Giuseppe Bianchi è un operoso e geniale tecnico che ripara e vende biciclette, a Firenze: un poco come il suo omonimo Edoardo di Milano, il futuro “re” della bici. Gli inizi sono simili, e chissà se i due si siano mai conosciuti.
Questa è la storia di un Marchio storico di moto: e detto così, potrebbe apparire come una delle decine di storie che l’industria italiana ha saputo regalare al mondo.
Ma è un Marchio motociclistico italiano la cui storia che sta per compiere – a partire dalle prime origini familiari – 120 anni: e già da qui la rosa delle protagoniste si riduce di parecchio.
Inoltre è un Marchio che ha origine – e da allora è rimasto – a Firenze, e davvero qui stiamo parlando di una vera eccezione rispetto alla serie di piccoli e grandi Costruttori radicati al Nord-Est.
E’ il 1904 e nasce la Società omonima “Bianchi Giuseppe – Firenze”; il primo dopoguerra per entrambi i Bianchi – anche Edoardo di Milano – è il momento della prima vera esplosione: dal Regio Esercito arrivano montagne di bici usate da ricondizionare e vendere; e contemporaneamente il pedale diventa il mezzo di trasporto di massa.
Mentre l’Edoardo passa da Milano a Desio e diventa fornitore della Casa Reale, Giuseppe resta a Firenze ma chiama in Squadra il figlio Enzo diventato Ingegnere.
Ovviamente il parallelo tra i due omonimi “Bianchi” si ferma qui: all’alba della seconda Guerra Mondiale la “Bianchi SpA” di Desio è un colosso industriale già impegnato su bici, motocicli, auto e persino aeronautica con le commesse della Isotta.
La piccola Officina e fabbrica fiorentina invece è ancora una impresa artigiana che Enzo, conosciuto un appassionato di moto come Arrigo Tosi, comincia a trasformare piano piano in uno Stabilimento industriale.
Arrivano saldatrici e piegatubi, i torni e le presse per lavorare su telai più complessi e sulla meccanica: si continua con le bici ma nell’ottica in cui – dagli anni ’50 – si capisce che il nuovo fenomeno di massa è il motociclo. E che il “core” industriale va cambiato.
La marea di biciclette prodotte (ed invendute) vengono sostanzialmente motorizzate con il dispositivo italofrancese di Solex e Garelli: in particolare i motori retro inseribili del “Mosquito” danno vita alle Beta “Cervo” del 1946, mentre la “Cigno” del 1948 ha un profilo più evoluto grazie al telaio a doppia culla e gli elementi sospensivi molleggiati anziche’ rigidi.
Nasce la “BETA” ed il mondo della moto se ne accorge subito!
La convergenza verso il mercato motociclistico porta Enzo Bianchi a separare l’officina di bici dalla nuova realtà “Bianchi Enzo Tosi Arrigo” (B.E.T.A.) del 1951.
La sovrabbondanza di motori che decine di Magazzini in Europa sono ben lieti di liquidare – dopo l’approvvigionamento bellico – rende in particolare la britannica “JAP” (fornitrice in Guerra anche dei minivelivoli da incursione della “RAF”) ideale per ogni architettura su ruote, e dunque con i “JAP” 125 la Bianchi crea la prima vera moto, la “Ital” del 1949.
Appena nata, con le architetture a 2 Tempi la B.E.T.A. si dimostra da subito la “giapponese d’Italia”, e la sua crescita ed affermazione è davvero esplosiva:
i motori “JAP” economici ma grezzi e pesanti vengono abbandonati; Enzo Bianchi contatta allora la neonata “Fabbrica Bolognese Motori” – FBM (fondata dal tecnico Vittorio Minarelli insieme al nipote di Alfonso Morini, Franco appena uscito dalla Ducati) e nasce l’accordo di fornitura: Minarelli e Morini producono di già su commessa i motori a marchio Guazzoni, e dunque forniscono alla BETA tre motori a 2 Tempi (un 175 cc. per la moto da iscrivere alla Gara “Milano-Taranto” del 1952, un 125 cc per la “Urano” ed un 160 cc. per la “Vulcano”) e nel corso di cinque anni FBM produce una intera famiglia di “mono” a 4 Tempi per ben quattro diversi modelli di moto stradali.
