Senza Carbon Credits l’auto elettrica è screditata?

Per capire tutto questo Post senza leggerlo basterebbe fermarsi ad un dato che tutti potete trovare sul Web: l’importanza finanziaria della rivoluzione elettrica è nell’aver ribaltato il classico paradigma “popolare”: prima del 2008 la finanza si arricchiva “vendendo fumo”.
Dopo il “Crack Lehman” la finanza si è tenuta in piedi con …….i “Mangiafumo”. E uno dei prodotti più celebri del nuovo mondo post 2008, Elon Musk, è stato da allora un simbolo ma anche un Player protagonista.
Tra il 2016 ed il 2018 la “Tesla” ha incassato poco più di UN miliardo di Dollari semplicemente vendendo “Carbon Credits”, e nel 2023 ha dichiarato un guadagno di 1,79 miliardi di Dollari.
Ma questo perché? Semplicemente perché il valore dei Crediti di CO2 deriva da un combinato disposto legislativo e sanzionatorio. Così come un po’ tutto il complesso del valore attribuito al settore “BEV” e “PHEV”: un mezzo elettrico o Ibrido fino a ieri valeva soprattutto per l’effetto normativo proibitivo verso il mondo endotermico, in base al quale un Costruttore sapeva di avere un futuro solo producendo Elettrico ed Ibrido.
Detto in parole povere, è un poco come il concetto del negozio di ombrelli: valgono solo se, quando e finchè piove.


Il “mercato” dei Certificati Verdi nasce nel 2005, ma davvero in pochi ne conoscevano l’esistenza e quello che avrebbero rappresentato dal 2009 in poi, quando appunto Elon Musk è diventato non solo il simbolo internazionale dell’auto elettrica “Premium” ma anche il riferimento imprenditoriale della Finanza innovativa basata appunto sull’avvento di nuovi strumento speculativi.
E la ulteriore stretta della UE del primo Gennaio 2020 (passata in cavalleria causa Covid-19, guarda caso) basata sulla ulteriore riduzione del valore complessivo di CO2 sommata dalla Gamma prodotta ha generato una nuova linea di crediti erogati da Tesla insieme tuttavia ad una prima serie di mezzi “BEV” e “PHEV” prodotti in proprio o in sinergia dai Costruttori. Il sistema europeo, quello statunitense e quello cinese dei Certificati Verdi si basa più o meno su medesimi principi operativi, quello che manca universalmente tra i diversi mercati è un sistema di unificazione e comparazione dei diversi Certificati al fine di avviare un possibile scambio globale.
Condizione come sapete che si è resa praticamente meno necessaria dentro la UE dopo Aprile 2023: la stessa Unione Europea ha deciso un graduale tasso di riduzione della intermediazione possibile di Certificati Verdi, definendo un sistema di sanzioni e dazi ambientali a carico dei Produttori più inquinanti lungo – badate bene – tutto l’arco della filiera produttiva integrata.
In parole povere ai Certificati Verdi si sostituirà un modello nuovo di sinergie e J.V. tra Imprese più o meno virtuose, ed un sistema che – a partire anche dal futuro Step Euro VII – vedrà anche il mondo della Componentistica obbligato a dimostrare il suo apporto.
Ma un occhio malizioso potrebbe voler vedere in questa correzione di rotta della UE una “pezza” alle tante piccole e grandi fesserie operate dalla Commissione in tema Automotive da diversi anni: la media aritmetica del rapporto tra “BEV/PHEV” e auto convenzionali nella Gamma di prodotto dei Costruttori destinata all’Europa è progressivamente cresciuta non perché è aumentata la produzione di BEV ma perché è crollata la produzione collaterale. Ma è chiaro che in un mondo extra UE che continua a chiedere mobilità, e di fronte a multe UE quasi anacronistiche la soluzione pragmatica dei Costruttori è stata il crollo del mercato e dei volumi produttivi del Vecchio Continente.
Tanto per fare un piccolo specchio comparativo, il modello cinese di intermediazione e scambio dei Certificati Verdi prevede più usualmente lo scambio tra Imprese in Joint Venture, affiliazione o raggruppamento tra loro, piuttosto che la compravendita tra Società tra loro indipendenti.
E’ stata FAW-Volkswagen una delle prime Società a comprare da Tesla, in territorio cinese, un buon livello di Certificati Verdi per corrispondere agli obbiettivi fissati dal Governo. Ma uno dei maggiori “spin” alla creazione di una gamma propria di auto “Green” sul mercato nasce anche dal progressivo aumento dei costi di un Certificato Verde: in Europa si era arrivati a superare i 5.000 Euro per ogni certificato, e secondo l’Agenzia Reuters la FAW Volkwagen avrebbe pagato nel 2021 i Certificati di Tesla ad un prezzo unitario balzato in alto del 20% in più rispetto al passato.
Vi interessa, per intanto, sapere quanto ha reso al Marchio “Zero Emission” per eccellenza (Tesla) tutto il meccanismo dei crediti di CO2? Dal 2009 al solo 2015, (i primi anni di “rullaggio” del sistema potenziato dalla esplosione del DieselGate) Tesla ha incassato quasi quattro miliardi di Dollari. Andate a vedere i risultati di altri Costruttori con il loro rendimento azionario/obbligazionario nello stesso periodo e comprenderete molte cose……..
Sarebbe facile dire oggi che questo sistema di intermediazione ha confuso le prestazioni finanziarie del Marchio rispetto alle dinamiche reali di CashFlow, operatività industriale e margini della vendita di auto.
Ma siccome è troppo facile, io lo dico. E per questo l’originaria Start Up americana Tesla, fondata nel 2003 da tre giovanotti di belle speranze alla ricerca nel mondo di piccole vetturette per il Car Sharing (l’originario progetto di Tesla, per chi non lo sapeva….) diventa nelle mani di Elon Musk una scacchiera industriale ben congegnata.
Uno dei maggiori Clienti Tesla infatti non si trova tra Automobilisti e Flotte, ma è un Costruttore: FCA chiuse nel 2019 un accordo di acquisto di 1,8 miliardi di Euro in Carbon Credits (secondo il Financial Times),

