offre al mondo Auto occidentale una risorsa ed insieme un rischio: la risorsa è quella di poter cavalcare da subito la nuova e ancora molto nebulosa “rivoluzione elettrica”; dall’altro lato il rischio è quello di lasciare un vantaggio, sui dibattiti e sulle previsioni legate alla ecomobilità, a Giappone ed Asia mettendo sotto scacco l’immagine politica dell’Occidente ma anche il valore dei Brand europei soprattutto dopo una vera e propria “bomba” mediatica lanciata nel 2009 dal premier cinese Hu Jintao che candidava il suo Paese ad una crescita del mercato interno basata sull’auto “NEV” (New Ecologic Vehicle) cioè full electric.

Questo in una visione del settore Auto – che in Cina aveva visto decuplicare i volumi produttivi annui da quasi 2 milioni di pezzi prodotti nel 2000 ai circa 20 milioni del 2010 – basata sulla libertà di proprietà industriale della piattaforma di riferimento: chiaro che in una prospettiva “endotermica” dello sviluppo della motorizzazione di massa la dipendenza dell’industria cinese da diritti tecnologici occidentali sarebbe stata discriminante. 

Lo dimostra il numero impressionante di Brevetti raggiunti nel corso degli ultimi 10 anni dalla Cina sulla tecnologia Ibrida e 100% elettrica su cui ha ormai la leadership non solo produttiva ma anche intellettuale e progettuale. L’obbiettivo commerciale e sociale dei “N.E.V.” in un mercato da potenziali nuove centinaia di milioni di nuovi automobilisti in prospettiva futura ha alimentato in Europa la frenesia dei Brand di ritagliarsi un posto nel Club dei protagonisti di settore; ma, si badi bene, questo doveva accadere solo in Cina, India, Sudafrica.

Perché solo un ingenuo poteva ignorare l’interesse che i Brand europei riponevano sui 160 milioni di endotermiche circolanti in Europa, rinunciando di colpo a circa settanta Bilioni di Dollari all’anno di Aftermarket, dovendo convertire milioni di Centri di Autoriparazione classici e buttando nella spazzatura i magazzini di altrettanti milioni di Distributori Ricambi in UE.

 

Nulla si crea, tutto si trasforma anche nel mercato Auto: i Brand europei a caccia di immagine “Green”

Ed allo stesso modo era impensabile per i Brand europei, prima dell’aggravarsi dello tsunami Subprime, poter ridisegnare il proprio profilo di Brand cancellando decenni di presenza commerciale endotermica; questo, loro malgrado, nonostante fosse necessario qualche escamotage per poter opporre una reale concorrenza al fenomeno Testa: ad esempio riesumare ed affiancare Marchi e nomi di un recente o meno passato glorioso, oppure avviare e promuovere sinergie e JV con nomi altisonanti del mondo ICT occidentale. Tutti palliativi, a ben vedere, per dare un taglio dimensionale di Immagine Corporate Istituzionale in grado di svecchiare il profilo tradizionale di produttori classici dentro i nuovi mercati asiatici ed indiani da conquistare alla luce dei nuovi obbiettivi che quei Governi si erano progressivamente dati in tema di sviluppo della mobilità privata e popolare.

Purtroppo questo approccio “soft tail” alla rivoluzione ecologica (mentre in sottofondo i Brand europei restavano fedeli in Gamma all’endotermico) si è dovuto dare una smossa a causa del crack Lehman.

