L’Auto Elettrica stacca la spina all’Utilitaria europea e salva i Brand

Il Sor Antonio, ottant’anni di arzillo vecchietto, era seduto come sempre accanto al coetaneo Peppe sulla panchina avanti a destra nel solito parco pubblico. 

Ma appena Peppe cominciò la sua solita tiritera sulle mezze Stagioni Antonio sbotto’ urlando: “Ci manca solo che nei Cantieri mettano le pale meccaniche tutte elettriche. Sai che noia vedere tutto lo spettacolo senza quel loro bel rombo motorizzato?Quest’auto elettrica è un dramma !!!”

E Peppe giustamente notò: “Sai, a proposito, ho provato a cercare una Utilitaria per mia nipote e non se ne trova una nuova nemmeno se preghi in aramaico. Ormai se vuoi una “piccola” puoiscegliere al massimo tra quelle scatolette elettriche con lo Sherwood” “Quelle prese in Sharing, dici?” domandò sor Antonio,clemente verso il buon Peppe. Il piccolo dibattito tra i nostri due simpatici vecchietti ci aiuta a raccontare una parabola leggendaria: quella legata alla “epopea” delle piccole utilitarie alla europea, un simbolo che questa Unione incapace e devastante sotto l’aspetto Automotive ha ucciso con le sue stesse mani. Aggiungendo, come il mitologico Dio delle leggende, un altro metaforico “figlio” che l’Europa ha ucciso e mangiato dopo il destino che ha riservato al Diesel.

Il vento Subprime dagli USA spazza via le “piccole” dal mercato europeo

E’ il 2007, l’Unione Europea e l’EFTA insieme immatricolano 16 milioni di auto (dati ACEA, con il mercato italiano secondo per volumi dopo la Germania e prima di Gran Bretagna e Francia)superando di quasi mezzo milione il volume del lustro precedente e di un milione e mezzo il dato del 1997; si, chiaro: ci sono i distinguo, primo tra tutti che la UE del 1997 è ancora “a 15”. Ma quei “15” che nel 1993 vedevano poco più di dieci milioni di pezzi, da allora fino al 2008 erano scesi solo tre volte in 15 anni sotto la soglia simbolo dei 12 milioni: i volumi crescevano di anno in anno non solo per l’adesione progressiva di Stati che cominciavano a motorizzarsi ma anche e soprattutto per la marea di credito elargito per l’acquisto. Finanziare l’auto era un mantra importato dagli USA da fine anni Ottanta; ed un po’ come il cibo intubato alle povere oche francesi al fine di ricavarne il “foie gras” anche questa pratica indotta forzosamente avrebbe rivelato presto pesanti controindicazioni. Fino al 2007 garantisce un ciclo di sostituzione auto mai visto nel Vecchio Continente, aumenta il pubblico potenziale e riversa nel mercato usato sempre più modelli di massimo 3 anni. Cosa è dunque che non va? C’è che la leva finanziaria genera sempre più diffusamente una pratica concorrenziale degenerata, quella della proporzione inversa tra listini full optional ed aumento degli stessi. In pratica lo spostamento dei margini dal corpo vettura all’ammontare del contratto finanziario porta i Costruttori a falsare i listini con offerte “tuttocompreso/prontaconsegna” anticiclici: più passa il tempo, più i modelli si rinnovano e di arricchiscono, tanto meno è collegato l’aumento dei listini. Buone notizie per l’immatricolato nuovo, brutto segno per il rapporto tra volume finanziario erogato e controvalore di garanzia dello stock usato finanziato: in pratica più si gonfia la nuvola del credito in sospeso più si svaluta il soggetto passivo del credito. Con la conseguenza che il rischio bolla subprime negli USA si traduce in Europa nel rischio di un altro tipo di bolla legato ai fiumi crescenti di ferro in circolazione che vale sempre meno. 

