La leggenda di Fetonte è quella di un giovane che, saputo della madre Climene che il Re di Etiopia Merope era suo padre adottivo mentre invece era nato da una relazione della donna con il Dio Apollo, da quel giorno passava ore ad ammirare in cielo le evoluzioni e la bellezza del sacro “Carro del Sole” che era stato affidato al divino papà direttamente da Zeus; e desiderando a tal punto guidare quella meraviglia il ragazzo viaggiò fino in Scizia (tra la Persia e l’India) per raggiungere Apollo nella sua Reggia di avorio e smeraldo.
Ma il Dio, unico in grado di condurre i quattro poderosi e furibondi cavalli che sprigionando fiamme dalle narici rendevano il carro terribilmente pericoloso, cercò inutilmente di dissuadere quel figlio prediletto dal salirvi.
Non riuscendovi cedette alla debolezza degli affetti, ma quando stava per montare al fianco del figlio sul carro, un movimento sbagliato di Fetonte sulle redini fece partire di colpo i cavalli che senza la esperta guida del divino conduttore inesorabilmente cominciarono a volare come forsennati; ed il convoglio impazzito cominciò ad infiammare il cielo e a dissolvere le nuvole, arrivando poi talmente vicino alla Terra da incendiarla in un inferno di fumo nero e allora Zeus – alla vista di questo disastro – scagliò furente contro Fetonte un fulmine che lo incendiò e lo fece precipitare come morto: ma il figlio prediletto di Febo, che aveva a sua volta sangue divino, non morì e caduto nei pressi della odierna Val di Susa qui vi fondò una città misteriosa e leggendaria chiamata “Rama” (la cui simbologia, legata allo Stambecco, ne contrappose gli abitanti alla popolazione “celtico-ligure” dei Taurini che abitò per prima quella che fu inizialmente chiamata dai Romani “Iulia Augusta Taurinum” e che oggi è Torino).
E per salvare Fetonte dalle ire di Zeus le sorelle Naiadi ed il padre Merope ne organizzarono un finto funerale (con tanto di epitaffio) nei pressi della odierna “Fontana dei 12 Mesi” a Torino dove era invece caduto il rottame del carro carbonizzato: e in quel perimetro (dove oggi il Po e la Dora si incontrano vicino al Ponte Sassi) sono avvenute anche straordinarie vicende storiche che Vi racconto, perchè a più o meno 5 e 15 minuti di passeggiata dalla “Fontana dei 12 Mesi”, ha vissuto (in Corso Galileo Ferraris 73, nella principesca e storica Villa Federici) ed ha lavorato (Stabilimenti “Cisitalia Spa” di Corso Peschiera 251) il vero ed unico “Fetonte dell’Automotive”, Piero Dusio da Scurzolengo (Asti).
A lui pare proprio dedicato infatti lo struggente ed appassionato epitaffio che le Naiadi composero per Fetonte: “Se pur non riuscì nell’impresa di condurre il Carro divino, tuttavia cadde solo dopo aver osato molto” : Vi raccontiamo la storia meno conosciuta della pur poco conosciuta “Cisitalia” e del suo progetto più signficativo e misterioso, la “Sport Coupè Typ 370“.
Cisitalia: lo Stambecco che voleva volare
Torino dell’Auto nasce – con la meccanica, le ferrovie e la prima cinematografia – dal Brevetto piemontese di Barsanti e Matteucci depositato il 30 Dicembre del 1857 e poi con la prima auto costruita in uno Stabilimento italiano, la “Fabbrica Automobili Michele Lanza” nel 1898: e da 6 Marchi Costruttori nel 1910 la città passa a 32 Marchi più 19 Carrozzerie nel 1910 arrivando a ben 41 Costruttori alla fine degli anni ’20; non è insomma un caso se il “Carro del Sole” è caduto – secondo leggenda – proprio su Torino (città che io adoro e che mi rende orgoglioso di essere italiano) dove la storia dell’Auto non è solo leggendaria ma è anche divina e magica: si dice infatti che i resti del Carro abbiano regalato alle genti del luogo della caduta una sapienza divina.
