Quando parliamo di storia dell’auto tedesca, io userei a proposito la parola “Schicksal” (fato): sembra davvero un destino predeterminato quello tra i tedeschi e l’auto, con mille cadute e tragedie seguite comunque da rinascite incredibili e storie leggendarie che – riflessione del tutto personale – sono purtroppo macchiate gravemente dall’epopea prebellica e dei due conflitti mondiali nei quali l’esaltazione di quel popolo ha generato orrori che non possono purtroppo essere negati od omessi.
Anche vero tuttavia che i principali brevetti e protocolli tecnici in uso ancora oggi sono frutto di menti tedesche (Diesel, Otto, Benz, Wankel, mentre in tema elettrico persino Ferdinand Porsche fu tra i precursori del filone con la sua prima auto elettrica “P1” nel 1898) come sono in “coabitazione” tedesca e cecoslovacca le teorie fondamentali – fin dall’anteguerra – in tema di aerodinamica a quattro ruote; ma nella mia personale “disistima” oltre all’orrore bellico la Germania sconta anche l’excursus in “grigioscuro” che partendo dalla strategia del cosidetto “Marco forte” e della riunificazione di inizio anni ’90 ha dato vita ad un percorso (a mio avviso poco entusiasmante) che rappresenterei benissimo con “Il crepuscolo degli Dei” di Richard Wagner o con la filastrocca che ha reso famoso Martin Niemoller.
Inferno e ritorno, storia dell’auto tedesca
Ma il destino tedesco ha fatto i conti, suo malgrado, anche con la “legge del contrappasso”, a causa dell’inferno che ha investito quel popolo nell’immediato Dopoguerra, quale effetto di quel che esso stesso ha restituito nella sua guerra all’Europa: e mentre il nuovo mondo di Yalta divideva il Paese in due dal 1945 e lo perimetrava in diverse zone di occupazione (con gli Alleati che operarono sistematicamente il sequestro di risorse produttive e di Know How tecnologico, lo sfruttamento lavorativo di migliaia di ex “SS” e soldati prigionieri di guerra, e la confisca di patrimoni ai civili tedeschi cacciati via dalla Polonia e dall’Urss), contemporaneamente il Governo federale e la Banca Centrale nel Giugno del 1948 obbligavano la popolazione a cambiare tutti i propri depositi e disponibilità di vecchi Marchi con un nuovo conio imponendogli contestualmente tuttavia di “ripagare” il 90% del Debito Pubblico interno (lasciando così nelle Casse federali una fetta enorme di risparmi e patrimoni personali).
Ecco, questo direi è l’ulteriore esempio di una capacità da riconoscere ai tedeschi nell’aver saputo sopravvivere a questo inferno, al quale l’Accordo di Londra – LDA – London Debt Agreement) – del 1953 (con le potenze vincitrici del secondo conflitto mondiale guidate dagli Stati Uniti disponibili a ristrutturare il debito tedesco) fornì in questo solo un pur minimo respiro: respiro che venne concesso anche alla Volkswagen nel Giugno 1945 (grazie all’amministrazione fiduciaria inglese) diventando un Marchio autonomo dall’ex Ministero del Lavoro nazista e riprendendo la produzione e vendita del “Maggiolino” ex Kaferwagen.
Il mercato auto nazionale in quel periodo di austerità risponde facendo piovere sulle strade una serie di piccole motorette ed auto fino a 250/400 cc. a due tempi, ed in questa cornice ci sono un Marchio automobilistico ed un uomo che, senza saperlo, vivono due percorsi paralleli ed a distanza che sono destinati (Schicksal) a riunirsi: questa è la storia di BMW e di Claus Luthe, un genio quasi sconosciuto della storia del Design a Monaco di Baviera.
