La Storia di Autobianchi: chi ha ucciso la regina di Desio

Storia di un marchio celebre e delle sue origini ancora più gloriose e nobili. Autobianchi ha raccolto l’eredità di Edoardo Bianchi e contemporaneamente ha fatto da apripista per tante innovazioni del Gruppo Fiat nel mercato auto. Una biografia doverosa, con tanti ricordi forse poco noti perché l’Autobianchi va spiegata soprattutto per quello che non si è mai visto.

Autobianchi a Desio – Autobianchi ha 70 anni. Se non ci credete, è perchè le leggende hanno sempre origini non definibili. E così quel giorno del 1955 in cui Giuseppe Bianchi, Gianni Agnelli e Leopoldo Pirelli siglarono davanti ad un Notaio la nascita della Autobianchi, ha fatto dimenticare che già nel 1952 da Desio – Brianza era uscito il primo mezzo a motore della storia siglato Autobianchi: si trattava di un Camion leggero, il “Visconteo”.

Una produzione di camion dentro la “Bianchi”, la più antica fabbrica mondiale di biciclette?? Leggenda anche questa, dai !!!!! Invece, come accadde anche per le auto e le moto, Edoardo Bianchi lanciò in parallelo alle bici più famose della storia anche moto, auto, camion e persino parti di aereo per la Isotta Fraschini. Poi, purtroppo, il vulcanico capostipite perì in un incidente di auto, nel Luglio 1946. Di sicuro il suo erede naturale, il figlio Giuseppe, che divenne Presidente della “Fabbrica Automobili e Velocipedi Edoardo Bianchi”di Viale Abruzzi 16 a Milano, non era della stessa pasta.

Non aveva alcun piano per l’impresa paterna che cominciava a proiettare una situazione di crisi: ecco perchè accolse con piacere come Direttore Generale un altro vulcano, che si affacciò con idee rivoluzionarie. Era Ferruccio “Illo” Quintavalle, cioè il discendente del leggendario San Bernardo di Assisi ed ex campione di tennis in Coppa Davis ed agli ottavi di finale Roland Garros del 1947.

Sua, di Quintavalle, l’idea di denominare dal 1952 con “Autobianchi” la gamma dei camioncini leggeri, al fine di distinguere per sempre il destino dei Velocipedi Edoardo Bianchi da un suo progetto di entrare nel nuovo Business dell’auto. Fino al 1955 Ferruccio lo aveva fatto raschiando il barile degli Stabilimenti di Desio con una mediocre motocarrozzetta (il Supermil 49) schiacciata dalla tanta concorrenza più aggiornata e prestante; oppure con la linea dei camioncini leggeri, come detto. Ma aveva convinto Giuseppe Bianchi, finalmente, a lanciare una nuova Impresa automobilistica, appunto la Autobianchi, attraverso una formula di cui mai nessuno ha davvero capito, prima d’ora, il dispositivo societario: il “modello Quintavalle” infatti prevedeva a priori una divisione al 33% di quote tra tre Soci fondatori. Perchè?

Autobianchi, l’Avvocato, lo smash di Ferruccio, la “BBC1”

Ci proviamo noi a spiegare l’arcano “in prima mondiale”, richiamando una storia sconosciuta avvenuta nel 1946, un piccolo “giallo” del dopoguerra: l’avventura della “BBC1”, l’auto di un’altra precedente e meno famosa “Società paritetica” formata da Pietro Beretta da Brescia, Giuseppe Benelli da Pesaro e Luigi Pindemonte Rezzonico Conte di Castelbarco (Milano), tutti e tre intenzionati a produrre la prima vera “anti Fiat Topolino” d’Italia. Ebbene, il progetto della “BBC1” naufragò senza alcuna motivazione plausibile, a causa dell’abbandono di Beretta, il suo promotore. Si dirà, anni dopo, che fu opera di dissuasione operata dal nuovo Amministratore e Presidente Fiat Vittorio Valletta, se la geniale vettura non vide mai la luce. Di certo la vicenda “BBC1” lasciò un segno segreto ed importante nei protagonisti della futura Autobianchi, sulla idea di Ferruccio Quintavalle di cercare nuovi soci alla pari, ma anche nella coscienza di Corso Marconi, a Torino.