Protagonista in negativo di tutto questo scenario è il povero “Segmento B”. Fin quando è esistito…

C’erano una volta le “B”: le auto per tutti in Europa

Dove sono finite le “utilitarie” europee? Quelle che fino agli anni Sessanta hanno motorizzato i meno abbienti, dagli anni Settanta hanno accompagnato le principali auto di famiglia; quelle che negli anni Ottanta e Novanta sono diventate il simbolo delle generazioni giovani che pretendevano in piccolo tutto il meglio che le “grandi” avevano in dote; e quelle che dal 2000 sono diventate un vero microcosmo: benzina, Diesel, Gas; Monovolume, 2/3 Volumi, Station, Coupè e Spider, Van e Pick Up commerciale; da mezzo litro di cilindrata fino a quasi due litri per diverse Diesel. La stessa simbiosi virtuosa con il motore Diesel porta il comparto delle piccole (sempre meno tali) a rappresentarecostantemente la maggioranza relativa delle immatricolazioni annue nella UE. Fiesta, Clio, Polo, Punto, Panda, Ibiza e Corsa (per citare le famiglie storiche) insieme alle piccole di casa PSA ed a quelle uscite dagli stabilimenti europei dei Brand giapponesi guidano dunque per almeno un quarto di secolo i volumi di vendita garantendosi un target medio annuo di almeno il 45% di immatricolazioni di nuove auto nella UE. Contemporaneamente fungono da porta di accesso per la auspicata fidelizzazione tra marchio e Cliente, ma non solo: le piccole “finanziate” servono anche da gradino iniziale nella scala virtuale pensata per portare progressivamente il Cliente – acquisito tramite una “piccola” – alla Gamma superiore. Queste prerogative dovrebbero rendere il Segmento classico un valore aggiunto per i Costruttori, nel periodo preso in esame. E invece?Il problema è che, come per il Diesel, la lotta concorrenziale tra Marchi concorrenti non fa vincere più nessuno e rischia di far perdere tutti. Le quote di mercato UE riservate alle “Segmento B” canoniche (entro i 4 metri e da 750 a 1500 cc. di cilindrata) diventano un gravame per il conseguimento di margini e di fidelizzazione, in caso di crollo dei volumi finanziati. Cioè dopo il 2008.

Come per il Diesel: nel Segmento B non vince più nessuno. Dunque perdono tutti

Ci deve essere stata per forza una strategia predefinita, non può essere un caso. Per decenni il mondo auto europeo ha favorito la crescita dei volumi con modelli di Utilitaria ancora più innovativi dei precedenti. Le diverse leve utilizzate dai vari Costruttori nazionali si sono basate storicamente su strategie affini tra loro: negli anni ’60 la concessione ad un certo lusso e comfort; negli anni Settanta l’adesione piena alla migliore tecnologia di settore e di periodo; negli anni Ottanta l’allargamento di Gamma; negli anni Novanta le sinergie e piattaforme comuni e la nascita delle “Sub B”, ed infine fino al 2010 l’esplosione del Diesel e la prima presenza “seria” di B Premium.  

Nello stesso modo per decenni l’Europa ha combattuto le crisi di vendita e di popolarità attraverso l’innesto in Gamma di modelli ultra popolari. La fase – seppure critica – del mercato europeo lungo gli ultimi 15 anni è la prima nella storia in cui la medicina contro i mali dell’auto costa di più di quando il paziente stava relativamente “bene”. Perchè l’assetto di mercato uscito fuori da quella crisi iniziata con il Crack Lehman e proseguita con pandemia ed esplosione dei costi energetici prevede tre effetti già attuali (aumento dei listini, innalzamento della soglia di prezzi base, riduzione delle disponibilità di mezzi nuovi) in attesa dell’ipotetica e ventilata rivoluzione elettrica mai però realmente compiuta sino ad oggi. Nonostante meno soldi, meno vendite ed anche meno potere di acquisto degli automobilisti in Europa, la risposta non è un rinforzo della leva “Low Cost”. I motivi sono pratici: vanno dalle considerazioni di marginalità negativa sui corpi vettura, alla guerra assassina sui ribassi di Listino, alla impossibilità di fronteggiare una guerra con il mondo IAM nell’Aftermarket ed Aftersales. Su tutto prevale però l’impossibilità di proseguire pratiche commerciali drogate dalle rate. Come e perché si è pervenuti a questo scenario così in controtendenza, e perché a fare le spese di questo “Automotive New Deal” è stato il Segmento “B” proviamo a spiegarlo.