Da un lato la crisi della finanza tradizionale è stata lenita con la nascita di una infinità di Green Bonds e Green ABS; dall’altra il commercio dei Certificati di “Carbon Credits” ha permesso di continuare transazioni finanziarie tra Marchi Automotive anche nel periodo di maggior depressione azionaria sui mercati; e tuttavia quell’effetto “scoop” con cui tutti i Brand – nessuno escluso – a partire dal 2009 – si sono prodigati a snocciolare la lista delle possibili nuove uscite in tema di BEV ed Hybrid è rimasto forte ma molto di facciata ad esclusione di alcuni Brand “elettivi” per i quali la realizzazione di auto BEV o Hybrid era funzionale alla Corporate Image: Renault Nissan, Toyota, Honda, e poche altre. Insomma, la leva “ecologica” come alibi per puntellare i valori e i riferimenti canonici dei Brand europei sull’endotermico? Certamente si, perché nessun CEO poteva essere così pazzo da mettere in soffitta il pedigree quasi secolare delle maggior parte dei Marchi occidentali in campo contro il fiorire di nuove realtà che, se da un lato potevano permettersi di vestire da zero l’abito BEV, dall’altro non potevano spendere nulla del valore vintage e prestigioso della concorrenza europea/americana/giapponese: per capirlo basta vedere l’interesse ed il Business intorno all’auto classica e storica occidentale in Cina ed Asia.

Ed ecco che, in questo contesto di assoluta vacuità di proposte in campo, l’Automotive europeo inizia un dibattito puramente pretestuoso sulla questione “elettrica di massa”, in cui (come nel caso di Bertoldo e dell’albero al quale impiccarsi) i Costruttori iniziano a snocciolare tutti i motivi per i quali questa NON sarebbe possibile: tuttavia siamo già all’epoca in cui in Cina ed Asia abbondano modelli di utilitarie BEV dal prezzo di partenza tra i 4 mila ed i 7 mila Euro; è un poco la sindrome da “Tata Nano” del 2009, con la Citycar indiana in regola con le norme di omologazione UE che nessun Costruttore tentò di portare  in Europa attraverso una Joint nonostante Tata fosse ben disponibile e nonostante un prezzo di partenza della Nano di 1.700,00 Euro.

Ed è lo stesso esempio della “Th!nk City” Valmet, la piccola costruita in Norvegia che è rimasta lettera morta nonostante requisiti ottimi. Il problema non è costruire, in Europa, BEV popolari da massimo 10.000,00 Euro, perché le occasioni per guadagnare – da parte dei Costruttori europei – commercializzando piattaforme pronte in Asia, Cina ed India sono svariate. 

Il problema è disabituare 150 milioni di potenziali consumatori europei dal vizio del prezzo basso e della disponibilità infinita di nuove auto; poiché sia l’una che l’altra prerogativa sono riservate per il prossimo quarto di secolo alla motorizzazione dei Paesi emergenti, visto che le risorse produttive, energetiche e finanziarie non bastano per tutti.

L’albero di Bertoldo in salsa “Carbon free”: come i Brand auto hanno evitato l’eutanasia BEV

Il DieselGate arriva provvidenziale, sotto questo aspetto e punto di vista: l’improponibilità del motore a Gasolio per tutti e nella confugurazione “solo motore” a causa del pregiudizio antiecologico e delinquenziale fuoriuscito dallo scandalo USA porta tutti i Costruttori a dover innovare la Gamma con l’implementazione di unità elettriche “Ibride in Parallelo” sulle vecchie piattaforme endotermiche, potendo aumentare i Listini e mettendo nel cassetto le speculazioni filosofiche sulle BEV popolari, Low Cost ed utilitarie. Siamo già alle porte del nuovo mondo dello Sharing e del superamento del concetto di proprietà classica dell’auto. E siamo, anche, alla fase di mercato in cui si può comodamente camuffare il concetto di “elettrica pura” sotto il vestito buono della Guida Autonoma, della connettività totale, dell’Energy Sharing. Si può parlare di altro, mentre i Costruttori tentano di darsi una nuova immagine di “Mobility Providers” al fine di proporre al Cliente un servizio funzionale sempre più simile a quello collaudato nel mercato della telefonia. Ma soprattutto questa “new age” prova a cancellare quasi del tutto le “vecchie” scalarizzazioni commerciali basate sui Listini e sulle “fasce” di mercato. Ne abbiamo parlato in pezzi precedenti: il Cliente europeo comincia a non trovare più attorno a se’i benchmark ed i riferimenti a lui abituali da decenni.

