Java Project 1962, la rivoluzione operaia di Rolls Royce

In una fase di crisi per l’Automotive britannico, Rolls e Bentley tentarono una operazione rivoluzionaria: unirsi ad un altro Costruttore per una Gamma di modelli “popolari” in grado di avvicinare un pubblico più giovane e meno conservatore; ma dopo i primi esperimenti, a lungo tempo sconosciuti e dai risultati abbastanza sconcertanti, tutto questo diede vita alla leggendaria “Silver Shadow” quasi per “caso”.Vi raccontiamo una storia davvero unica e romantica in un’epoca irripetibile.

Spesso mi è capitato, nell’ottimo spazio di Autoprove, di raccontare alla “Web generation” il mondo Auto che più adoro, quello inglese ormai quasi scomparso e che quando riappare alla attenzione viene spesso stravolto nei ricordi. 

In particolare “ai miei tempi” i miti a quattro ruote erano solo due e praticamente opposti tra loro, cioè Ferrari e Rolls Royce : chi è affezionato a questa Piattaforma avrà letto già della vicenda straordinaria che interessò Maranello tra il 1955 ed il 1965 con la “854” e la “Dino”: non avreste mai immaginato, tuttavia, che nello stesso decennio anche Rolls Royce si preparava ad una rivoluzione dal particolare aroma esotico e spirituale, perché sotto nomi come “Bengala”, “Java”, “Rangoon”, “Burma” e “Tibet” si cela una storia degli anni Cinquanta delle due “Dee” britanniche che sarebbero volute diventare…… “operaie”: sono anche sicuro però che gli esperti di settore ricordano, con Bentley “Java” e Rolls Royce “Bengala”, altre vicende: ad esempio la Concept Bentley presentata al Salone di Ginevra nel 1994; oppure eventualmente un progetto del 2016 di “Vitesse AuDessus” (produttore del Maryland di componenti di carrozzeria di lusso per l’aftermarket – insieme alla “Bengala Automotive Design” (Società di Design e Tuning esclusivo di vetture Top di Gamma, con sede a Madrid).

Invece “Java Project” e Bentley “Burma” disegnarono nel 1960 una rivoluzione indispensabile, sofferta  ma necessaria per rinnovare quella “Vittoria Alata” che nel nuovo mercato Auto del Dopoguerra non poteva più solo rappresentare l’idea troppo esclusiva di Sir Henry Royce, Charles Rolls e di Claude Jonhson. Ma andiamo con ordine!

Prima del 1940 Rolls Royce (strappata alla “D. Napier and Son“- per poche centinaia di sterline durante una seduta d’Asta del 1931 – la Bentley) era insieme a questa il simbolo assoluto del lusso dentro ad un Club di sole sei regine mondiali con anche Isotta Fraschini, Hispano Suiza, Bugatti e Tatra; ed in procinto di Seconda Guerra Mondiale avrebbe sicuramente prodotto a ciclo continuo materiale e commesse per l’Esercito di Sua Maestà: perciò aveva iniziato investimenti straordinari per modernizzare la linea produttiva di aerei ed auto (con nuovi reparti, macchinari, presse, etc..) ed aumentando la forza lavoro che toccava già i 5000 operai.

Due Dee in crisi: la “rivoluzione popolare” di Rolls Royce

Finita la Guerra, se da un lato le Regine concorrenti degli anni ’30 (Isotta, Bugatti, Hispano e Tatra) si erano estinte, anche per la “Vittoria Alata” erano finiti i tempi dello slogan caro anche alla Isotta Fraschini (“nessuna uguale all’altra”).

Nel frattempo, continuando ad investire in modernizzazione industriale (a cominciare dalla nuova famiglia di motori “Serie L” dei leggendari V8 di Harry Grylls e proseguendo con la rivoluzione del telaio a scocca portante in acciaio stampato iniziata nel 1949 con la “Silver Dawn”) Rolls Royce stava profondamente trasformando la sua classica produzione di motori in linea e di telai a longheroni (realizzando una sua produzione di telai monoscocca “Standard Steell” per non rivolgersi ancora alla “Pressed Steel Limited” di Cowley di proprietà di Austin – Morris e di Budd Corporation) più carrozzeria progettata, ordinata ed installata a parte secondo le personalizzazioni richieste dal Cliente, ma aveva però bisogno di nuove risorse finanziarie a causa anche della forte contrazione mondiale di ordinativi per la componentistica di aerei, che all’epoca era ancora un mercato chiave dentro Rolls Royce per finanziare sia le esclusive “Spirit of Ectasy” che le sorelle Bentley.