E si, forse c’entra un po’ anche la sua natura “esoterica” (vertice del “triangolo della magia bianca” con Praga e Lione) ed “ufologica” (è anche Capitale del tema marziano, come sede dal 1964 della prima Rivista a tema, “Clypeus” del torinese Gianni Settimo), se Torino diventa anche il palcoscenico della stella del giovane Dusio (erede di una famiglia di industriali e commercianti di tessuti a Scurzolengo) che nel primo Dopoguerra ha abbandonato per un infortunio la passione per il calcio (ex centrocampista ala destra alla Juventus) iniziando quella di Pilota prima alle Mille Miglia come Privato, poi con la “Scuderia Subalpina” del Conte Della Chiesa, e fino al 1938 con le Maserati 6CM della sua stessa “Scuderia Torino”.
La Guerra in arrivo che ne fa uno dei principali fornitori del Regio Esercito (grazie anche alla amicizia con il potente Dirigente Juventino Annibale Ajmone Marsan) non gli impedisce di diventare anche Dirigente della Squadra bianconera tra il 1941 ed il 1947 – in uno straordinario accordo con la famiglia Agnelli (a sua volta eccezionalmente Sponsor del “Grande Toro” durante la Guerra) per salvare dal Fronte i giocatori delle due Squadre cittadine impiegandoli “fittiziamente” nell’industria bellica: infatti è per questo che (con le bombe alleate che cominciano a piovere su Torino già dal 12 Giugno del 1940) la leggenda granata Valentino Mazzola diventa un tornitore della Fiat ed il rivale juventino Carlo Parola (il simbolo degli Album Panini) uno degli operai di Dusio alla “Manifattura Bosco S.A.” e poi nel “Consorzio Industriale Sportivo Italia“.
Intanto (mentre sta trasferendo la sede Sociale di “Juventus O.S.A.” da Corso Marsiglia a Corso IV Novembre) Piero Dusio individua una bella palazzina industriale del 1910 (di proprietà della Ansaldo) al civico 251 di Corso Peschiera che colpita dalle bombe il 28 Novembre 1942 è stata ristrutturata dal Comune, e l’acquista nel 1944 mettendovi subito l’officina ciclistica dell’amico Lino Beltramo (che, colpevole di antifascismo, i repubblichini di Salò hanno appena sfrattato dalla sede storica di Via Lessona): ma già due anni dopo sulla facciata della palazzina di Corso Peschiera appaiono le insegne della “Cisitalia S.p.A” (Presidente Pietro Monateri, che nel 1930 era tra i fondatori della “Soc. An. Carrozzeria Pinin Farina”) nata l’8 Marzo del 1946, e comincia così la storia automobilistica dell’uomo che come Fetonte è salito sul suo carro mitologico, e condotto da cavalli (tedeschi) impazziti è precipitato, vittima però anche di sè stesso e della sua temerarietà e passione.
Cisitalia, la “monarchia illuminata” di Dusio
La storia di Cisitalia vive infatti della contrapposizione di un “uomo solo al comando” (il Presidente Monateri, pur ottimo manager, ha talmente tali e tanti incarichi che praticamente sarà del tutto assente dalle vicende aziendali) che pur circondatosi di collaboratori leggendari ne ha però trascurato i consigli più saggi e determinanti.
Il primo straordinario consigliere di Dusio è Piero Taruffi (chiamato dal 1943 a gestire il primo programma di Cisitalia) che inventa la geniale “D46” monoposto, prima auto con telaio a traliccio in tubi di concetto aeronautico, carrozzeria in alluminio delle Officine Motto, motore Fiat 1100 (e tante componenti derivate dalla serie per risparmiare) che sarà destinata a far ripartire le corse nel Dopoguerra; ed il papà della “D46” è un’altra leggenda che ha il nome di Dante Giacosa, il cui rapporto con Dusio dal 1944 (in parallelo al lavoro in Fiat) parrebbe l’ambientazione avventurosa e romantica di un film, se non fosse storia reale.