Quando Luthe nasce (l’8 dicembre 1932 a Wuppertal, nel distretto tedesco della Renania) la BMW ha appena chiuso la produzione su licenza della “Austin Seven” (rilevata dalla “Dixi” di Eisenach, che aveva comprato nel 1923 come risorsa industriale dopo il divieto di produzione “Core” – cioè la tecnologia aeronautica – deciso a Versailles); la Casa bavarese nel secondo Dopoguerra si vede ripetere il vecchio divieto, ma peggio di questo nel 1945 arriva la crisi produttiva, con l’impianto di Monaco bombardato e quello di Eisenach espropriato dai russi perchè appartenente al territorio orientale della ex DDR.
Il Dopoguerra di BMW : pentole e casseruole
La Russia è crudele purtroppo anche con il piccolo Claus, portandogli via il papà (arruolato nella Wehrmacht e colpito a morte dall’Armata Rossa nel 1944); e nel 1948, quando il Marchio bavarese apre una guerra legale contro i sovietici (che senza alcuna autorizzazione faranno uscire fino al 1952 da Eisenach modelli marchiati “BMW” come la “340”) Claus Luthe ha appena iniziato un apprendistato presso un carrozziere che realizza autobus, l’artigiano “Voll” di Wurzburg.
E quando i russi, nel 1952, interrompono l’uso abusivo del Marchio “BMW” ad Eisenach (rimanendo tuttavia gli occupanti dei territori del compositore Bach e del Castello di Wartburg che imprigionò Lutero) Claus sta per entrare in “Deutsche Fiat – Neckar” dove parteciperà al disegno del frontale della “Nuova 500” : nel frattempo a Monaco di Baviera sono appena ripartiti da zero nel settore Auto, dopo aver prodotto pentolame, attrezzi agricoli, lamiere per prefabbricati oltre a biciclette e linea di motociclette economiche; potremmo chiamarlo il famoso “contrappasso” (a sua volta) per aver sfruttato ben 6500 prigionieri dei cosidetti “Sottocampi” di Buchenwald o Dachau (Abteroda, Neunkrchen, Munchen Allach) in attività industriali belliche di appoggio al Governo Nazista.
Ma, riflessione a parte, il ritorno di BMW alla produzione automobilistica avviene nel modo più sbagliato dal punto di vista strategico (visto il periodo di crisi economica) perché la nuova Gamma delle “501/502” – soprannominate non a caso anche “Baroque Angels” – troppo lussuosa e pretenziosa per l’epoca, si dimostra un flop (vengono prodotte in meno di 50 unità a settimana, tanto per farvi capire il livello di insuccesso) ed imbarcano il Marchio in una crisi alla quale non basta rispondere con ben tre “armi” successive ed oggettivamente azzeccatissime: partendo dalle “503” e “507 Coupè/Spider” disegnate da Albrecht von Goertz (personaggio leggendario, che da nobile ed agiato bancario di Brunkensen, trasferendosi a Londra e poi negli Usa ha il colpo di fulmine con le “Studebaker “ di Loewy, ed apre un Atelier di Stile Auto dimostrando tutto il suo genio); ma poi, per poter approdare nel mercato ultra economico (già dominato da “Messerschmidt” ed “Hans Glas – Goggomobil”) arriva anche la famosa “Isetta” scoperta da C.A. Drenowatz (importatore svizzero di BMW) allo Stand “Iso Rivolta” presente nel Salone di Ginevra del 1954.
Purtuttavia anche se i tre modelli sopradetti riscontrano il favore del pubblico, il fiasco delle “Baroque Angels” fa ritornare BMW nel Dicembre del 1959 sull’orlo della bancarotta, e solo l’opposizione dei piccoli azionisti blocca la vendita alla Daimler Benz AG (che aveva già rilevato 5 anni prima DKW – Auto Union) aprendo la stagione del celebre Herbert Quandt (appena scarcerato dopo le accuse di filonazismo del 1946) che salva BMW con un piano di rilancio acquisendo fino al 50% del pacchetto azionario del Marchio di Monaco.
Giovanni, Nuccio, Paul, Claus :lo stile “poliglotta” di Monaco.