Vittorio Valletta nel 1946 era diventato Amministratore e Presidente della Fiat, ed in meno di tre anni aveva dovuto “disinnescare” diplomaticamente ben due mine vaganti sul percorso del Lingotto: prima la “BBC1” appena ricordata, e poi addirittura la Piaggio. Quest’ultima stava sviluppando fin dal 1952 un prototipo di utilitaria, da cui sarebbe nata la futura “400” che con i suoi 2,80 mt. di lunghezza e linee ispirate alla tedesca Goggomobil avrebbe certamente dato filo da torcere alla Nuova 500 di Fiat in programma a Torino. Valletta incontrò il conterraneo ligure Enrico Piaggio per persuaderlo a non fare pericolosa concorrenza casalinga sul mercato delle quattro ruote.

Dunque la “400” prese la via della Francia, a Fourchambault, dove la Piaggio per eludere i blocchi ed i dazi di importazione aveva già fondato il 25 Novembre del 1950 l’ACMA, cioè “Atelier de Construction de Motorcycles et Accessorier”. Altro pericolo scampato, ma poi?

Forse di fronte a tutto questo Gianni Agnelli, ricevendo da Ferruccio Quintavalle l’offerta di accordo paritetico per la nascita di “Autobianchi” (accompagnata da un breve estratto curriculare del figlio di quell’Umberto Quintavalle che con il Senatore Giovanni Agnelli aveva fatto crescere nientepopodimeno che la “Magneti Marelli”) si dovette rassegnare ad una triste evidenza di quel periodo di mercato: tra versioni speciali di utilitarie carrozzate dai maestri artigiani italiani, oltre alle realizzazioni speciali (SIATA, Cisitalia, Moretti, Stanguellini, etc..) “parallele” alla Gamma ufficiale di Fiat; ed in mezzo alla neonata generazione delle baby inglesi, francesi e tedesche, il mercato delle “piccole” si era evoluto proprio “contro” Fiat.

E la concorrenza si era moltiplicata in casa soprattutto nel perimetro lombardo: tra Bresso (Iso Rivolta) con la “Isetta”, passando per Arese (Alfa Romeo) che si era messa a produrre la “Dauphine” su licenza Renault, la vera “bestia nera” all’orizzonte stava nascendo a Lambrate. Infatti l’ “Innocenti” che già per Fiat produceva presse e macchinari per stampaggio, fin dai primi anni ’50 cercava partner per la costruzione su licenza di vetture di gamma economica, e fu ad un passo dall’avvio di una linea basata sulla tedesca “Goggomobil” (accordo di cui rimane solo una evocativa “Innocenti Goggomobil Weekend”di Bonetto) per poi avviare l’accordo con la British Motor Corporation.

A parte l’onorevole precedente del Quintavalle, quale figlio di uno storico Socio e collaboratore fondamentale del Senator Giovanni (fondatore della Fiat e nonno dell’Avvocato), Gianni Agnelli pensò forse che la nuova Autobianchi poteva aiutare il Lingotto a diversificare il suo prodotto mass market di taglia “piccola” verso una evoluzione più chic rispetto ai canoni di Gamma popolare. Operazione già avviata al Lingotto con un solo caso fino al 1955, con la “1100/103 TV Spider”.

E quando Agnelli e Valletta sottoscrissero il loro 33% di azioni del “modello Quintavalle”, il terzo Socio fu da subito Leopoldo Pirelli, che per ironia della sorte inaugurò la prima Squadra ufficiale Pirelli – Bianchi al Giro d’Italia nel 1914, anno di nascita di Ferruccio “Illo” Quintavalle…Roba da lettura dei tarocchi!