L’Ingegnere di Alba da solo meriterebbe una “fiction” biografica, perché ha segnato un’epoca di progressi e definizione industriale in Fiat e nel Paese: dopo aver perso i genitori tra il 1938 ed il ’39, la sua casa torinese di Via Cristoforo Colombo è stata bombardata nel 1942 e dimora di fortuna presso le “Ville Roddolo” a Moncalieri solo grazie alla Fiat (che acquisita la originaria clinica psichiatrica l’ha appena trasformata in un convalescenziario per i feriti di guerra); nel frattempo il 29 Marzo 1944 altre bombe devastano Mirafiori, per cui uscendo ogni giorno alle 17 dall’ufficio provvisorio nella scuola “Duca degli Abruzzi” Giacosa avrebbe tempo per poter svolgere un lavoro supplementare ma dovrebbe disporre di un alloggio a Torino: nessun problema per Piero Dusio che (trasferitosi nelle campagne di Asti) offre all’ Ingegnere nel contratto di accordo del 1945 anche camera, cucina, bagno, giardino bellissimo, due stanze uso ufficio e persino domestico e guardiano nella lussuosa residenza di Corso Ferraris ad appena 3 chilometri dagli uffici della “Duca degli Abruzzi”.
Purtroppo nel comodato, involontariamente, cade anche la vicinanza della Villa alla ignobile “Militar kommandanturen” al Civico 29 dello stesso Viale, con i nazisti che uscendo ogni giorno per razziare da Torino ogni risorsa e genere alimentare fanno spesso incursioni nella casa danneggiando o requisendo progetti e lavori in corso d’opera.
Le incursioni temerarie verso il povero Giacosa tuttavia non derivano solo dai tedeschi, ma anche a Corso Peschiera dove l’irrefrenabile ed esplosivo Dusio comincia a pretendere una pericolosa escalation programmatica: prima ancora di completare tutto il programma della “D46” arriva già la richiesta di una nuova “Coupè” biposto per la Mille Miglia del 1947; e quando questa è ancora allo stadio di progetto su carta e prototipo embrionale in Officina, ecco arrivare la richiesta di metterne in cantiere addirittura una produzione automobilistica di prestiglio (concorrente – per capirci – di Lancia, Alfa Romeo e dei Costruttori inglesi e francesi di alta Gamma), infine, quando l’unico “bancomat aziendale” è ancora solo la piccola “D46”, ad Ottobre del 1946 parte già la folle idea della “Grand Prix”.
Di fronte ad un “capo” che non capisce che oltre ai tanti capitali disponibili servono tempo, organizzazione commerciale, background e dotazione motoristica (oltre ad uno Stabilimento completo vista la serie di lavorazioni affidate all’esterno) Dante Giacosa decide inesorabilmente di lasciare – suo malgrado – Corso Peschiera; ma regala comunque a Dusio l’ultimo gesto di amicizia prima di inviare a lui e “p.c.” a Rambaldo Bruschi di FIAT la sua raccomandata di fine incarico perchè favorisce l’importante arrivo dell’Ingegner Giovanni Savonuzzi dalla Fiat nell’Agosto 1945 e con lui e Giorgio Giusti (vecchio amico di Dusio alla “Scuderia Subalpina”e boss della“Testadoro”) realizza l’embrione fondamentale della “202” raddoppiando il telaio della “D46” e creando una biposto a motore 1100 per i collaudi su strada rivestito con carrozzerie aerodinamiche da Rocco Motto, Garella e dalla Carrozzeria Colli.