 Per far lavorare a pieno regime la forza lavoro ed ammortizzare gli investimenti di nuove tecnologie e macchinari, il Marchio inglese era costretto a cambiare identità alla sua Gamma (fatta solo di aristocratici pullman per soli titoli nobiliari, cioè le R.R. Silver Cloud, le irraggiungibili ed esclusive “Phantom” IV e V, oltre alle Bentley S-Series) mentre intorno a Crewe stava nascendo un nuovo mercato di prestigio dominato dal modello americano fatto di grandi numeri produttivi e linee classiche a tre volumi.

Questa sua Gamma esclusiva e l’immediato gradino inferiore della concorrenza (rappresentata da Austin Princess Mark II/Mark IV, Jaguar Mark IX, Daimler Conquest, Armstrong Siddeley Sapphire) poteva soddisfare le esigenze dorate dei classici nobili e ricconi con autisti e domestici al seguito ma era una magra consolazione, perchè ormai quel mercato offriva al massimo 1.500/2.000 pezzi all’anno: per entrare nel nuovo Eldorado del “lusso di grande serie” (fatto di almeno 50.000 pezzi all’anno in tutto il mondo) la Rolls Royce aveva così deciso di sacrificare Bentley ad un “Downsizing” (che tuttavia non apparisse come un impoverimento del prodotto e dell’immagine) per “gettarla nella mischia” contro Cadillac, Lincoln, Buick, Imperial Chrysler, Jaguar, Armstrong Siddeley, Daimler, Humber, Rover, Mercedes, Maserati, Facel Vega. 

Il primo passo: Tibet e Burma, gli “sherpa” della rivoluzione popolare

Che nasce nel 1954 con il prototipo Rolls Royce “Tibet” realizzato in due esemplari (prototipi 41-B e 42-B basati su pianale Silver Cloud alleggerito), che presentò da subito novità importanti come la predisposizione per i nuovi motori ad otto cilindri di Grylls,  oltre ad un sistema di sospensione idropneumatica; ma soprattutto una linea decisamente diversa dalla Silver Cloud (di cui manteneva le stesse dimensioni) aumentando lo spazio dell’abitacolo, perdendo la decisa bombatura laterale del fascione e ricevendo una superficie vetrata quasi doppia; ovviamente la “Tibet” era concepita per diventare industrialmente una “monoscocca”.

Ma la rivoluzione destinata a Bentley prese corpo verso il 1958 con un progetto ancora più innovativo, la Bentley “Burma” che mostrava da subito un deciso taglio di volumi e misure rispetto alla “Tibet” effettuato soprattutto su cofano anteriore e baule posteriore. Il risultato è un corpo vettura tre volumi e quattro porte più classico, più piccolo e armonioso, ma con grande spazio interno e concepito per un motore 6 cilindri in linea da 4 litri denominato “F60”, molto sottovalutato nell’ambito di questa vicenda, ma a sua volta una piccola rivoluzione: figlio di Reginald Spencer e di Charlie Jenner (collaboratori diretti di Henry Royce) era tutto in alluminio con valvole di scarico auto-ruotanti e tante altre raffinatezze.

Dall’ F-60 derivarono una versione sportiva prevista per una Austin Haley guidata da Paul Frere a Le Mans, ed una G-60 con doppio albero a camme mai entrata in produzione. Tanti di quei motori girano ancora ai tempi nostri al punto che nell’Aprile del 1989 Rolls Royce comunicò a chiunque ancora in possesso di un “F60” che poteva continuare a girare tranquillamente anche con la benzina senza piombo che da lì a poco sarebbe stata generalizzata !!!! 

Con “Tibet” e “Burma” il dado era tratto ma Rolls Royce si trovava di fronte ad un bivio: per creare da zero nuovi autotelai, a prezzo di modifiche insostenibili in quel momento a Crewe (dove serviva rapidamente Cashflow anche per sostenere in fretta il piano di innovazione industriale) avrebbe sicuramente rischiato di entrare in crisi; se invece si fosse vincolata alle piattaforme che aveva a disposizione, addio soprattutto al deciso “Downsizing” di Gamma previsto per Bentley.