Segmento “B” : l’auto Commodity vittima della “De vendita felice”

Il Crack Lehman del 2007 chiude i rubinetti del credito facile sulla maggioranza dei contratti di acquisto auto nell’Europa estesa dove – al contrario degli Stati Uniti e della Gran Bretagna dove l’acquisto a rate era un fenomeno di massa ormai radicato – era esploso per via delle strategie indotte dai Brand attraverso le proprie Captive Bank ed i propri Dealer: palestra elettiva di queste strategie è proprio il Segmento B che fino agli anni Novanta era per la gran parte segnato dai clienti “Cash” mentre le rate erano già abbastanza diffuse nei segmenti superiori. Il ciclo di sostituzione si accelera, i volumi crescono ma le conseguenze ricordate sopra (con la progressione negativa dei nuovi Listini finanziati aumenta la svalutazione del corrispondente parco usato) generano abitudini ed aspettative distorte da parte dei consumatori e instaurano pratiche di aftersales deleterie per i Costruttori: su questo aspetto in particolare è l’oceano crescente di Segmenti B in circolazione a gonfiare le tasche degli IAM a danno degli OEM allontanando il target di consumatori dalle Officine ufficiali. Di fronte ad un avvitamento così contorto la soluzione non poteva più essere quella di “gonfiare” ed arricchire le dotazioni; era arrivato il momento di “tagliare” del tutto le radici generative del Segmento “B” classico, popolare ed abituale:

prima con i modelli e le versioni (taglio delle motorizzazioni Diesel post Dieselgate, cessazione di linee produttive e preannuncio di eutanasia di famiglie storiche del segmento);

poi con i volumi (trasferimento degli Stock dal nuovo all’offerta di autoimmatricolazioni, fine del “pronta consegna”);

ed infine con i Listini consueti per il Segmento B classico: il taglio delle vendite finanziarie non solo impediva il ribasso dei Listini ma avrebbe proiettato questi ultimi su soglie così inconsuete per modelli usuali da rendere necessario avviare nuovi arrivi in grado di annullare i riferimenti di pricing e Benchmark adottati dal consumatore generico.

Era così alla fine morto il Segmento B canonico e popolare, dalle cui ceneri sarebbero nati quattro nuovi voci di Business:

​-Noleggio per i Privati, noleggio a Breve di tipo “Second Life” ed usato dei mezzi ancora in giacenza Stock e “Km Zero”;

– Urban Sharing di piccoli modelli dedicati alla mobilità alternativa e condivisa, per spegnere il primo movente storicamente generativo della esigenza di classiche utilitarie, ovvero l’uso in città;

– Le “B SUV” dai nuovi listini maggiorati;

– L’arrivo nell’aftersales generalista dei Marchi costruttori in ottica di gestione Parco usato.

Niente low cost nel segmento B

I dati ACEA di nuove auto registrate nella UE – post allargamento ai nuovi membri – dal 2009 al 2014 vedono un crollo costante fino a meno un milione e settecentomila pezzi da un anno all’altro, ma le analisi di vendita “a valore” – come si dice in gergo tecnico – vedono una buona performance del costo medio delle vendite per unità.  

Ecco perché la domanda legittima di molti automobilisti (perché i Costruttori europei non si sono affidati a Gamme di utilitarie “Low Cost” nel periodo “nero” 2010/2015 come accadeva nel passato?) trova la sua plausibile risposta anche nella ipotesi di una sorta di tacito cartello pensato per non portare alla deriva i Marchi europei: tuttavia, le Low Cost avrebbero ucciso i Costruttori portando alla ribalta i modelli dei produttori indo-asiatici? Non proprio, visto che i Brand europei avevano ottimi modelli di auto economiche prodotte per i mercati sudamericano, est europeo e medio orientale (come la Turchia, dalla quale proveniva la Tipo Low Cost di FCA, o come il tentativo fatto da Citroen) da poter portare in Europa. Ma sarebbe stato un palliativo temporaneo,  come dimostra proprio la scelta di FCA sulla Tipo.