Il Covid farà piazza pulita anche dell’ultimo “coniglio dal cilindro” cioè il Mobility Providing”: la crisi della subfornitura, i blocchi della Supply Chain globale, l’aumento dei costi di produzione girano definitivamente pagina rispetto al capitolo storico del mercato di massa, fatto di vendite a prezzi artificialmente ridotti dal corredo finanziario e dominate dal prodotto popolare, ma fanno anche piazza pulita dei voli pindarici. Il consumatore “deve” disciplinatamente capire di essere in guerra. Non si sa con chi o perché o come: gli basti sapere che la pacchia è finita, e che inizia un nuovo sistema di rapporti tra cliente e mercato.

Inizia il nuovo mondo, che non è quello tuttavia della elettrica di massa: è quello della motorizzazione dei Paesi emergenti. Il mondo Auto si prepara a riservare tecnologia, risorse produttive, logistiche e Know How al servizio di aree come Asia, Cina, India, Sudafrica che opportunamente supportate possono potenzialmente garantire ogni anno del prossimo futuro un numero di vendite annuo persino triplo di quello che uno stanco e saturo Occidente può offrire.

Mentre ai mercati maturi dell’Occidente rimane il compito di alimentare Cashflow per soddisfare la fame di auto che il mondo continua ad avere: da una media di 35 milioni di auto prodotte nel mondo quaranta anni fa siamo passati a soglie superiori ai novanta milioni di pezzi prodotti fino a poco prima del Lockdown, di cui la fetta meno sostanziosa va ai mercati “classici”.

 

L’Unione si prepara a questa globalizzazione costruendo dentro casa sua – con i suoi Brand continentali – una strategia basata su quattro binari commerciali paralleli e divergenti: da un lato il mercato Premium, poi il mercato Retail e Smart Business con soluzioni sempre meno property e sempre più orientate allo Sharing ed al Renting; poi il mercato della Smart/Urban/Delivery Mobility nelle aree urbane e ad alta densità di popolazione.

Ed infine rimarrà la schiera delle “Commodities” costituita dall’enorme parco auto usate che da un momento in poi comincerà ad essere alimentato dalla mole di vetture provenienti da Asia, Cina, India.

Un mercato che alimenterà il canale Aftemarket rimasto “tradizionale”, perché lo smaltimento di 150 milioni di auto usate in circolazione dentro la UE non si può superare con uno schiocco di dita, ma si può “ricondurre” dentro l’alveo di una gestione di tipo Blockchain e di azioni come conversione, aggiornamento e recupero tesi a rendere l’usato uno strumento di decarbonizzazione globale.

L’Europa, il mercato del recupero: Blockchain e Aftermarketpossono “De-carbonizzare” l’Usato?

Ottenuta la consapevolezza passiva da parte dei Consumatori che il Low Cost è morto in Europa, la difesa dei confini comunitari dalle condotte scorrette cinesi ha il solo scopo di ricreare quel senso di protezionismo emotivo con il quale ogni europeo, messo surrettiziamente in allarme su atti di sopruso verso le imprese nostrane, dovrebbe tendere a privilegiare il prodotto che gli è conterraneo. 

E’ anche la favola di Bertoldo e dell’albero al quale impiccarsi? Si, è quella favola. 

Nessun produttore Auto europeo ha mai finora tirato la linea delle obiezioni e del vademecum sulla “Popular BEV perfetta” dando vita ad un prodotto realmente Low Cost; ma al contrario questo Vademecum forzato in termini di peculiarità qualitative è stato recitato come mantra per anni fin quando – un po’ come il campanello per i cani di Pavlov – non è diventata una verità assiomatica collettiva la considerazione per cui: “sotto i ventimila è davvero difficile prevedere delle BEV popolari”.

Chissà che dunque il pericolo del Dumping, come elemento di corruzione ed indebolimento dell’industria continentale, non attivi anche condotte “autoctone” da parte del cliente UE? Pensateci: un consumatore europeo che risponde al grido di allarme dei produttori, premia il prodotto continentale pagandone l’aumento di listini e tariffe senza fiatare nel nome della decarbonizzazione e della lotta per la sopravvivenza. Un mare di frottole che però, a ben vedere, può significare la sopravvivenza sul mercato.