“Carbon Credits” e “Green Bond” in soccorso alla finanza malata

Se si fa mente locale al passato di una quindicina di anni fa ci si rende subito conto che Auto ecologica, Elon/Tesla, la guerra all’endotermico fino ad arrivare alla parodia di Greta, sono fenomeni scaturiti dalla crisi finanziaria del 2007. A sua volta silenziosamente capace di disinnescare una potenziale bomba di Credit Default nel mondo Auto, dove l’esposizione creditizia cresceva esponenzialmente di pari passo con i numeri di vendita di auto sul mercato occidentale. Il tutto mentre scoccava l’ora, per i Costruttori, di darsi un futuro nel nuovo mondo (Cina, Asia, India) sulla base di due semplici presupposti: con l’iperattività industriale in corso – dettata dalla domanda di auto nuove in Occidente – non sarebbe stato facile destinare risorse per rispondere alla futura domanda orientale. E con il livello di esposizione creditizia in corso aprire nuove linee di credito in un mercato in via di sviluppo sarebbe stato letale, perlomeno dal lato contabile se non materiale.
Questo porta a dire che il Crack Lehman sia stato un fenomeno costruito ad arte? Non saprei, ma mi limito ad una valutazione tecnica: il default accusato sui Mutui Subprime fu decimale rispetto a tutta la soglia di crediti critici del settore Automotive mondiale all’epoca; quindi sono io che mi chiedo che effetti avrebbe avuto un “Crack Captive Bank” di uno o più Costruttori invece che quello sul mercato immobiliare comunque garantito da una base ipotecaria solida.

L’eterna crisi green

Come tutti ricordiamo, la bolla Subprime ed il Crack Lehman del 2008 hanno avuto due effetti poco collegati tra di loro in ambito Automotive: da un lato il crollo di quotazioni e capitalizzazioni dei Gruppi “Classici” con il rischio bancarotta per le “Big Three” di Detroit; e dall’altra l’esplosione tecnica, commerciale ma anche finanziaria del fenomeno “Tesla”, portatrice in se di nuovi valori non solo etici ma anche di investimento: tecnologie “Green”, sistemi di ricarica, infrastrutture, Know How, crescita di valore del Brand.
Improvvisamente anche la finanza “Green” e’ diventata più interessante della classica: e soprattutto, si è assortita di tutta una serie di strumenti di investimento il cui fine speculativo aveva alla base l’elemento etico della conversione ecologica (decarbonizzazione, R&D, vendita flotte ecologiche, etc….).
Questo potrebbe, senza complottismi o voli pindarici, far capire quanto di strumentale vi sia stato nella repentina adesione “pubblicitaria” di tanti Costruttori verso l’ecomobilità, data anche la fumosità – per quei tempi – di obbiettivi e di “Best Practices” del tutto ignote al Mass market automobilistico. Sorprende anche quanto gli indici finanziari di taluni Marchi derivino più dalla qualità e rinomanza del loro “Know How” che non dai volumi produttivi; ma soprattutto sorprende il volume di denaro indirizzato a decine di Start Up in Occidente ed in Asia, molte delle quali stanno letteralmente per fallire.Dal mondo degli “ABS” – definiti anche “Prestiti riconfezionati” – arrivano notizie controverse: da un lato, come detto, gli analisti sono suggestionati dal trend dei prezzi di nuovo ed usato; dall’altro i rendimenti degli “ABS” sono in crescita, segno che altrimenti questi strumenti non sono più interessanti.
Nel 2022 c’è stato un aumento nella vendita di ABS Automotive rispetto al 2021, ma questo avviene in una fase di forte negatività finanziaria per molti operatori del settore, e con un futuro molto incerto; di fatto solo l’aumento medio di Nuovo ed Usato sta sostenendo le attese: di certo le obbligazioni Asset Backed sono di gran lunga più apprezzate dei Corporate Bond emessi da diversi Marchi Costruttori, il cui Rating sta crollando progressivamente. Tuttavia l’aumento dei tassi finanziari e dei prestiti e l’aumento dei Clienti di rango “Subprime” stanno rinnovando il rischio di sofferenze.
Ovviamente, come ricordiamo, si sta parlando dell’area “Occidentale” (Europa, USA in particolare) senza toccare ambiti molto difficili come Asia e India.
Di una cosa potete stare certi: il “consumo” non sarà più finanziato, in Occidente, con soldi pubblici, ma con il circuito del risparmio privato. Al massimo i fondi pubblici potranno essere destinati a nuove infrastrutture collettive.
Quindi, se il mondo dei consumatori sceglierà di “finanziare” l’espansione del credito o la crescita di nuovi consumi, anche nel comparto Automotive, dovrà farlo di tasca propria. Questo, fintanto che questo sistema economico e soprattutto monetario globale rimarrà come è adesso.
Quello che è certo è che dopo la grande crisi finanziaria del 2008 i Rating assegnati agli ABS Automotive sono stati in larga parte migliorativi, e la percentuale di NPL sui crediti Auto si è generalmente mantenuta sotto il livello di guardia. Questo è un dato, così come lo è il fatto che obbligazioni di tipo “ABS” avvicinano spesso quote di investitori ai quali il reddito fisso da altro tipo di investimento può essere poco accessibile.
Dunque la quota di Finanza Verde non può più essere cancellata da un mondo finanziario che vede nel risparmio energetico, nel recupero di risorse e nel risanamento ambientale un elemento di profitto: è solo che l’Auto elettrica, di questo panorama virtuoso, non è più il fulcro ma un elemento complementare.