L’Autobianchi che nasce dunque nel 1955 è tutta nuova, ma il nome ed il Marchio no: quello già apparso sul “Visconteo” nel 1952 (scritta caratteristica in corsivo più quel logo triangolare che nel 1948 incorporava “A” e “B”), nel 1957 era “pericolosamente”, data la simbologia affine a quella massonica, sovrastato da un compasso; venne sostituito fugacemente dal 1965 al 1968 con un logo che univa il Toro di Piazza San Carlo ed il Biscione milanese; per poi diventare quel Logo leggendario creato nel 1967 da Ilio Negri (il papà dell’immagine di Lagostina, Pirelli, Innocenti, Boffi, etc…).

Autobianchi, l’inglesina di casa Agnelli

Fiat passa presto dal 33% al controllo totale di Autobianchi: tra il 1958 ed il 1968 sia Giuseppe Bianchi che Pirelli cedono il loro pacchetto azionario a Mirafiori, che tuttavia molto prima aveva già reso Desio una cattedrale nel deserto dal punto di vista strategico: Sede societaria al Pirellone di Milano, Pista di Prova alla Mandria di Torino, e la direzione tecnica e strategica al Lingotto. Per cui Autobianchi doveva solo fare da “laboratorio” privilegiato delle idee più innovative che si andarono via via a collaudare nel mercato auto. A partire, paradossalmente, dagli Impianti produttivi: tra il 1955 al 1970 la Fiat investe parecchio a Desio per renderlo uno dei siti più moderni d’Italia.

Pensate che Autobianchi utilizzava processi anticorrosione e lavorativi (cataforesi, zincatura, fondi ipossidici, oppure il processo Cryla-gard con la spruzzatura di olio ceroso negli scatolati, o la verniciatura a polvere automatizzata) prima ancora di Lancia e Fiat. Infatti, basta che andate a rileggere il nostro post su Lancia e sul “Rustgate” in Uk per constatare che la ruggine vinceva a Torino e ad Arese, ma a Desio no!

Lungo i 40 anni di vita del Marchio la Autobianchi si è davvero distinta per innovazione ed originalità, dal profilo snob della “Bianchina”, passando per la “Stellina”, la Primula a trazione anteriore e le soluzioni tecniche e volumetriche di “A111” ed “A112” e con l’ultimo atto della “Y10”. Autobianchi ha prodotto davvero pochi modelli di auto: 6 più due rimarchiate Fiat (Mirafiori faceva così esperienza per la futura Gamma conclusiva dell’Innocenti….): la produzione Autobianchi era davvero di nicchia (le “Best Seller “A112” ed “Y10” hanno raggiunto ciascuna poco più di 1.000.000 di pezzi) ma proprio per questo ogni suo modello ha fatto scalpore per la sua straordinaria personalità e ricercatezza, perché la “mission” di Desio dentro la Galassia Fiat fu quella di non creare concorrenza indiretta con la Gamma “popolare” di Mirafiori, ma anche di essere la prima a sperimentare innovazioni tecniche rare in Italia.

Per questo Autobianchi finì per diventare la vera concorrente delle “piccole” francesi ed inglesi di rango, meritando la definizione all’epoca di “Inglesina d’Italia”.

Per evitare però pericolosi confronti con la Gamma Fiat, Mirafiori operò una “dismissione programmata” dal mercato di ogni prodotto di Desio che potesse generare una concorrenza con le concomitanti cugine di Torino. Vediamo una rapida rassegna dei casi più celebri, associando anche la contrapposizione elettiva con il Marchio prima “nemico” e poi cugino della Innocenti.