E siamo già dunque nell’epoca in cui Claus Luthe vive la trasformazione della Neckar in NSU per la quale disegna la sua prima opera intera, la “Prinz IV” con cui si consuma il suo primo scontro a distanza con la BMW e con Giovanni Michelotti (che all’epoca ne è Capo Designer) : “colpa” involontaria del mago Nuccio Bertone e del suo Staff creativo (che comprende già all’epoca Giorgetto Giugiaro), il problema è che la “NSU” prima versione di Luthe è affine al prototipo “Sport Coupè Biposto” del 1959 concepito a Grugliasco; ma a sua volta la “vicinanza” culturale tra Bertone e Michelotti (sotto l’aspetto dei canoni e delle esperienze professionali) ha indubbiamente spinto quest’ultimo a definire per la sua “BMW 700” un chiaro e lineare esempio di quell’ “Italian Style” che all’epoca prevedeva linee tese, fari rotondi e profilo laterale pulito ed essenziale; motivo per cui anche se involontaria la similitudine tra le due opere è imbarazzante al punto che NSU chiede a Luthe di inventare qualcos’altro per la futura “Prinz IV”, ed il geniale tedesco inventerà quella forma famosa ed ispirata in effetti alla “Chevrolet Corvair”(straordinario esercizio, visto che la Prinz riprende il taglio della statunitense lunga almeno un metro e mezzo in più).
Di fatto il mago Bertone farà da “ponte” ideale tra Claus Luthe e Giovanni Michelotti in BMW attraverso due modelli speciali: la “3200 CS V8” del 1964 con cui Bertone evolve la ricerca formale iniziata dal suo collega torinese; e la Concept “Garmish” del 1970, che fornirà spunti importanti per la nuova filosofia di stile che parte da inizio anni ’70 sotto la guida di Paul Bracq.
Chiaramente l’evoluzione stilistica di BMW nell’arco temporale che va da metà anni ’60 al decennio 1970 vive anche del contributo prezioso di altri “mostri sacri” del Design, che il Marchio di Monaco di Baviera ha avuto la fortuna di incontrare: primo fra tutti un altro genio dello stile come Wilhem Hofmeister, artefice dal 1961 del celebre “Kink” del finestrino posteriore, come va ricordato anche dal 1964 Pietro Frua (proveniente dalla “Hans Glas”) che a sua volta battezza per il Marchio bavarese due realizzazioni ugualmente iconiche.
Ma non c’è dubbio che il “Deus ex Machina” di Monaco della “prima ora” è proprio il geniale Michelotti che guida negli anni Sessanta lo stile della ripartenza di BMW (il restyling di “Isetta”, le nuove linee “700” e “Neue Klasse” berline e coupé): a proposito della “Neue Klasse” (da cui la BMW era assente fin dalla 303 nel 1933), questo programma guidato da Fritz Fiedler prevedeva Eberhard Wolff responsabile del design del telaio, Wilhelm Hofmeister responsabile dello stile e dell’ingegneria della carrozzeria e Alex von Falkenhausen responsabile del design del motore: il prototipo capostipite fu presentato nel settembre 1961 al Salone di Francoforte (la “1500” berlina a quattro porte) accanto alla BMW 3200 CS, l’ultima con il V8 OHV.
Così come Michelotti ha segnato un’epoca in BMW, allo stesso modo il Deus ex Machina unico di NSU è stato Claus Luthe, che chiuderà la sua esperienza straordinaria con questo Marchio attraverso la “Ro80” Wankel : linea straordinaria, concetti modernissimi, ed un ambito riconoscimento di “Auto dell’Anno”, ma nulla di tutto ciò purtroppo sarà sufficiente ad evitare il crollo commerciale a causa del disastroso motore Wankel.
E questo mi dà l’occasione, lo spunto, per descrivere un altro “destino parallelo” tra la storia di Luthe e quella di BMW, seppure in questo caso si tratta di un racconto a sfondo “giallo”: nello stesso periodo (fascia temporale tra il 1960 ed il 1970) il mondo dell’Auto tedesca consuma i tre più importanti (e controversi) fallimenti con NSU, Hans Glas e Borgward, forse i tre Marchi Costruttori più innovativi e dirompenti sul mercato auto tedesco dell’epoca, dal cui sacrificio tuttavia deriverà il successo storico di BMW ed Audi : come mai?