Per trovare una unica alternativa percorribile e di rapido risultato alla sua programmata entry level, il Marchio della “Vittoria Alata” avrebbe dovuto trovare una collaborazione con un Costruttore esterno per realizzare una piattaforma comune: una sorta di sacrilegio tuttavia per Lei sebbene la condivisione di piattaforme fosse pratica ormai quotidiana per tutti gli altri Costruttori del Regno Unito.

Cercasi Partner, posizione agiata ed ottime referenze….

E poi, quali i requisiti minimi per una partnership degna del rango di Rolls Royce? Semplice, una forte attitudine ai motori poderosi ed al cambio automatico, una grande capacità industriale, ottima immagine presso automobilisti ed opinione pubblica, e soprattutto un autotelaio di circa 5 metri di lunghezza e almeno 1,8 di larghezza. Se però pensate che all’epoca un partner simile esistesse dentro il Regno Unito di metà Anni Cinquanta dovete ripassare la storia, visto che il Governo laburista aveva appena fatto del comparto auto un gigantesco incubatore di voti (assumendo inutile manodopera dentro a un sistema industriale che generava a conti fatti solo pochi volumi in uscita dalle fabbriche ed un alto costo medio industriale per unità prodotta); mentre per contro la Gamma nazionale era obsoleta e di pessima qualità, bersagliata da una lotta sindacale che produceva scioperi ad oltranza. Questa era all’epoca l’Union Jack dell’Automotive, un Eldorado che fu mandato in malora in poco meno di quarant’anni.

No, chiaro che ogni indizio ci porterebbe direttamente negli USA dove una rappresentanza della Rolls Royce andò pure a far visita alla General Motors ad inizio anni ’50 ufficialmente per studiare da vicino i “Big Block” V8 Chevrolet, ma chissa’ che non si sia parlato di altro? Di certo dentro ciascuna delle “Big Three” non mancavano gli estimatori del marchio britannico nè le risorse economiche ed industriali per rendere operativa qualunque possibile sinergia.

Eppure fu proprio nei confini di casa di Crewe (ad un’ora circa di auto della più lunga autostrada inglese, la “M6 Motorway” che collegava Longbridge di British Motor Corporation fino alla Scozia) che uscì per la Rolls Royce il coniglio dal cilindro. Cosa era successo? 

Forse Rolls Royce temeva il troppo potere contrattuale e decisionale dei partner americani economicamente forti ed invadenti; o forse nella Rolls Royce balenò il ricordo dei motori “B40” forniti nel 1952 alla Austin per la fuoristrada “Champ”; o forse più semplicemente Rolls Royce e British Motor Corporation erano due giganti in crisi disposti a non “pestarsi i piedi” reciprocamente in un fidanzamento per causa di forza maggiore: a Crewe serviva un “guru” per la produzione industriale dei telai monoscocca (e l’unico in Gran Bretagna era appunto a Cowley) e l’Austin invece aveva trovato con Rolls Royce  un “coach” per gestire un impegnativo “Spin off” di Longbridge nel mondo del lusso, quello cioè di Vanden Plas.

Fino a quel momento era l’ex filiale inglese di un artigiano di Bruxelles (dedito ad arricchire fin dal 1800 carrozze a cavalli) e dopo l’ingresso in Austin nel 1946, per conto di questa si limitava a ricevere nel suo impianto di Kingsbury le scocche grezze (prodotte in serie appunto dalla “Pressed Steel” di Cowley) dove si arricchivano di Griglie anteriori cromate, piastre passaruota, verniciatura speciale, cruscotti impiallacciati in noce a grana fine, selleria in cuoio profumatissimo, vernici e pigmentazioni fuori serie, strumentazione speciale, una grande quantità di insonorizzazione aggiuntiva per contribuire a rendere l’abitacolo il più silenzioso possibile, e cambio automatico.

Dopo che Austin aveva tentato la concorrenza diretta proprio a Bentley, Daimler e Jaguar proponendo la serie “Princess” (dalla “Mark I” alla “Mark IV” il cui prezzo proibitivo per il target classico del Gruppo aveva prodotto un clamoroso flop) fu lanciata successivamente solo una serie speciale di 500 esemplari della “Austin A 105 Vanden Plas” nel 1959, opera prima della Griffe “Vanden Plas” appena divenuta Marchio di lusso del Gruppo.