Certo, per vedere le evoluzioni rimaste alla storia della “202” fino alla “GS Coupè” di Battista “pinin” Farina (quella esposta al “MOMA” di New York da un estasiato Alexander Drechsel) occorre attendere fino alla fine del 1947; ma tanto per farVi capire il rapporto di Dusio con i suoi soldi, nel premiare Alfredo Vignale per le già bellissime 202 MM“C” ed “S” elargisce a questo un compenso extra che gli consentirà di fondare nel 1948 la sua Carrozzeria in nome proprio.
Ma l “Carro del Sole” di Cisitalia sta ormai iniziando la sua corsa pazza e mortale, con quel famoso grido di battaglia di Dusio risuonato nella Sala Riunioni di Corso Peschiera verso Savonuzzi a Novembre 1946…..
“Ingegnere, mi rovino ma faccio la Grand Prix !!!”
Dusio ha già deciso che la Casa dello Stambecco deve partecipare alla nuova Formula 1 dal 1950, ed alla sua temerarietà contrastata come sempre dalle razionali e motivate obiezioni degli ottimi Consulenti tecnici (con Taruffi che propone di decidere solo dopo le valutazioni dell’Ingegner Carlo Gianini, esperto di settore, e con Giacosa totalmente contrario al progetto) si aggiunge purtroppo stavolta l’entusiasmo poco prudente di altri consiglieri come Tazio Nuvolari (che sogna solo di guidare una F1 alla soglia dei sessant’anni, costi quel che costi) e del neo addetto Stampa Corrado Millanta (giornalista sportivo e fotografo “freelancer” di Pontremoli, del tutto digiuno di gestione tecnica ed industriale).
In perfetta buona fede però il “disastro” lo combina Giovanni Savonuzzi (che a sua volta getterà la spugna e si dimetterà come Taruffi all’inizio del 1948) che prova a smontare il suo capo esortandolo a mettere sotto contratto esclusivamente i vecchi tecnici Auto Union, convinto com’e che l’occupazione russa a Zwickau ed il Tribunale di Norimberga abbiano praticamente azzerato tutta l’ingegneria tedesca dell’epoca pre-bellica: peccato solo che le “leggi di Murphy” non vadano mai in vacanza !
Perchè se la Ditta “Dr. Ing. h. c. F. Porsche Gesellschaft mit beschränkter Haftung, Konstruktion und Beratung für Motoren- und Fahrzeugbau” dal 1944 non occupa più gli storici sette piani della palazzina “Ulrichsbau” disegnata da Philipp Jakob Manz in Kronenstrasse 24 a Stoccarda, è solo perché con la Germania bombardata dagli Alleati tutto era stato trasferito tra una ex segheria acquistata nell’austriaca Gmund ed il distretto di Gries an der Lieder; a far triangolo con la nuova residenza dei Porsche nel quartiere di Schuttgut a Zell am See : all’ombra protettiva del monte Grossglockner lo Staff Porsche trova il riparo dalle bombe e le ricche merende tirolesi (tortelloni “Karnten Kasnudel”, Speck della Galital, Wurstel, manzo di malga dei monti Nockberge, trote di lago, salsicce Leberwurst, tortino dolce Reindling) il tutto innaffiato da vini e birra locale.
E quando Ferdinand Porsche è in prigione a Digione dal 1945 fino ad Agosto 1947 e lo stesso figlio Ferry affronta carcere ed arresti domiciliari nell’Hotel Sommerberg a Bad Rippoldsau, nel frattempo a gestire l’azienda sono Louise Piech (sorella di Ferry Porsche) e Karl Rabe che ben prima della rinascita (il 24 Aprile del 1947) della “Porsche Konstruktionen GmbH” a Gmund riescono ad ottenere già ad Agosto 1946 la loro prima “maxi commessa”: un pre-ordine di diverse future Porsche “356” (vendute praticamente “sulla carta”) da importare in Svizzera, committenti tali Signori Rupprecht von Senger e Bernhard Blank di Zurigo che verseranno per questo circa 100.000 Franchi Svizzeri.