Il crollo e la fine della NSU – acquisita dal Gruppo Volkswagen – trova una causa innegabile nel default commerciale del motore Wankel, come è chiaro che VW ha inteso – con pieno diritto – spingere il nuovo Brand “Audi” nel mercato del lusso sacrificando la fascia alta della Gamma NSU. Più difficile forse accettare che VW abbia cessato questo Marchio anche nel target popolare dove stava andando davvero bene, ma va dato atto a Wolfsburg di aver comunque tenuto in vita la “Prinz IV” fino alla seconda metà degli anni ’70, periodo dopo il quale in effetti l’obsolescenza del prodotto ne avrebbe in ogni caso – giocoforza – tagliato i numeri di vendita.
Goggomobil, Borgward, NSU: la caduta delle Dee
Mentre la scomparsa della Borgward” nel 1961 e l’acquisizione della “odiata” Hans Glas – Goggomobil con i suoi brevetti, lo Stabilimento di Dingolfing e i siti in Sudamerica sono una vicenda decisamente poco “edificante” e dubbia in capo a BMW per quel che si è tirata dietro, e vale la pena ricordare in questo spazio quanto accaduto: personaggio centrale dell’ “Affaire Borgward” (questo è il titolo di un film-fiction TV sulla scomparsa della casa automobilistica tedesca, trasmesso per la prima volta nel gennaio 2019 in Germania e basato sulla ipotesi appunto di una specie di golpe politico) è Johannes Semlerche nel 1961 determinò la scomparsa dell’intero Gruppo (Lloyd, Hansa, Goliath e Borgward) con i suoi 23.000 operai, i suoi siti produttivi ed i progetti super-innovativi.
La questione non è soltanto un passatempo per complottisti “Vintage” perchè Borgward (che per risultati commerciali in Germania ballava tra secondo e terzo Gruppo auto dell’epoca) era decisamente in salute sotto l’aspetto delle vendite e della qualità costruttiva; ma la recessione del mercato americano aveva creato purtroppo un crollo di Cashflow per il quale il Patron Wilhem Borgward aveva già chiesto solo una semplice Garanzia pubblica su 30 milioni di Marchi chiesti in prestito, rifiutando nello stesso tempo una offerta di acquisto di Chrysler nel 1958 di ben 200 milioni di Marchi: significa in cifre che il valore di mercato del Gruppo era all’epoca superiore di 15 volte il prestito richiesto…..Il “trucchetto” del Governo di Brema fu in ogni caso quello di concedere e poi ritirare le garanzie dopo la pubblicazione di un infuocato articolo – molto costruito ad arte – dell’influente “Der Spiegel” contro Wilhem Borgward che fu costretto – per evitare procedure fallimentari ed il blocco delle forniture – a cedere al Governo di Brema il controllo del Gruppo si aprivano così “praterie” per il nuovo “ Insolvenzverwalter Avvocato” Semler (già Presidente da Febbraio 1960 del Consiglio di Sorveglianza di BMW dove insieme a Quandt ne aveva evitato la Bancarotta) che fu nominato dal Senato non per liquidare ma per risanare il Gruppo nazionalizzato come “Borgward Werke AG” il 10 Febbraio 1961, per cui la messa in liquidazione dal 28 Luglio 1961 – quasi contraria all’esercizio del mandato senatoriale – condannò inesorabilmente la Borgward anche bloccando sia un’opzione di riacquisto del Gruppo da parte di Patron Wilhem sia un tentativo di acquisizione di British Motor Corporation.
A questo punto sparivano, con Borgward ed “Herr Wilhem” non solo un Marchio diretto concorrente di BMW, e non solo anche un forte sostenitore della CDU avversaria del Partito Socialista di Semler e della maggioranza del Senato di Brema; ma guarda caso spariva, con la vendutissima “Isabella”, la più diretta e temibile concorrente delle “Neue Klasse” di Monaco.