Siamo da poco oltre il 1960 e dopo 10 anni di vita la Gamma del Marchio fiorentino conta già sette ottimi modelli di moto stradali e da Competizione da 98 cc. fino a 200 cc. Quasi come un grande Costruttore, in un Paese che nel 1950 aveva prodotto 323.000 moto.
Ed arrivano durante gli anni Cinquanta i primi trofei dalle cronoscalate e nei “motogiro”; ma arriva anche – nel 1956 –una brutta doccia fredda: un dissidio tra Minarelli e Morini porta allo scioglimento della “FBM”.
Vittorio Minarelli rimane a Via Ghisiliera a Bologna, Morini se ne va a Zola Predosa ma resta fornitore del duo Bianchi e Tosi. Nel frattempo la FBM era però cresciuta (e con lei anche i due geni della motoristica italiana generalista) soprattutto grazie alle commesse di BETA che in breve era diventato il maggior Cliente della fabbrica.
E per far fronte alla maggior richiesta commerciale, ai primi anni Sessanta Enzo Bianchi sposta la Sede industriale dalla storica via Bellariva ad Osmannoro.
Arriva la seconda “mazzata” per la B.E.T.A. dopo la chiusura della FBM: l’alluvione dell’Arno invade parte dei Capannoni e dei Magazzini, e si “porta via” un pezzo di nuova catena di montaggio e della logistica di una nuova Gamma di motori fatti in casa.
Dissidi, crisi, alluvione: Betamotor supera ostacoli, nella vita ed in Gara!
Nuovo trasferimento a Rignano sull’Arno e nuova denominazione per l’Azienda insieme alla trasformazione societaria: Betamotor Bianchi S.a.s diventa “Betamotor SpA”, con quasi 120 dipendenti ed un buon inizio di rete commerciale e di Service.
E’ il 28 Dicembre del 1970 e Beta a questo punto deve chiedersi “cosa fare da grande”.
E’ il mercato a forzare le risposte che tuttavia derivano anche da un raro e prezioso senso della ragione e della misura, oltre che da una sana lungimiranza: doti rare in quel periodo tra i Marchi di moto nazionali.
L’Europa è nel bel mezzo di una offensiva commerciale da parte dei Costruttori giapponesi, che hanno azzerato la presenza britannica e cominciano a premere sul mercato nazionale: la debole murata svolta da super dazi e da listini importanti non può bastare. Nel contempo l’Europa motociclistica ha trovato una nuova primavera nel fuoristrada: le Gare di Regolarità come la “Six Days” e l’italiana “Valli bergamasche” richiamano un fiume di appassionati e potenziali Clienti.
Ed a differenza del Motocross, categoria a sua volta di grande richiamo pubblico, brillano per la rarefatta presenza dei quattro Marchi nipponici; motivo collaterale, insieme alla differenziazione in Classi particolarmente favorevole alle piccole cilindrate, che ha riportato sui campi di Gara i Costruttori tedeschi.
Ma l’Offroad offre anche una Categoria apparentemente di nicchia che tuttavia, anche grazie alla presenza mediatica della TV, estende il suo fascino oltre i vecchi confini montani e boschivi. E’ il Trial, il nuovo Sport popolare. E Rignano sull’Arno, lo Stabilimento, si dota di una Pista di prova in fuoristrada. Tutto questo nell’azione di un solo giovane Marchio, la Betamotor. Sembra di raccontare le imprese di un roccioso marchio tedesco o spagnolo, ma siamo vicino a Firenze.
La “Enduro 125” del 1972 inaugura questo nuovo filone di Betamotor: completamente “Homemade” si offre al mercato stradale “Premium” degli adolescenti in vena di “Academy” per le Gare. In effetti Beta prende spunto proprio dalla “Guazzoni” nel un filone di “Speciali Targate” che sarà poi seguito da Ancillotti, Testi, Gori, Fantic sulle versioni fuoristrada. Ma la “Enduro 125” non è per tutti: 18 Cv per una ottavo di litro oltre mezzo secolo fa, sono roba da Competizione.