Ma con la famiglia Porsche impossibilitata a girare l’Europa per le vicende giudiziarie, l’incontro “fatale” con i tedeschi avverrà sotto forma di contatti preliminari tra Piero Dusio e Rudolph Hruska (Ingegnere, già collaboratore di Ferdinand Porsche, dal 1945 a Brescia per il progetto di un trattore con la O.M. e rimasto in Italia per l’ingresso alleato in Germania) e Karl Abarth (ex dipendente e corridore della “Motor Thun” di Traischkirchen, arrivato a Merano prima come rappresentante di tessuti e biciclette e poi come Promoter dello Studio Porsche dal 30 Settembre 1946).
I Cavalli di Stoccarda alla guida del Carro di Torino…
Il 20 Dicembre 1946 finalmente Dusio e Millanta incontrano a Kitzbuhel Ferry Porsche ed il 2 Febbraio 1947 a Torino la Cisitalia e l’Ingegner Hruska firmano un accordo formale di incarico con una serie di progetti che Vi elenco in base alla codificazione sequenziale (Typ List) data dalla Porsche: un vecchio Trattore Diesel (Typ 323), una “Water Turbine” per utilizzi industriali; la Formula Uno “Typ 360 Grand Prix” (che fin troppo chiaramente deriva in modo inquietante dalla mai svelata Auto Union “Typ E” ed alla “Sockol 650” di cui Vi abbiamo parlato su Autoprove) ed infine la “Sport Coupè Typ 370” di cui Vi parliamo più dettagliatamente.
Se l’elenco appena fatto probabilmente Vi sorprende (come ha sorpreso tanti nel ritrovare dentro un accordo finalizzato a creare automobili da sogno almeno due voci che sono abbastanza fuori contesto) forse lo dobbiamo alla capacità degli ottimi promoters Karl Abarth e Hruska nel “liquidare” un po’ dell’archivio progettuale dello Studio Porsche (e forse come premio nella Typ List di Porsche al numero 358 figura anche la elaborazione di un motore BMW per Abarth…): certo è che progetti pure utili come il minitrattore “Typ 323″ (con motore Diesel 900 cc da 11 Cv destinato alla produzione presso la “Luigi Poggi” di Via Matteotti a Bagnocavallo – Ravenna) oppure la “Water turbine Typ 385” (derivava da brevetti Porsche di vecchia data con funzioni di motricità o generazione di energia industriale) potevano essere formalizzate in un altro tempo e con diversi altri interlocutori.
Di sicuro tutto il lavoro commissionato alla Porsche impegna la Cisitalia per valori economici mostruosi dell’epoca: 400.000 scellini più 10 milioni di Lire più 11.000 USD (da versare entro un anno) oltre a 500.000 scellini, più royalties per ogni altra idea Porsche venduta da Corso Peschiera; ma non mancano neppure gli oneri di vitto ed alloggio nel Belpaese per l’intero Staff (10 uomini e Collaboratori esterni dello Studio) che arriveranno a Corso Peschiera in stile “cavalli imbizzarriti del Carro del Sole”…
“…Dusio ?? Quello che fa i parafanghi per le bici ????…”
Probabilmente però quell’accordo è frutto anche della mancanza a Corso Peschiera – in quel momento – di una visione strategica di indirizzo da parte di un Marchio che aveva bruciato le tappe e che forse non sapeva ancora che “fare da grande”: un esempio lo dà il racconto del Barone Antonio Pucci (campione siciliano leggenda della “Targa Florio”) che ci aiuta anche a capire quanto rivoluzionario sia stato l’arrivo della Cisitalia sul mercato auto: “Mia madre” – racconta il Barone – “saputa la mia volontà di correre in auto volle acquistare per me una Cisitalia al costo folle per l’epoca di 5 milioni di Lire; non conoscendo molto il Marchio Costruttore, prima di contattare Torino mio padre volle approfondire, e avendo saputo di chi si trattava rispose stupito: “Piero Dusio?? Ma non è quello che costruisce parafanghi per biciclette????”.