L’ipotesi non peregrina del “complotto” (visto che Borgward dimostrò la sua solvibilità riuscendo a saldare tutti i creditori) portò nel tempo allo “scontro” tra “filo-Bmw “ e “filo-Borgward” con questi ultimi che coniarono ironicamente la sigla “BMW – Borgward Macht Weiter” (Borgward continua ancora) !!!”
Ed in molti ancora oggi ritrovano – incroci del destino – un percorso comune tra B.M.C., Bmw e Borgward ricordando il fallimento di MG Rover del 2005.
Un’altra “desaparecida” per mano bavarese fu la “Hans Glas Goggomobil” che nel 1958 fu addirittura sollecitata ad acquisire la BMW – all’epoca quasi in bancarotta, come ricordiamo – dal Governo del Distretto di Niederbayern (Bassa Baviera) al fine di impedirne “il travaso” al territorio di Stoccarda con la Daimler Mercedes; persa l’occasione di ingrandirsi “alle spalle” del Marchio di Monaco, Hans Glas tuttavia subì la inesorabile “legge del contrappasso”: vittima di un cronico limite di cassa (ogni utile era reinvestito in Brevetti, R&D, produzione) Hans Glas si trovò a cercare accordi di sopravvivenza con Ford Colonia, con Volkswagen e alla fine con BMW (da cui fu acquisita il 10 Dicembre del 1966 per un tozzo di pane, una semplice garanzia del Distretto di Baviera su un prestito di 50 milioni di Marchi).
Dunque, mentre a Monaco di Baviera finirono l’impianto di Dingolfin ed un patrimonio ingegneristico e di brevetti unico al mondo, la “Hans Glas “ fu chiusa ad Ottobre 1967 nonostante la “contaminazione” di Glas dentro BMW fosse palese con la “BMW 1600 GT” ispirata alle Glas “1300 GT”, oppure il V8 3000 BMW parente del V8 della celebre “Glaserati”.
Per NSU invece il destino fu scritto dall’ostinazione del Marchio sul Wankel, che nonostante addirittura l’avvio di un Consorzio con Citroen fu una vera iattura ed una emorragia finanziaria: nel 1969 l’Azienda in crisi fu rilevata da Volkswagen / Audi e l’ottimo Luthe divenne parte dello Staff tecnico di Wolrsburg su precisa volontà del management che ritenne di non poter fare a meno di un simile talento.
La bavarese al Cointreau: l’azzardato incontro tra Bracq e la BMW
E’ arrivato il 1970, e nel frattempo si materializza un cambio epocale al timone dello Stile di BMW: il geniale Michelotti cede il “ponte di comando” al francese Paul Bracq (papà di Mercedes “Pagoda” e “600”) che segna una svolta a cominciare dalla “E12” del 1972, anche se nel 1967 – lavorando però con l’Atelier “Brissoneau & Lotz” – si era già impegnato su una Coupè “1600 Ti” rimasta allo stadio di prototipo: dal 1970 Paul Bracq – come capo design BMW fino al 1974 – rappresenta per Monaco di Baviera il primo passo “inconfessabile” di avvicinamento al blasone della Stella di Stoccarda, anche se Bracq si sbizzarrisce in una creatività “cross-over” tra target di mercato diversi che comprendono “quasi Ammiraglie” (Serie 5 e 7), “pure Sports” come la 2002 Turbo, medie serie come la “3 E21”, la elitaria Serie “6” coupé, ed ha progettato anche il prototipo E25 Turbo nella cornice delle Olimpiadi di Monaco del 1972 (quelle colpite dall’orrore terroristico), nella cornice delle quali BMW realizza una concept davvero “lunare” propedeutica al layout della successiva “M1” e a sua volta celebrativa del nuovo Quartier generale delle quattro Torri a Monaco.