Le sfide del sistema globale

Superata l’emergenza vitale dopo il 2008 e – per ora – tenuti a bada i rischi di bolle creditizie; tenuta sotto osservazione anche la iperdomanda commerciale in Occidente di Auto per poter supportare i consumi delle Nazioni emergenti, con la conseguente rivalutazione dell’Usato e dell’Aftersales; ed infine avviata una azione di Branding di ciascun nuovo o vecchio Raggruppamento industriale in tema “BEV”, è chiaro che l’emergenza porta sempre degli inconvenienti.
Le campagne di richiamo e le lamentele di tanti Consumatori su modelli Z.E. appena lanciati sul mercato ma difettosi; la esigenza di nuove localizzazioni produttive e di sinergie per risolvere questioni annose (autonomia Batterie, risorse minerarie e Know How industriale, Brevetti e Diritti) ha portato la sua discreta dose di criticità, ma pur sempre inferiori al prezzo da pagare a causa del ritardo ad entrare nel mondo BEV e per le sanzioni sui mercati.
Oggi, dopo ben quattro anni di moderazione industriale sulla Gamma endotermica, le proroghe “benedette” di BER e dello Step “Euro VII”, e la vendita a prezzi non indifferenti di auto classicamente endotermiche addizionate di sistema Ibrido (che di fatto ha allungato il ciclo industriale sia del motore endotermico che delle linee commerciali dei modelli), sembra che – finalmente – tutti i maggiori Gruppi siano pronti per l’elettrico.
Dove? In Cina, India e Sudafrica, ovviamente. Dove da sempre tutti coloro che hanno un poco di materia grigia in testa sanno che esistono gli unici Mass Market di BEV popolari nel breve periodo. In Occidente, come credo hanno capito tutti, il futuro è nel recupero e riqualificazione del “vecchio”: Ibrido, Motori endotermici con alimentazioni alternative, e trasformazione ed adeguamento dei vecchi motori. Si, con un po’ di BEV in mezzo per chi potrà permetterselo: ma senza strumenti finanziari di supporto e senza l’esigenza vitale, come potete leggere dalle cronache lo Zero Emission pare diventato un concetto per nostalgici.
Di una sola cosa siamo tutti consapevoli: il valore unitario dei futuri modelli BEV tenderà a scendere nel taglio medio, mentre nel target Premium i margini deriveranno da valore del Brand e dal valore aggiunto di accessori e servizi richiesti da una Clientela facoltosa. Al confronto la serie di servizi e produttività che nel target popolare può ancora garantire l’endotermico è di per sé elemento necessario e sufficiente a chiarire agli evangelizzati dell’EV che futuro avrà il settore, e dove, in Europa.
In attesa del famoso “Step di revisione “ del 2026 su “Fit for 55”, e soprattutto in preparazione del 2028 quando la BER e lo Step Euro “VII” partiranno incrociati e contemporanei per favorire e per penalizzare allo stesso tempo le importazioni dall’Asia. Così almeno la pensa uno come me, che non capisce nulla.

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