Bianchina: L’opera prima di Fiat a Desio fu inaugurata con una foto storica alla presentazione della piccola a Milano nel 1957: Valletta, Agnelli, Pirelli, Bianchi gomito a gomito, ed in primo piano lei, la Bianchina immaginata come cugina di lusso della Fiat 500. Ispirata chiaramente alla “ACMA Piaggio 400” (ironico “sfregio” verso Pontedera?) nasceva per richiamare i Clienti un po’snob di Ghia, Vignale e Moretti per i quali arrivarono anche la “trasformabile” e la “Cabriolet”, mentre la “berlina” riusciva a trasportare quattro adulti più comodamente della Fiat 500. Ed addirittura la “Panoramica” del 1960 risultava più spaziosa della “500 Giardiniera” presentata solo sei mesi prima. La Bianchina proprio per questo faceva concorrenza alla Fiat 500, vendendo addirittura di più con la Panoramica rispetto alla Giardiniera, nonostante il prezzo maggiore del 20%; e per giunta a Desio la piccola usciva più velocemente che la 500 a Torino, dove i ritardi nelle consegne erano cronici. Un motivo per chiudere tutta la catena della Bianchina ben 6 anni prima della sua cugina Fiat.

La “Stellina” era invece la traduzione by Mirafiori del nuovo benessere sociale italiano e della voglia di libertà e tempo libero. Nata nel 1963 e contemporanea della quasi omologa “Vignale 600” anticipava non a caso la “850 Spider” Fiat. Fu la prima auto italiana con carrozzeria in fiberglass, e la terza in Europa dopo la “Jensen 541R” e la irlandese “Shamrock”. La nemica giurata di “Stellina “ doveva essere la “Innocenti 950 Spider” su base Austin, tuttavia il rischio di una concorrenza in casa con la nascente “Fiat 850 Spider” (praticamente identica in meccanica e volumi alla “Stellina”) suggerì a Mirafiori di spegnere la piccola Autobianchi appena nacque la “Spiderina” Fiat”, unica designata anche a sfidare la nuova “NSU” Spider.

Sulla Primula del 1964 va fatta una doverosa considerazione: fu una concorrente “pesante” in casa per la Fiat che proponeva ancora la antidiluviana “1300/1500” e che però, visto il successo della nuova Autobianchi, si rese conto di quanto fosse ridicolo tenersi distante dalla trazione anteriore solo per il ricordo della brutta avventura del Senatore Giovanni, e di quando alla salita del Cavoretto nel 1931, in un test di prova della “500 tutto-avanti” insieme al povero Ingegner Lardone il prototipo prese fuoco. I tempi erano cambiati, Fiat le stava prendendo proprio dalle “Innocenti A40” ed “IM3”. Guarda caso la Primula condivideva misure e tecnologia pressochè identiche con la “IM3” del 1963; e con la sua forma concepita in tandem da Dante Giacosa e la Carrozzeria Touring “rendeva la pariglia” alla Pininfarina che aveva disegnato la capostipite della IM3, l’Austin “A40”. Insomma, fu la “Primula” a tenere alto il vessillo Fiat contro la più acerrima nemica di Lambrate? Assolutamente si, ma per tutto ringraziamento Fiat seppellisce la “Primula” dopo solo sei anni di vita, in concomitanza con la uscita della prima “tuttoavanti” 128 Fiat.

La A111 invece può apparire – fate Voi – un mistero, o un sogno mancato, oppure una colossale svista: prodotta per soli tre anni tra il 1969 ed il ’72, assurdo! Nata sul pianale della “Primula” condivideva parecchi lamierati con la “124” ma rispetto a questa era contemporaneamente troppo meno popolare, troppo più avanzata (fu addirittura la prima italiana con scocca a zone di deformazione programmata), dunque decisamente più curata ma costosa. Insomma, non si capisce a cosa sia servita se non, come pensano in molti, a fare da banco di prova per l’architettura tecnica della futura “Lancia” di classe media, e dunque appena uscì la “Beta” questa Autobianchi finì in soffitta.