In quel periodo Luthe lavorando con Audi è fautore della “50”, degli interni della Seconda Serie di “100” ma soprattutto definisce l’architettura base della essenziale e straordinaria “80” Seconda Serie, poi dettagliata e personalizzata da Giorgetto Giugiaro: la fama ed il clamore riservatigli dalla “Ro80” si accompagnano alla definizione di uno stile personale che Luthe stesso definisce “Die Keilform” (il cuneo), mentre il genio tedesco opera persino una “trasfusione” consentendo a Volkswagen di importare nella sua Gamma la “K70” originariamente pensata per NSU; tuttavia nonostante un curriculum invidiabile anche al servizio di Ingolstadt, diciamo che la passione con VW non sbocciò mai, e quando Hofmeister chiamò in BMW Luthe (incontrato al Salone di Ginevra del ’75) il divorzio fu inesorabile: arriva il momento in cui i destini tra BMW e Luthe si incrociano fino a sovrapporsi, perchè Paul Bracq, il geniale francese, alla fine del 1974 ha ormai smesso di gustare la birra di Monaco per tornare sul classico “Noyau de Poissy” di casa Peugeot.
Luthe riceve da Monaco una proposta professionale interessante ed un forte potere, potendo addirittura reclutare mezzi e nuovi collaboratori nel Centro Stile: Boyke Boyer da Ford, Hans Braun da Porsche, Klaus Kapitza, Klaus Gevert, Wolfgang Kilian, per un totale di almeno 40 nuovi innesti promossi da Luthe ed affiancati ai professionisti già inseriti come Manfred Rennen. Tuttavia la “trasfusione” dei nuovi concetti è graduale: superare il lavoro di Bracq non è una passeggiata, il francese ha condensato in pochi anni l’opera creativa di Bertone con la “serie 5 E12” e “Serie 7 E23”, di Michelotti per l’emblematica “Serie 6 E24” (fin troppo figlia della “E9” del genio torinese) e persino di Frua; tuttavia lo ha fatto infondendovi una nuova personalità iconica, con la vera e propria “stella polare “ del Design di quella fase storica (cui l’identità di BMW si lega a doppia mandata) che rimane la personalissima e coraggiosa Serie 3 “E21” rimasta in trincea dal 10 Settembre del 1975 al 1983 e che verrà prodotta in oltre 1.300.000 pezzi: è la prima famiglia di prodotto di Monaco (in ordine cronologico) a raggiungere per superare il fatidico “milione” di pezzi prodotti.
Dunque il testimone preso in carico da Luthe è tutt’altro che semplice, eppure il tempo (sempre galantuomo con chi merita) dimostrerà che Claus Luthe è davvero il “Guru” della BMW che cristallizza ed impone il suo Standard ed il suo posizionamento nel periodo storico di maggior concorrenza e antagonismo commerciale tra Marchi Auto in Europa e mondo occidentale.
Ecco perchè lo stile di Luthe rappresentato da “Serie 3 E 30 – E 36”; “Serie 5 E 28 – E 34”; “Serie 7 E 32”, ed infine “Serie 8 E 31” incontra largamente il favore di una platea più vasta di estimatori, perchè traghetta il Marchio bavarese oltre i suoi confini predefiniti senza diluirne la personalità marcata. Le sfide di Luthe? Epocali, e ben più impegnative di quelle dei suoi predecessori: il mercato anni Settanta / Ottanta comincia a diventare molto rigido nelle sue “targetizzazioni”, delle quali faranno le spese (lo abbiamo scritto in altri Articoli) soprattutto Citroen, Talbot e Saab ma anche altri. Il pubblico è in cerca continua della novità e della ricercatezza formale, ma non perdona soprattutto tre cose: la mancanza di “Family Feeling” tra diversi modelli di uno stesso Marchio, la assenza di “Qualità tangibile” nell’auto in vendita (parlo soprattutto della qualità costruttiva apparente dalla struttura esterna, dagli accessori e dalle rifiniture della carrozzeria) ed infine non è disposta a sacrificare nulla del nuovo desiderio di “Status” rispetto ad una maggior personalità ed alternatività della propria auto.