Avere dunque alle spalle una madrina prestigiosa come la “Vittoria Alata” sarebbe stato per Vanden Plas un colpo straordinario senza dubbio.

Dunque era appena nato, tra la fine del 1961 e l’inizio del 1962, il “Project Java“: per far nascere una “Entry level” nella Gamma Bentley Austin-BMC avrebbe messo in dote il pianale (con dotazioni e tecnologia) della neonata ed ottima “Vanden Plas Princess 3 Litres” prodotta per sostituire le ricche ed anziane Austin Westminster e Wolseley 6/99; Crewe invece avrebbe concesso alla British Motor – oltre al suo innegabile e prestigioso pedigree – anche il suo sei cilindri in linea da 4.0 Litri e 175 Cv (poco sopra ricordato) che univa ottima potenza con piccole dimensioni, massimo uso di parti comuni con tutta la gamma dei motori RR ed infine la possibilità di funzionare con benzina di qualunque qualità, anche pessima. 

Il secondo passo: “Project Java” con BMC

Mentre a Longbridge la B.M.C. confezionava la “sua” nuova esclusiva Vanden Plas dentro cui ospitare il 6 cilindri 4,0 Lt. R.R., le matite magiche di Crewe (John Blatchley, Bill Alled, Beart Jean e Martin Bourne) realizzavano i tradizionali bozzetti bidimensionali ed i prototipi 3-D in scala, ricordati come “Java 1 e 2” e “Java/Burma 3”, molto indicativi del nuovo aspetto della futura “piccola” Bentley: “Java 1 e 2” ricalcavano  la “Princess 3-Litres” con fari posteriori ed anteriori a curioso ed innovativo sviluppo verticale (taglio simile alla Continental S2 Coupè Park Ward e praticamente simile a quello di Mercedes e Facel Vega).

Tuttavia parlando di semplici “maquette” statiche fatte di plastilina e balsa, evidentemente il peggio doveva ancora arrivare: quando a Crewe misero mano direttamente sui telai della “Vanden Plas Princess 3-Litres” spediti da Longbridge nel 1962, i due muletti” da Test (denominati in sequenza “71-B” e “72-B” con motore B60 4.0 lt., griglie copriradiatore Bentley, fari a colonna come le Facel Vega e parafanghi posteriori più convessi) erano esteticamente davvero poveri e  sgraziati, insomma non rappresentativi dell’immagine di Bentley; furono perciò ritirati e demoliti in breve tempo, poco prima di vedere comunque un nobile “clone” in casa B.M.C. con la Coupè Alvis TE21 che ne replicava alcuni dettagli.

“Il trattore più veloce del mondo”

Nel frattempo arrivano anche le prime spallate al “Progetto Java”: British Motor Corporation presenta al al Salone di Londra del 1964 la Vanden Plas “4R” che destinata alla produzione di Kingsbury aveva davvero di tutto: oltre alla benedizione del Boss di B.M.C. George Harriman aveva pelle Connolly e radica di noce, a richiesta sospensioni autolivellanti “Selectaride” e tettuccio apribile Tudor-Webasto; ma soprattutto aveva il motore F-60 (ed era l’unica auto “non Rolls Royce” di sempre ad avere un motore di Crewe)!

Incredibilmente fu proprio a causa di questo motore – derivato dalla famiglia “B-Series” conosciuta più per gli impieghi militari ed agricoli che non come motore per auto – che la “4R” fu  oggetto di una controffensiva mediatica talmente feroce e dissacratoria da parte della concorrenza da essere ironicamente ribattezzata “il trattore più veloce del mondo!!!! 

Muore “Project Java” e nasce a sua insaputa Silver Shadow!

Il “Project Java” – detto molto praticamente – cominciava a franare e la spallata decisiva arrivò in breve proprio da Rolls Royce che nel frattempo (in parallelo alla sinergia con B.M.C.) proseguiva la ricerca interna del Centro Stile e di Mulliner Park Ward con un ultimo bozzetto di stile Bentley “Java/Burma 3” databile al 1963: dopo il flop estetico dei due muletti di cui avete appena letto sopra, alcune leggende metropolitane raccontano che Rolls Royce era corsa ai ripari, conservando uguale il volume abitacolo della “Princess 3-Litres” ma modificando pesantemente anteriore e posteriore ispirati alla sua Concept “Burma“.