In effetti tra i primati della “A111” ci fu anche quello di essere l’unica Autobianchi presente negli Showroom Citroen durante l’accordo italo-francese. Dal 1968 l’importatore Chardonnet unì alla Gamma Citroen la A111 come prima auto di Desio “gemellata” nella Rete di vendita del Double Chevron in Francia e Belgio. Curatissima e piaciuta più a decenni di distanza che non sul momento, inventò una moda poi seguitissima tempo dopo: per incrementare le vendite della sua berlina media, l’Autobianchi diede la possibilità di provare l’A111 per mezza giornata. Senza percorsi prestabiliti, senza nessuno a fianco. Un vero “long test drive” ante litteram.

Per spiegare la “A112” invece non basta questo spazio. La A112 è storia vissuta da 1.200.000 italiani ed europei lungo otto serie ed una infinità di versioni: persino Fiat dovette rassegnarsi alla supremazia di immagine, simpatia, primati sportivi e di identità della piccola definita in origine “miniprimula”, e caso unico a Desio lasciò in commercio per ben 17 anni questa leggenda. Perchè A112 è entrata nel mito, capace persino di fare impallidire la avversaria “Innocenti Mini Minor 850” del 1965 e seguenti contro le quali la “A112” era stata caricata a pallettoni. Non solo la Autobianchi asfaltò la concorrente diretta di Innocenti, ma anche la successiva “Mini 90”; inoltre nel segmento delle “Citycar” di pregio si ritagliò un posto speciale: fu infatti lei ben prima della Fiat 127 a preparare il combattivo “comitato di benvenuto” d’Italia verso le piccole di oltreconfine: Mini appunto, ma anche le neonate “Renault 5”, Peugeot “104” e Hillman “Imp” e persino le “crossover” Simca 1100 e Daf 44/55. Tuttavia un record sconosciuto ai più è la vendita della A112 nei mercati scandinavi attraverso un accordo di Marketing con la Saab. Attraverso la rete del Marchio svedese si inaugurò l’accordo con Lancia, che prevedeva al suo “clou” la vendita su licenza Lancia della “Delta” del 1980 ridenominata “Saab Lancia 600”. Ma come primo passo Saab si occupò di distribuire con la sua Rete la “Lancia A112” dal 1977. Primo atto di sempre di un accordo Fiat/Saab più famoso anni dopo per la “Thema/9000”, con la “A112” come ambasciatrice.

Inutile parlare anche della storia e della infinità di Trofei della “Abarth”: prima ad aver creato un torneo monomarca nei Rally,  nacque per contrastare la Mini Cooper ma in realtà costrinse tutti gli altri Marchi a creare una versione sportiva della propria “piccola”. Con un prezzo dell’epoca di Listino pari a Lire 10.480.000 nel 1984 (pari ad attuali 16.000,00 Euro!) la piccola dello Scorpione fu comunque un best seller dall’inizio alla fine. Tra le mille cose dette della “A112” nessuno però ha mai fatto cenno ad un piccolo “mistero” sulle sue forme: si dice che la sua ispirazione deriva dalla “Mini Morris” di Issigonis delle origini, ed in parte sarà vero.

Tuttavia il primo prototipo del Centro Stile Fiat del 1966 è lontano anni luce dalla forma finale dell’auto messa in commercio; mentre quello del 1967 – all’opposto – è praticamente la traccia “master” della linea di serie….Eppure…..Eppure pochi mesi prima di quel prototipo Fiat del 1967 viene lanciata in prima mondiale la “Honda N360”, la prima “K-Car” del marchio giapponese, per la quale si erano dichiaratamente ispirati alla “Mini” inglese e per la quale era stato creato un impianto di lavorazione inedito a Suzuka, oltre che in Malesia ed a Taiwan. Si trattava del primo Stabilimento per sole auto Honda, e questo Vi fa capire quanto questa vetturetta fosse ambiziosa ed importante nel mercato mondiale di Honda. Il paradosso è che se confrontate le dimensioni fondamentali della A112, ad esclusione della larghezza le altre misure (lunghezza x altezza, Passo) sono una proiezione in scala delle proporzioni della Honda N360!!