Proprio il “Family feeling” (la capacità di ridondare in ogni modello di Gamma, senza cadere nel banale o nella ripetitività, elementi formali discriminanti e distintivi) fu il guanto di sfida che la maggior parte dei Costruttori si lanciò vicendevolmente. Intendiamoci, non che non fossero già state realizzate esperienze in tal senso (la Gamma pre-anni ’60 delle Fiat a motore posteriore, od alcune Peugeot, ed altro) ma difficilmente i Marchi avevano trasferito su ogni modello una visione di insieme integrata (distintiva, unitaria e di appartenenza): primi Profeti del “Family feeling” più estremo – nel periodo che va dalla seconda metà degli anni ’70 al decennio successivo – sono fondamentalmente tre Designer che in un modo o nell’altro si “sfiorano” anche professionalmente in quel periodo, cioè Claus Luthe, Bruno Sacco, Giorgetto Giugiaro.
Quello che in piu’ Claus Luthe ottiene per la BMW, in virtù del suo lavoro, è anche la possibilità per il Marchio bavarese di proiettarsi in segmenti più impegnativi con sfide dirette che prima di allora non erano mai state realmente volute: si veda il caso della “Serie 7 E 32” e della famosa e bellissima “E31 850”, anche grazie al sapiente tocco delle penne italiane (Giorgetto Giugiaro per la BMW M1 che ispira la “Serie 8” ed Ercole Spada che tra il 1976 ed il 1983 contribuisce allo stile della “E32 serie 7” e della “E34 serie 5”, l’auto che per la prima volta dopo la seconda guerra mondiale ha reso la BMW un forte concorrente della Mercedes).
E31 850: Money not Object, alla conquista del mondo
E30, E32, E34 e successivamente E36, nonché lo stile di base di E38 e E39: in questa “BMW-pedia” Luthe è riuscito a continuare ciò che i suoi predecessori illustri hanno iniziato: tracciare il design BMW nei tempi moderni senza perdere il carattere individuale del marchio; egli stesso definì il suo stile “postmodernista”, e per completare idealmente la propria traccia Claus forse sentì solo l’esigenza di firmare la sua “fuoriserie” che accompagnasse idealmente la “2800 CS” di Michelotti ed Hofmeister, la “Serie 6” di Bracq e la “M1” di Giugiaro, ovvero un modello destinato a vivere in una sorta di “bolla spazio temporale” dove i canoni di mercato ed i formalismi di Gamma non possono entrare perché sembrerebbero eretici.
Ed è dunque un Giovedì tiepido di Settembre 1989 quel giorno 14 che anticipa il crollo del “Muro” più famoso della storia con un altro “muro” buttato giù al Salone di Francoforte: con la “E31 850i” BMW abbatte per sempre quello “sperone di roccia” che la divideva dalla Stoccarda di Mercedes, dalla Coventry di Jaguar e persino dalla Modena di Maserati e Ferrari.
E prima che il sole tramonti su quel 14 Settembre, la nuova “850” chiude il suo battesimo con i primi 5000 Clienti che la prenotano: un record, se si pensa ad un listino a quei tempi molto prossimo, in Italia ad esempio, ai 200 Milioni di vecchie Lire.
La E31 è un progetto elitario, dettato dalla filosofia “Money not object“, e sostenuto da un investimento stratosferico per l’epoca di1,5 miliardi di Marchi tedeschi: l’indizio discriminante del pianale condiviso con la nuova Serie “7” (e non con la “5” come per le precedenti “628/630” di Bracq) tradisce la volontà di BMW di puntare in alto e affiancare la concorrenza nel Target “F”, ma non tanto per le dimensioni (“850i” è persino più piccola della Serie 6 e della “SEC” Mercedes) quanto per le peculiarità qualitative e strutturali della piattaforma di origine, con un riscontro innegabile in termini di peso: tra le “Coupè-Cruiser” del periodo la bavarese è quella che dichiara il dislocamento più alto che supera persino di mezza tonnellata la progenitrice “635 Csi” e di 300 kg Jaguar, Mercedes e Porsche 928.
Non dimentichiamo tra l’altro che la Serie 7 che condivide la piattaforma con la 850 sarà a sua volta una berlina di superamento di frontiera nella Gamma BMW, visto che il mandato conferito anche a Luthe ed Ercole Spada era quello di spingersi alla concorrenza diretta con Mercedes W126.