Meglio, molto meglio, “educare” gli automobilisti europei al “New Deal” che, certo, qualche sacrificio avrebbe comportato e comporta: ed infatti, cosa avrebbe potuto rassegnare milioni di automobilisti europei “cornuti e contenti” ad un destino di aumenti di listino, indisponibilità di nuovi modelli, credit crunch e vincoli limitativi (rimasti) sulle auto endotermiche, se non la promessa di un mondo migliore ad emissioni Zero? Chi non farebbe di tutto per l’ambiente ed il futuro dei figli? Ma il futuro non si improvvisa: ed ecco perché, quasi inspiegabilmente, quel “buco” generato dalla fine anticipata del Segmento “B Classic” è rimasto tale, sotto l’aspetto quantitativo. Quasi inspiegabile è, in questo senso, l’assenza di iniziativa su un possibile filone di LowCost Z.E. nel “Segmento B”. Eppure già quindici anni fa erano diversi i piccoli modelli BEV che in Asia, India o Cina costavano nel rango di massimo 2.000,00 Euro (su tutti il caso della “Tata Nano”) e che mediante Joint Ventures e comarketing potevano affiancare sul mercato europeo le sparute scommesse di Renault (Fluence), PSA e pochi altri. Se diversi Brand “generalisti” avessero tentato questo passo indolore ed a rischio zero cosa potevano rischiare? Di certo la curiosità, l’empatia e l’attenzione europea verso il mondo “BEV aLow Cost” erano altissime all’epoca: e parliamo di auto di cui i consumatori avrebbero accettato – come inizio – autonomie entro i 100 Km e prestazioni da piccola cittadina.

Ma proprio per la (consentiteci la battuta) “supercazzola” perfezionista: “o facciamo in casa da noi una piccola BEV da sogno, oppure meglio non provarci neppure”; anno dopo anno questo ha portato il pubblico a dissuadersi dall’attesa di una 100% elettrica a prezzi ragionevoli che, dobbiamo riconoscere, se ci fosse stata avrebbe avuto risultati di vendita eccellenti fino a pochi anni fa.

Muore l’Utilitaria europea, l’euroBEV popolare rimane un sogno. Perché?

Quando il Re esaudì il desiderio di Bertoldo di scegliere lui stesso l’albero destinato ad impiccarlo, il villico furbo lo trovò sulla Luna. Il problema era arrivarci. La favola di Bertoldo girò diversi mesi per gli uffici dei Costruttori europei, pronti anzi prontissimi a varare una BEV popolare e di massa purchè tutte le prerogative conseguite dalle più prestigiose cugine di lusso (in tema di autonomia, prestazioni, tecnologia e sicurezza) potessero essere trasferite nel mercato utilitarie in modalità Low Cost. Infatti, stiamo ancora in attesa che l’equazione diventi realtà. Oppure, più semplicemente, nessun Costruttore ha mai pensato neppure per scherzo di realizzare scommesse del genere. Molto più astuto, in termini di overpricing, implementare con dispositivi Ibridi le vecchie piattaforme endotermiche pure ed introdursi così nel mondo della ecomobilità. Perché una “Ibrida” (elettrico+motore) dovrebbe costare più della “solo motore”? La risposta è ovvia. Ma “QUANTO” di più deve e può costare? La risposta è meno automatica: dipende anche dalla unica possibilità riservata al consumatore europeo di acquistarla in luogo delle ormai introvabili e forse inservibili endotermiche pure.

Tra il 2018 e fino a pochi mesi fa essere Ibridi significava dimostrare il minimo di legge per dirsi ecologici. Chiaro che tutto questo, con la scomparsa delle offerte solo endotermiche ha generato soglie di accesso ai listini molto più alte. In attesa che, spenti gli auspici per le “BEV” popolari, potesse circolare uno strano ma incontestato messaggio dei Costruttori: “BEV Low Cost? A meno di 20.000,00 Euro, nulla”.

Ventimila Euro, Low Cost?? Solo7 anni fa bastavano per una principesca Ammiraglia Turbodiesel Euro VI, con tutto il lusso incluso.