La Gamma da Cross “CR” nelle classi 125 e 250 inizia nel 1973 e debutta in una Stagione intera di Mondiale; la “CR 500” invece arriva al Mondiale nel 1976 ma Betamotor in questo rappresenta la prima moto italiana di sempre a partecipare alla Classe Regina del Motocross.
Tra i nomi celebri del Cross ci sono Michele Rinaldi che muove i suoi primi passi agonistici con la CR 125 nel 1976; ma anche un vero idolo come Jim Pomeroy ed altri grandi del passato come Gilbert De Roover, Ivano Bessone e Jeremy Van Horebeek.
Jim Pomeroy è tra loro la storia iconica di Betamotor
Mondiale Cross Classe 500 cc.: Italo Forni (Gruppo Sportivo Fiamme Oro) e Jim fanno parte del Team BETA.
Pomeroy arrivato dal Campionato AMA è il primo americano a vincere una Gara Iridata, nella Classe 250 con la Bultaco. E lo fa alla prima sua Gara mondiale.
Ma nel 1979 la Bultaco entra in crisi aziendale e ritira la sua partecipazione dalle Gare: a questo punto Jim accetta la sfida offerta dalla chiamata di Firenze, e diventa ufficiale Beta. Una delle tante storie magiche di questo marchio.
Ovviamente la capacità manifatturiera di Betamotor, la fantasia e la qualità dei mezzi estende la serie “CR” al mondo della Regolarità: poche modifiche essenziali e nascono le “GS”…….Già, proprio questa sigla.
Di fatto le prime europee da Enduro dedicate nascono a Firenze, non a Monaco di Baviera. E la “GS 250” del 1974 – che partecipa al Six Days ed al Valli Bergamasche – è la prima moto tutta italiana a partecipare alla Regolarità Internazionale sopra i 175 cc.
Betamotor approda al Trial: pagine di leggenda e passione
Al Cross ed alla Regolarità si aggiunge appunto la specialità del Trial dalla fine degli anni Ottanta; ma occorre generare liquidità supplementare con un occhio verso il mercato stradale. I “Cinquantini” sono una via facilmente percorribile per acquisire i giovanissimi, ed ecco che verso la fine degli anni Settanta Betamotor lancia i suoi primi cicolomotori: “Mio” ed “M5 Speciale”. Tuttavia è la categoria “Trial” che lancia una nuova immagine globale del Marchio. Chi crede che sia stato facile e “comodo” presidiare settori sportivi di nicchia ovviamente cade in errore: La ristretta serie di Costruttori dedicata al Trial non deriva dal disinteresse quanto dalla capacità di esserci in base agli Skills.
Betamotor azzecca da subito sia il prodotto, sia l’Organizzazione Sportiva sia la piattaforma di sviluppo con modelli, versioni ed aggiornamenti spesso in grado di “scompaginare” la concorrenza.
Presenziare settori specialistici permette alla Casa di raffinare il repertorio dei suoi fornitori, di definire un “Branding” qualificato e differenziato, ed infine di sviluppare Know How; senza dimenticare che l’attività sportiva fa da banco di prova per la produzione di serie, ed infatti le “Betamotor” stradali sono da sempre rinomate per qualità e dotazione tecnica.
Ovviamente “chi vince la Domenica ha tanta pubblicità”, diceva Enzo Ferrari: le “BETA” vincenti nel Trial sono spot gratuiti rilanciati da Riviste e programmi TV di approfondimento e diffondono l’immagine vincente e prestigiosa di un Marchio europeo e nazionale in mezzo alla marea di trofei e vittorie delle Case giapponesi.
Ed infatti grazie al Palmares, alla qualità ed alla immagine di prodotto “Made in Italy” la produzione che parte da Firenze finisce per oltre i due terzi all’estero, permettendo alla Betamotor di superare la crisi commerciale che da metà anni Ottanta ha colpito le Industrie nazionali, e di superare la crisi di immagine e di svalutazione che dagli anni Novanta ha colpito tutto il Paese.