Una identica proporzione anche dei volumi di cofano motore ed abitacolo, oltre che dei rapporti di superficie vetrata. Un caso? Beh, guardate anche a confronto il muso ed i cofani delle due auto….Significa che la “A112” ha copiato i giapponesi? No, assolutamente. Significa solo che la “A112” poteva permettersi persino un’aria esotica, tanto era personale ed unica.

Cosa dire infine della “Y10”? Solo “Piace alla gente che piace”, come recita lo slogan storico.

La prima “Lancia” del nuovo corso Autobianchi, purtroppo, ma anche la prima Autobianchi con “Turbo”, oppure la prima con Cambio automatico, la prima due volumi di taglio moderno, la prima Autobianchi con pianale comune alla Fiat (la Panda). La prima del Gruppo ad usare il “Fire”, tra l’altro. La prima di serie con Cx di 0,31, cioè molto basso, e la prima piccola europea con apertura elettrica dei cristalli a compasso posteriori e con tergi monospazzola anteriore. Decisamente fuori da ogni possibile confronto la ormai vecchia e particolare Mini Innocenti, nonostante restyling, passo allungato, nuove motorizzazioni anche Turbo e Diesel e persino un Cambio automatico. Impossibile raggiungere la più “trendy” Y10!

Le grandi firme del design Autobianchi

L’ennesima ed ultima Autobianchi disegnata dal Centro Stile Fiat, la “Y10” chiude un altro dei Record insoliti per un Marchio auto italiano dell’epoca: quello di essere stato il Costruttore dove, a parte la “Primula Coupè” della Carrozzeria Touring, le auto della Gamma sono state tutte disegnate da veri “mostri sacri” del Design internazionale, ma rigorosamente tutti interni alla Casa, cioè il Centro Stile del Gruppo: particolare curioso invece è che alcuni dettagli dei diversi modelli son stati disegnati da Stilisti esterni.

Durante la sua esistenza, Autobianchi ha fruito dei giganti della progettazione di Mirafiori: Dante Giacosa, Mario Maioli, Luigi Rapi, ma anche lo straordinario Pio Manzù, oltre a Tom Tijarda per la “Y10” quando questo fu nominato Supervisore dell’Advanced Design Department del Gruppo. Tra i Designer esterni che hanno curato aspetti e dettagli della Gamma, ricordo sulla “Y10” la plancia di Bonetto e gli interni di Coggiola. Come detto, perà, anche la linea della “Y10” è opera del Centro Stile Fiat, visto che le concept di Italdesign e Pininfarina furono scartate !

Ma anche, al contrario, una serie infinita di Carrozzieri e Designers esterni ha dato vita ad un elenco prestigioso per realizzare versioni speciali a marchio Autobianchi. Vediamo in elenco :Ghia disegnò la “Jolly” una versione spiaggina della Bianchina; Pininfarina realizzò una versione speciale “A112 Giovani” dopo la celebre “Runabout A112” di Bertone. Sempre su base “A112” due versioni da incubo (Zagato e la Gold Shadow di Fissore), ed infine una Cabriolet by Vernagallo.