Il motore 5000 V12 originario sarà affiancato da un 5 litri e mezzo e da un V8 4000 negli anni ’90, mentre nel 1992 arriva la versione 4WS con ruote posteriori sterzanti.
BMW 850i è la prima creatura di Monaco “fullCAD”, cioè interamente concepita in tutto il suo ciclo industriale attraverso l’ausilio computer-grafico questo ha tra l’altro permesso di definire da subito la perfetta integrazione di tutte le componenti meccaniche ed alcune peculiarità come l’assenza – anche ai fini torsionali – del montante centrale, che rende il taglio laterale dell’auto una vera opera d’arte formale in cui le linee tese e le muscolose nervature e rotondità si intersecano come in una sinfonia da spartito.
Per il suo disegno Claus Luthe viene affiancato da un giovane Kapitza, capo degli Studi di Stile “Exterior III” e “Forschung und Technik”, che nel 1993 guidò lo sviluppo della Z-13 ovvero “The Personal Car” (minuscola tre posti alimentata da un motore centrale a quattro cilindri); nello staff di Luthe ricordiamo anche, per altri progetti, l’onirico Harm Lagaay, disegnatore della Porsche 924 ed ideatore della BMW Z1, e Boyke Boyer (reclutato da Claus Luthe alla BMW per dirigere uno degli studi di design esterno) che ha collaborato nel Design della E36 serie 3 e della serie E38.
Dopo la sua ultima opera in BMW, la “E36” e l’intervento anche sulle linee della Serie “K” motociclistica, Luthe vive una ennesima tragedia che richiama purtroppo la drammaticità della sua infanzia e il famigerato “Schicksal” (fato): il primo dei quattro figli di Claus e Gertrude Luthe, il trentatreenne Ulrich, compone l’ennesimo violento litigio con il padre a causa della sua dipendenza da alcool e droga. In una dinamica poco chiara, nella quale l’avvocato di Luthe invocherà persino la legittima difesa dopo anni di abusi, Claus colpisce il figlio con un coltello da cucina. La tragedia costa una condanna di reclusione a 33 mesi, con l’estinzione della pena dopo circa metà tempo per varie revisioni processuali, valutazioni mediche e di buona condotta del detenuto.
Meritoriamente la Casa di Monaco si offrì subito di rinnovare il rapporto di collaborazione, tuttavia il povero Claus Luthe aveva vissuto l’ultima prova drammatica e non ne sarebbe più uscito: collaborò da esterno con BMW per quattro anni dal 1992 al 1996 poi, a 64 anni decise di ritirarsi a vita privata, salutandoci il 17 Marzo del 2008 ed oggi riposa nel Cimitero di Westfriedhof.
In BMW, parentesi “sciagurata” di Chris Bangle a parte (sciagurata secondo il mio punto di vista) decisero fin quanto possibile di proseguire il filone stilistico di Luthe, ad esempio con Wolfgang Rietzle che supervisionò il design della serie 5 E39 progettata da Nagashima.
Sulla “850” credo di poter dare gli ultimi due dati salienti: la sua commercializzazione fu avviata nel febbraio del 1990, ma le prime consegne si ebbero nel mese di maggio perché il successo fin dal suo esordio fu tale che le liste di attesa si allungarono in alcuni casi fino a ben tre anni. Purtroppo nel 1994 cominciarono a verificarsi anche i primi problemi di affidabilità per la E31, e in particolare per il V8 da 4 litri delle 840 Ci, non tanto per le versioni destinate al Vecchio Continente, quanto per quelle destinate invece al Nordamerica, dove veniva utilizzata una benzina contenente solfati dannosi per le canne cilindri dei V8 BMW.
La crisi nordamericana e la tagliola delle norme anti inquinamento portarono la “Serie 8 E31”ad uscire di produzione nel 1999. A mio avviso usciva a quel punto una delle BMW più belle di sempre.
Riccardo Bellumori