E se pure poi con quella “Cisitalia” il Barone Pucci vincerà la Targa Florio nel 1949, con altre affermazioni notevoli della berlinetta torinese, forse Dusio doveva solo attendere un po’ di tempo per affermarsi e per perfezionare la catena produttiva della “202” approfittando del fascino che emanava.
Ci sarebbe voluto tempo, dunque, che purtroppo a Febbraio del 1949 fu negato dal Decreto Ingiuntivo per 240 milioni di Lire vantati dai creditori di Cisitalia, al quale Dusio oppose la richiesta di Amministrazione controllata concessa dal Tribunale di Torino per poter pagare (attraverso la nuova legge sulla Cassa Integrazione) gli stipendi arretrati per 25 milioni ai circa 400 dipendenti di Corso Peschiera; e con la nuova “Società d’Esercizio Cisitalia” di Carlo Dusio nata nel 1950 e rassegnata tristemente a rielaborare le Fiat (esattamente come Abarth che però rilevato per il soddisfacimento dei suoi crediti tutto il magazzino di Corso Peschiera e trovato il progetto della marmitta disegnata da Giovanni Savonuzzi farà fortuna con la neonata “Abarth & C.” di Via don Minzoni 9 a Bologna….) il Fetonte caduto Piero Dusio vola verso l’Argentina di Peron.
Cisitalia Porsche “Typ 370”, tra sogno, mistero e tanti dubbi….
Torniamo però alla Primavera 1947, quando la Porsche dà esecuzione al mandato di incarico del 2 Febbraio creando due Squadre di lavoro: la prima ovviamente a Gmund (con a capo Ferry Porsche che può progettare la rinascita del marchio auto con il Cashflow arrivato da Torino) dove si seguono i soli progetti del “Traktor 323” e della “Water Turbine”; mentre a Torino invece Hruska e Abarth dirigono la Squadra dividendola in “Capi progetto“, uno dei quali (von Eberhorst) sta già bruciando capitali sul fallimentare progetto “Typ 360 Grand Prix” con le inutili estensioni “361” (motore monocilindrico per i test) e “362” (una assurda derivazione Formula Due con il 1,5 V12 aspirato).
Per coordinare la “Typ 370” dal 23 Marzo del 1947 viene invece inviata a Corso Peschiera la coppia Erwin Komenda / Josef Mickl (due dei collaboratori più storici del patriarca Ferdinand Porsche con cui lavorano – dal 1931 – senza neppure essere stati assoggettati all’obbligo politico di iscrizione al Partito Nazista) che hanno già disegnato sia la “Kaferwagen” che la mamma di tutte le future Porsche, cioè quella “Typ 60K10 – VW Aerocoupè” (che realizzata in soli tre esemplari nel 1939 avrebbe dovuto correre la Berlino Roma” mai disputata per l’arrivo della Guerra).
Ebbene, quell’auto che è il “Sussidiario” di tutta la produzione Porsche (al punto che per consacrarla come capostipite Ferry Porsche ne ha portato a Gmund nel 1946 l’unico esemplare superstite registrandolo come “Porsche Typ 64“) sarà paradossalmente la base progettuale sia per la Cisitalia Typ 370 che per la prima Porsche in arrivo (la 356) a cui Erwin Komenda in Austria sta peraltro già lavorando dall’ Ottobre 1946.
E quando nel 1947 Ferry Porsche invia la “Typ 64” da Pininfarina (per un lavoro di restauro supervisionato da Komenda) quest’ultimo nel frattempo concerta con il Carrozziere torinese i bozzetti di stile per la “Sport Coupe 370” definendo alla fine di quell’anno dei Layout di carrozzeria e telaio, come modello preliminare per carrozzieri e battilastra; una attività concreta, insomma, con obbiettivo previsto per un modello 3D presso la Pininfarina per il 10 Gennaio 1948.