Chi ha ucciso l’Autobianchi

Desio, l’antica Dexium: tranquillo paesino della Brianza poco noto per la sua tradizione industriale tessile e meccanica, è cresciuta insieme al suo Stabilimento Autobianchi come tutte le città in cui un Impianto industriale storico è dentro al complesso cittadino; lo Stabilimento perimetrato tra Viale Lombardia e Via Matteotti dove la “Bianchi” si era insediata prima come “SAOM Officine Metallurgiche” nel 1920 – sostituendosi alla tedesca “Kronprinz” – e poi con la “Società Anonima fabbrica Automobili e Velocipedi di Edoardo Bianchi, Milano” dal 1937, quando la superficie operativa era passata dai 130.000 mq. ai 300.000 mq. Del 1955. Era incredibilmente facile, dal Dopoguerra, veder passeggiare per le vie cittadine come dei passanti qualunque i miti ciclistici del tempo, (Coppi, Bartali, Gimondi) che andavano nelle strutture per testare i mezzi e per fare promozione. Era uno dei regali dell’Impianto produttivo alla cittadinanza.

E forse potete immaginare le “tute blu” che uscendo dallo Stabilimento, prima di risalire in treno facevano la fila per la pizza a Via Olmetto, o magari alla  Trattoria “Federterra” di Via Matteotti per cassola e riso trevigiano;  oppure si godevano paninone al salame ed annesso “bicerot di vin rus” alla vecchia drogheria Sala a Via Garibaldi; sempre se invece non li si trovava a chiacchierare o a leggere i comunicati sindacali al Bar “San Rocco” dopo la fine del turno. Desio operaia, dentro un periodo difficile e particolare dell’Italia.

Ancora qualcuno si domanda chi ha ucciso l’Autobianchi di Desio. Difficile trovare un solo colpevole, in un’Impianto dove, pur comprendendo tutta la produzione della Galassia Fiat oltre a quella Autobianchi, sono uscite poco più di 200 unità per ogni giorno lavorato, contro le 600 necessarie alla soglia di regime; difficile capire le colpe in 40 anni di vita in cui il Marchio ha affrontato due decenni di fase positiva del mercato (1955/1965, e 1980/1990) e due decenni di inferno: due crisi energetiche, il terrorismo e gli scioperi, la diossina di Seveso, ed infine il declino politico di Mani Pulite e finanziario dell’Italia dall’inizio Anni ’90. Io non lo so chi ha ucciso l’Autobianchi. Probabilmente anche noi italiani, con le nostre scelte commerciali, la nostra cultura politica e le condotte aziendali ed operaie. Non solo la Fiat.

Il 31 Luglio del 1992 la Fiat metteva fine alla storia di Autobianchi a Desio, Brianza. Ma da quel giorno quando all’ombra dello scandalo di “Mani Pulite”, che copriva tutto il resto, la Fiat chiudeva gli impianti di Desio e trasferiva processi lavorativi e reparti all’Alfa di Arese, il volto della città è cambiato per sempre.

A Luglio 2003 (poco dopo l’annuale “Palio degli zoccoli” nato per celebrare il ritorno a Desio degli zoccoli che durante il governo medievale dei Turriani  furono banditi perché il loro rumore spaventava la selvaggina con cui i nobili si divertivano a caccia…..) le gru abbatterono la Torre, l’ultimo simbolo dello storico Stabilimento: finiva la storia operaia di Desio, i pendolari, i quartieri dei lavoratori, gli scioperi a Piazza della Conciliazione, tutto sotto lo sguardo maestoso della più antica Chiesa urbana dei Santi Siro e Maderno e della celebre Villa Traversi.

Oggi non c’è più il viavai delle bisarche, e neppure il rito “sacro” dell’invio alla Pista di Prova Pirelli di Vizzola Ticino dei modelli nuovi da provare, o il giorno cadenzato dai turni di lavoro. Oggi non c’è più il tram su quel Corso Umberto, oggi Corso Italia, che gli operai Autobianchi percorrevano per entrare in fabbrica, e neppure gli scorci tra Viale della Stazione e via Tagliabue. Nemmeno funziona più il vecchio deposito dei Tram della STEL, in Corso Italia 150, che collegava i pendolari tra Desio e Milano. Non c’è più la colonia estiva dei figli degli operai.