Commissione o “Compromissione” Europea? Passi falsi e fuffa di Bruxelles su Zero Emission

Questo modo da “Bertoldo alla ricerca dell’albero dove impiccarsi” che i Costruttori europei hanno adottato dopo aver di fatto seppellito il concetto di “auto popolare senza però dare corpo a proclami, promesse, desiderata in alcun modo con un ricambio generazionale di BEV di massa ha portato alla attuale presenza di due Z.E. ogni centocinquanta auto circolanti in Europa. Sembrerebbe una presa in giro se non fosse corroborata dal nulla cosmico partorito in circa dieci anni da due Commissioni apparse essere capitate a Bruxelles per puro caso, in tema di regolamentazione Automotive. Con l’alibi, almeno per la “legislatura 2014/2019 di aver provato ad inquadrare la difficile architettura di ADAS e Guida autonoma prima che il Lockdownfacesse carta straccia di anni di programmazioni e progetti in questo senso. La Compromissione Europea guidata dalla Signorina Von Der Layern è stata conseguente a questo nomignolo: un quinquennio di silenzio propositivo, di produzione ed aggiornamento legislativo unito ad un processo di continuo rimando rispetto al calendario ambizioso che “Carbon Zero” promette da oggi fino al 2035. Il che attualmente ha generato tre condizioni oggettivamente fantascientifiche fino a cinque anni fa: 

– Il ritorno di valore e prezzo in aumento per le vecchie endotermiche usate;

– Il possibile cambio di rotta riguardo allo stop perentorio all’endotermico al 2035;

– Un ripensamento deciso di tutto l’aftersales dopo la proroga al 2028 di una New BER”.

Se questo è oggi il frutto delle dichiarazioni e delle “battaglie” di principio di Bruxelles a favore di ecomobilità, di concorrenza e trasparenza nei servizi aftermarket, e di una sentenza capitale sul classico motore, o la Commissione vive una apparente schizofrenia oppure è apparente la crociata anti – endotermico e pro-elettrico. Anche su questo propendo per la seconda ipotesi. Dunque, Commissione, Governi nazionali e Costruttori europei, sotto sotto……………….?????

Addio “Mass Market”: i Brand UE vogliono Blockchain, Supply Km Zero ed aftersales

Sotto sotto è tutto il mondo Auto europeo ad aver virato su concetti che rimandano tutto alla prossima e prevedibile esplosione delle nuove forme di Business basate sulla interazione “Blockchain” che interesserà non solo i modelli industriali e le relazioni commerciali legati al mondo BEV, ma anche la Supply ed il comparto Usato. 

Cos’è, in termini di mercato Auto, l’UE? 

E’ un mondo da più di 150 milioni di auto in movimento, “rinnovate” al ritmo odierno medio del 8% annuo. Significa che è impensabile parlare di “svecchiamento del Parco circolanteeuropeo, poiché quando pure tra ipotetici venti anni le ultime vecchie auto esistenti ad oggi fossero sostituite, avremo comunque per strada modelli ultradecennali e si comincerebbe da capo. 

Cosa sono Asia, Cina, India, Sudafrica, in termini di mercato auto per i Costruttori europei? Sono una piazza da potenziali 250 milioni di nuovi automobilisti entro 10 anni; se così fosse la capacità di assorbimento di nuovi modelli in questo emisfero corrisponderebbe in un anno a quel che la vecchia Europa può chiedere lungo un arco di tempo tre volte più lungo. Vi serve altro per capire che il mercato europeo ha senso per i Costruttori se e solo se diventa “easy”? Per esserlo, secondo l’occhio dei Brand, il mercato UE deve essere: più protetto dalla concorrenza estera, capace di animare una propria catena di subfornitura Automotive a “Km Zero”, esente da ideologie o dinamiche da Guerra Santa, ma soprattutto capace di sostenere le proprie eccellenze che sono sempre più richieste nel mondo. Insomma, il target popolare in Europa non avrà mai una BEV adatta alle sue tasche; avrà sempre più bisogno di strumenti di acquisto e gestione alternativi (Noleggio, Sharing, Pooling) per auto sempre più costose. E se vorrà difendere il caro vecchio motore termico usato (o se non vorrà convertire la sua auto con Kit Aftermarket) dovrà sborsare molto di più per quello che già ha in casa.

Benvenuto, New Deal europeo. Benvenuta rivoluzione elettrica. O supercazzola: quella dell’elettrica che non c’è e che non serve più, ma che ha cambiato per sempre il mercato auto europea. Fate Voi.

Riccardo Bellumori

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