La “Typ 370” sarebbe dovuta uscire in tre versioni: una Biposto per la Mille Miglia (previsto un Cx di soli 0,25 come la “Typ 64” grazie alla carenatura totale delle ruote) con motore posteriore centrale, simile nell’anteriore e nel laterale alla Volkswagen Berlino-Roma Tipo 60K10 ma con le pinne posteriori della “MM202” dietro; ed in più due versioni stradali a tre ed a cinque posti con motore a sbalzo posteriore.
La versione “Mille Miglia” però viene (giustamente) ritirata dall’accordo di collaborazione come conferma Hruska in un incontro con i Porsche il 18 novembre 1947 date le ottime performances della “MM 202” (sulla quale Savonuzzi, prima di lasciare Corso Peschiera avrebbe persino iniziato lo sviluppo di un 16V da 1500 cc).
In tema di motore l’architettura della “370” tuttavia è davvero una sorta di “Dedalo” decisionale e progettuale: inizialmente si pensa ad sei cilindri flat da 1,5 litri, poi un Rapporto di verifica dello Staff Porsche a Gmung del 15 giugno 1948 ipotizza un un V-8 a 90 gradi 2,0 litri raffreddato ad aria e potenze tra 100 e 120 Cv, comunque abbastanza meno di Maserati e Ferrari dirette concorrenti; sospensioni anteriori e posteriori classicamente Porsche a barra di torsione e tipiche quelle anteriori con bracci longitudinali lunghi 6,3 pollici; e nonostante infine la capacità espressa da Cisitalia sul traliccio tubolare, per la “370” era prevista una base di longheroni tubolari su cui sarebbe stata saldata una piattaforma di acciaio e montata la carrozzeria.
Nuovo cambio sincronizzato, infine, di Leopold Schmid, inventato appositamente per i progetti Cisitalia, e la scarna scheda tecnica disponibile ci indica solo alcune misure fondamentali: previsto un passo della “Mille Miglia” e della “tre posti” di 2,40 mt (come la “Typ 64 VW Porsche) e di 2,75/2,90 nella “5 posti”, carreggiata della “Mille Miglia” mt 1,30 e di 1,45 mt. per le versioni in commercio.
Come detto, tutto questo finì a causa della bancarotta segnalata dallo stesso Komenda in una laconica comunicazione a Ferry Porsche dove si segnalava che “il Cliente ha esaurito i fondi”…..
Una Porsche con “Stambecco Rampante”????
La “Typ 370” che Vi abbiamo presentato e descritto nel poco della letteratura disponibile genera tuttavia una legittima domanda: in qualche modo i progetti di Komenda della ipotetica Cisitalia l’avrebbero configurata come molto simile ai canoni ed alle architetture della nascente Gamma Porsche, dunque come sarebbe stato gestito questo dalle rispettive strategie commerciali dei due Marchi?
Come sarebbe stato possibile avere tale dualismo, e soprattutto come mai i rispettivi Staff di Porsche e Cisitalia non hanno tenuto in debita considerazione questo paradosso? Che cioè se mai fosse stata prodotta, per la sua fisionomia e base tecnica la “370” sarebbe stata la prima Porsche prodotta a Torino…..Sempre che, a Gmund, fossero effettivamente persuasi che la “typ 370” avrebbe davvero preso vita a Corso Peschiera. Cosa che, visti gli accadimenti, mi prendo il lusso di dubitare. Una volta preso il controllo del Carro, i cavalli non potevano che condannare Fetonte al suo destino: e del resto Stoccarda o “Stuttgart” deriva dal termine tedesco “Gestut” cioè “allevamento di cavalli” !!!
Riccardo Bellumori