Da questo prendono corpo due prototipi – Rolls Royce “Rangoon” e Bentley “Bengala”: entrambe “small size” e di identica dimensione, pensate per adottare il 6 cilindri B-60 e differenti per pochissimi dettagli interni e di stile. 

Questa rielaborazione però mandava in fumo l’ economia di scala voluta dentro al Project Java, visto che Crewe e Longbridge avrebbero preso praticamente due strade stilistiche e industriali diverse, con Rolls Royce costretta a sue spese a trasformare il pianale della “Princess 3-Litres”:

Infatti il progettista della “Silver Spirit” Fritz Feller dichiarò sulla questione che “costruire la Baby Rolls sarebbe costato quanto una grande berlina”. Allora per non caricare su di sè le modifiche desiderate sul telaio “Princess 3-Litres”, (dicono sempre le leggende) Crewe avrebbe astutamente tentato  una sorta di “moral suasion” sulla British Motor affinchè fosse questa ad agire direttamente per le modifiche desiderate, e dunque rendere anche la Vanden Plas più accattivante sul feroce e combattuto settore del lusso a quattro ruote. Pare che da questo sia nato il progetto definito internamente a B.M.C. “ADO61”, che portò ad una rielaborazione anteriore della “Princess 3-Litres” dalla quale far scaturire le realize di “Rangoon” e “Bengala”.

Muore “Project Java” e nasce a sua insaputa Silver Shadow!

In realtà il piano di collaborazione con BMC stava letteralmente per andare nel cestino, ma poco male : forse senza saperlo con Rolls Royce “Rangoon” e Bentley “Bengala” stava nascendo colei che in 16 anni di onorato servizio tra Rolls e Bentley verrà prodotta in oltre 35.000 unità e una famiglia leggendaria: R.R. “Silver Shadow” e “Corniche”, Bentley “T-Series” e “Continental“. Nel frattempo arrivava la fusione di B.M.C. con Jaguar e British Leyland, cosicchè Vanden Plas tornò di nuovo a firmare come “griffe” i modelli più prestigiosi di British Motor, e la “4R” fu tolta di produzione.

Chiaro che archiviata ogni ipotesi di sinergia, la liquidità attesa ed i risparmi di gestione rimasero un miraggio a Crewe: e nonostante il buon successo commerciale delle “Silver Shadow/T-Series” del 1965 e le loro economie di scala (scocca portante realizzata internamente, sospensioni e sistema frenante Citroen, differenziale BorgWarner e cambio automatico General Motors, solo per iniziare la lista della rivoluzione) ci pensarono la crisi energetica e lo sviluppo del motore Turbofan RB211 a riportare la Rolls Royce quasi in bancarotta ad inizio anni ’70.

Cosicchè il governo britannico operò l’ennesima nazionalizzazione dell’attività aeronautica – separandola da RR Automotive che divenne proprietà della Vickers nel 1980 – prima del passaggio alla BMW e al divorzio storico di Bentley passata a Volkswagen. 

Un divorzio storico, quasi ignorato; il Karma che ritorna!

Dopo un matrimonio durato oltre 70 anni, all’alba del 2000 si consumò il divorzio forzato tra Rolls Royce e Bentley.

Sapete bene come andò: BMW stava per rilevare la Rolls Royce Automotive, avendone già acquisito la parte aeronautica e tutti i diritti sul Marchio; ma fu battuta da una offerta più alta di VW che solo dopo l’acquisto si rese conto che la vendita non includeva l’uso del nome e del logo Rolls-Royce.

In termini pratici, la VW aveva acquistato solo Bentley e la fabbrica di Crewe, mentre BMW era titolare di ogni diritto sulla Rolls Royce. Pochi si resero conto all’epoca che due Marchi uniti da Nozze di Platino erano stati separati semplicemente da…un Marco!

Eppure come detto, Bentley “Java” e Rolls Royce “Bengala” dovevano in qualche modo rinascere, e questo è avvenuto, perché il Karma è sempre il Karma!