Tutto quello che scrivo sembra risalire a teorie complottiste prefabbricate secondo comodo, ma non è così se si incastra la propensione sino ad oggi solo dichiarata da parte della UE verso larivoluzione elettrica, con la situazione tornata floridissima dell’aftermarket tradizionale e delle quotazioni dell’Usato; e se tutto questo si lega alla evoluzione normativa che la Commissione sta dimostrando con lo spostamento del focus decarbonizzazione dal volume di emissioni prodotto dai mezzi in circolazione a tutta la filiera produttiva del comparto Auto. Sembra quasi che tra Unione e motore endotermico si sia ristabilita una sorta di mutuo accordo: se l’endotermico si assoggetterà a necessarie trasformazioni verso l’efficienza termodinamica e verso le alimentazioni alternative, l’Unione non sarà obbligata a spingere verso l’elettrificazione di massa, che in primo luogo coprirebbe le soglie più popolari del mercato.

Dunque, ritengo di aver risposto correttamente alla prima obiezione che mi sono posto: qual è l’interesse della UE e dei Brand Europei al mercato Low Cost BEV? Nessuno; quale è l’interesse in generale al concetto di Low Cost sotto soglie importanti come quelle ultimamente prospettate? Nessuno; quale è l’interesse dei Brand europei, infine, a mantenere un concetto di proprietà diffusa del target auto “entry level” nel mercato europeo? Nessuno, poiché in questo è molto più conveniente estendere una “Blockchain” internazionale di Users di mezzi soggetti ad utilizzo mediante Sharing e Renting. Così come è prevedibile un censimento ed una tracciatura in modalità Blockchaindel Parco Usato immatricolato e circolante in Europa, che difficilmente sparirà dalle strade a breve.

Questo vuol dire che la UE sta semplicemente disabituando il Cliente europeo al requisito del Listino e del ciclo di sostituzione sostituendo tutto questo, come per la telefonia, con il concetto di Tariffa omincomprensiva ed insinuando sempre più nell’abitudine di utilizzo il requisito della condivisione e del recupero responsabile.

Riepilogando: i mercati da premiare in volume e riduzione dei costi di acquisto di nuovo prodotto maggioritariamente BEV sono quelli extraeuropei, e ad onor del vero ritengo del tutto farlocche previsioni di diffusione di massa delle auto full electric anche negli USA.

Nei mercati maturi, Occidente in primis, l’offerta popolare di massa agirà in tre modi:

sull’Usato tramite politiche di recupero, conservazione, trasformazione del Parco circolante; attraverso il riciclo nel mercato europeo di mezzi Hybrid e BEV provenienti dal parco usato dei Paesi emergenti; 

sul nuovo e sul Km Zero attraverso il monopolio del settore dello Sharing e della micromobilità urbana sul taglio “minimal” del Parco mezzi circolanti (il che, confermo, tende a cancellare per un bel po’ dall’offerta di mercato la classica utilitaria popolare di famiglia all’europea);

ed infine sulla logistica urbana e di Ultimo Miglio con un ventaglio più ampio di mezzi per il Delivery commerciale e Business dedicato alle Partite Iva.

Credo che quanto sopra abbia ben motivato perché UE e Brand Europei non daranno vita ad un mercato di massa di eventuali BEV Low Cost per il comune automobilista.

Resta da capire perché tuttora rimanga in piedi una manfrina sulle tematiche della mobilità Z.E. di massa visto che l’interesse di Istituzioni e Costruttori europei è su tutt’altro versante; e dovremmo anche capire quanto e fino a quando le Istituzioni europee manterranno una leva finanziaria di incentivazione ad un target di mercato che dovrebbe, e potrebbe, cominciare a camminare sulle sue proprie gambe.

Lo spiegheremo in una prossima discussione. 

Riccardo Bellumori.

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