Con un centinaio di Titoli vinti in diverse Nazioni ed una buona ventina di Titoli Iridati il palmares della Betamotor ne fa una eccellenza nazionale ed una delle Case italiane più titolate al Mondo.
Sembra strano pensare che possa essere costantemente fuori dal “radar” della comunicazione “di massa”. Ma nel Trial questa Azienda è considerata a ragione uno dei Marchi “sacri” di settore, con nomi leggendari quali quelli dei pluricampioni Jordi Tarres e Dougie Lampkin sullo sfondo.
Ossa, Scorpa, Montesa, e poi Gas-Gas: il blocco della concorrenza spagnola, oltre a quella casalinga di Fantic Motor e per un po’ anche di Aprilia. Eppure Betamotor rimane la Regina tricolore della specialità trial ed una delle più titolate in assoluto.
Rimangono celebri le Serie “TR” che partono dalla “240” del 1983 (2T da 125 e 200 cc.) e proseguono con le “32”, “33”,”34” e “35” fino ai 260 cc. della fine del decennio ’80.
Ma sono da menzione anche le serie “Zero” con il telaio che funge da serbatoio, ed altre chicche sintomo della continua ricerca dell’eccellenza.
Ed arriviamo ai tempi “recenti” con la Gamma “Rev” ed oggi con le “EVO” Trial.
Ovviamente la produzione di serie non viene trascurata: la Gamma entry level degli Scooter accompagna la nuova linea delle “crossover” ante litteram.
Il futuro ha radici più solide, quando rispetta il suo passato
Arrivano le “Euro” e Jonatan, medie cilindrate a metà stradale e Custom; poi nasce la serie “Alp”, modelli che mettono insieme la snellezza di una Trial con la flessibilità di una Enduro. Senza saperlo – forse – Betamotor crea un nuovo segmento di mercato.
E con un nuovo impegno si inaugura il centenario di BETA. Nel 2004 si apre il nuovo capitolo per il settore off-road: le Partnership tecniche con Suzuki e KTM non tolgono spazio alla produzione casalinga di motori per il Trial.
Ma i motori 4 Tempi KTM sono il supporto più adatto per il ritorno all’Enduro e per ricominciare da vincente, proseguendo con la gamma propria di 4 Tempi dal 2009 e di 2 Tempi dal 2012.
Ripercorrere la Betamotor oggi e rimarcarne il carattere vincente è esercizio persino facile, dato che ormai è un Marchio specializzato ed apprezzato in tutto il mondo: rimanendo tuttavia un Costruttore di Target specifici nello Sport e nel mercato stradale, Beta non ha bisogno di percussione mediatica o di pubblicità.
Il suo mercato è solido ed in crescita, la salute del Marchio è ottima e la guida familiare storica dei Bianchi è mantenuta con l’ingresso progressivo delle nuove generazioni.
Ricordare cosa è stata Betamotor fino a ieri invece è un atto dovuto: i Costruttori europei che in un quarto di secolo tra il 1975 ed il 2000 potevano iscriversi in un Albo d’Oro motociclistico iridato si contavano sulle dita di tre mani; quelle che arrivavano a vincere “Classiche” o Titoli Stagionali rimanevano su una mano e mezza.
Ma provate a contare le Case europee – ed esclusi i tedeschi – che dal 1975 ad oggi hanno vinto più di cinque titoli Mondiali in Off-road “esteso (Motocross, Regolarità/Enduro, Trial). Ecco, tra queste pochissime rimaste in elenco c’è la Betamotor, ancora fortissima, attiva ed appassionata.
E dunque c’è l’Italia; che nel frattempo, purtroppo, è cambiata. E non in meglio: siamo lontani secoli da quel milione e mezzo (record storico) di volume produttivo a fine anni Ottanta. Ma Betamotor resiste. E resta italiana.
Buon centoventesimo compleanno, da quella gloriosa officinetta “Giuseppe Bianchi-Firenze” ad oggi. 120 anni, 100% Made in Italy, e fatta della stessa materia di cui sono fatti i bei sogni.
Complimenti, Betamotor.
Riccardo Bellumori