Rolls Royce Bengala contrassegnava infatti nel 2016 una gamma di accessori di lusso per Rolls-Royce PhantomPhantom CoupéPhantom Drophead CoupéWraithDawn e Ghost: il materiale utilizzato era una base di carbonio compressa simile alla fibra di carbonio forgiata, all’epoca sviluppata da Lamborghini e Callaway, e l’uso di questo materiale – tuttavia – come pura soluzione estetica era una novità nel settore automobilistico, come anche la garanzia di cinque anni sul materiale usato. Novità tuttavia piuttosto cara, la personalizzazione estrema della già esclusiva “Spirit of Ecstasy” arrivava a costare ben 60.000 Dollari in più sul Listino di serie (solo il cofano veniva 7.250 Dollari, e la cornice del parabrezza fino a 3.500 Dollari…).

Mentre la Bentley “Java” corrispondeva alla punta di diamante di un potenziale nuovo corso del Marchio di Crewe quando, nel 1994, il suo destino dalla “patrona” di Derby sembrava ormai ad un passo dalla separazione.

Bentley “Java”  – definita all’epoca una Bentley ‘junior’ da Giles Chapman della prestigiosa rivista Autocar – era più di una semplice Concept presentata al Salone di Ginevra del 1994, erano due automobili in una: l’idea di una coupé Bentley nella tradizione delle grandi Continental del passato, ed insieme l’ingresso, (per volumi, spazio e dotazioni) al Market target presieduto solidamente dalle cabriolet tedesche (Mercedes Classe “E”, Audi “90 Coupè Cabrio”) e dalla Maserati Biturbo Spyder.

Ponendosi con un profilo diverso e più esclusivo in quel target, Bentley avrebbe dunque debuttato da leader in un mercato floridissimo ma a lei sconosciuto, come ben spiegò l’allora capo stilista di Rolls-Royce Graham Hull che disegnò la java con un mito come Roy Axe. 

Se permettete, con un piccolo neo: aveva il disegno dei fari anteriori e parte del frontale “fotocopia” della Concept Jaguar Kensington di Giugiaro-Italdesign del 1991. In ogni caso la “Java” aveva appunto due record storici: la prima a non superare i 4,80 di lunghezza massima e la prima senza la tradizionale coppia di fari tondi all’anteriore.

Che in quel momento “Java” servisse a preparare il pubblico alla trasformazione epocale di Bentley lo chiarì bene anche Rolls Royce, ancora proprietaria di Crewe: la “Java” utilizzava pianale e motore V8 biturbo 3,5 lt. (sebbene elaborato dalla Cosworth) di matrice BMW, anticipazione del connubio che sarebbe entrato a regime pochi anni dopo. In verità, visto che la “java” fu mostrata al Salone nel periodo in cui Vickers aveva appeso alla spalla di Bentley la targhetta “Vendesi”, la concept serviva anche a motivare nuovi acquirenti. Dall’esemplare unico furono realizzati 18 modelli (6 Coupè a tetto rigido, 6 Shooting Brake, 6 decappottabili) venduti a Mohammed Mandari e da questi al “solito” Sultano del Brunei (per gli amici: Haji Hassanal Bolkiah Al-Mu’izzaddin Waddaulah ibni Almarhum Sultan Omar Ali Saifuddien Sa’adul Khairi Waddien). Lo stesso Sultano che nel 1996 ordinò a Bentley i primi sei SUV della storia di Crewe, la “Dominator” venduta a quasi 5 milioni di Dollari dell’epoca cadauna.

Project Java: Un gesto d’amore?

Ed anche se nessuno fu mai in grado di spiegare a che titolo la storia che ho raccontato prende i nomi della tradizione indiana, io ci provo a dire una possibile ipotesi: forse fu un tributo ad Eleanor Velasco Thornton di Stockwell, attrice londinese e musa ispiratrice del famoso “Spirit of Ectasy” che dal 6 Febbraio 1919 sovrasta il muso delle Rolls Royce. Eleanor, che sembra essere la diretta ispiratrice del modello dell’artista Sykes, morì tragicamente in una crociera – organizzata a Natale del 1915 sul piroscafo “S.S. Persia” silurato da un U-Boot tedesco U-38 al largo dell’Isola di Creta – diretta, sapete dove? A Bombay e Karachi….

Ma forse questo mio è solo un anacronistico romanticismo. Pazienza! Anche questo racconto, in fondo, sembra una favola, come tutto quel che rappresenta l’Union Jack. Perchè, scrive Cesare Cremonini, “Viviamo in piccole città, prendiamo pillole per la felicità, non siamo virgole, amiamo l’Inghilterra”.  

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