Tutto scomparso, proprio come la antica Pasticceria del Cavalier Edoardo Pastori di Corso Italia vicino al Ponte di San Pietro (con la antica roggia ormai coperta), da cui uscivano i dolci tipici di Desio come il “papuròtt” ed il panDesio”. Della leggenda Autobianchi oggi rimane una unica reliquia, la Palazzina Cremonini di Viale Lombardia 55, sede storica in stile Liberty degli uffici amministrativi del Marchio: dopo essere diventata sede di Rave party abusivi, dimora di senzatetto e luogo di spaccio e prostituzione, pare che i nuovi acquirenti della Torre “Skyline” di Desio si occuperanno finalmente del restauro della Palazzina. Venti minuti di macchina, tra Desio e Lambrate, per racchiudere un incredibile destino comune anche in tema urbanistico: oggi anche gli stabilimenti Innocenti di Lambrate sono stati in gran parte abbattuti, rimangono anche là solo i palazzi ex ufficio di via Pitteri e Via Rubattino.

Desio e Lambrate un destino in comune

Per la Innocenti il “colpaccio” fu sfiorato nel 1964, quando insieme alla Ferrari fu avviato il progetto “186 Gt” piccola sportivissima con motore del Cavallino, 1900 cc 6 cilindri da 156 Cv. e Design di Bertone. In continuità perfetta con la storica “creatura segreta” di Enzo Ferrari, l’A.S.A. proprio di Lambrate: un’impresa nata da una idea del Drake ma “camuffata” sotto il marchio commerciale di Oronzio De Nora , che acquista da Ferrari brevetti, licenze e progetti di una piccola Coupè da 1000 cc e ben 91 Cv. Questo per non esporre il Marchio del Cavallino in una impresa all’epoca del tutto fuori dal suo tradizionale Core Business. L’idea era quella di avviare una Gamma parallela di “piccole” GT in grado di rivolgersi ad un target di disponibilità economica inferiore alla solita Gamma Ferrari, e prima della fine del progetto nel 1969 l’ASA battezzò la RB 613, una 6 cilindri di 1300 cc estendibili a 1800 cc. Ecco, da questo ultimo motore partì il progetto “Innocenti 186 Gt”. Come per le ASA il disegno di Stile era di Bertone e Giugiaro. Il progetto si impantanò, secondo le versioni ufficiali, per la inadeguatezza della Rete di vendita della Innocenti rispetto ad un modello così prestigioso, e per gli effetti iniziali di una mini recessione tra il 1965 ed il 1968. Peccato: avremmo potuto creare in Italia una vera “anti-Lotus”. Pazienza …..Eppure……

Eppure……Anche in questa vicenda si profila l’ombra di una ingerenza del Lingotto. In effetti l’accordo tra Ferrari ed Innocenti serviva al Drake soprattutto per omologare il blocco motore “Dino” destinato alla F2 in almeno 500 unità montate su auto stradali. E’ una nuova e pesante regola della FIA del 1963, e Ferrari non ha le risorse per volumi produttivi del genere. Ù

Saltato l’accordo con Innocenti, casualmente – per conto della Ferrari poi entrata nella galassia Fiat dal 1969 – il Marchio di Torino creò nel 1964 la catena di montaggio per il motore “Dino”, avviando dentro i suoi impianti l’allestimento della serie “Dino” prima con la Spider e poi con la 2400 Coupè; questa curiosamente disegnata da Bertone e guarda caso fortemente ispirata alla Innocenti 186….

Invece Autobianchi incontro’ sulla sua strada colui che senza il destino tragico sarebbe diventato una stella del Design automobilistico italiano, cioè Pio Manzù. Fu lui a concepire nel 1968 la “Coupè”, bellissima da vedere, con motore centrale posteriore ed in grado di ospitare un quattro cilindri di casa Fiat, a scelta tra 1600 o 2000 cc. Figlia di un percorso travagliato che va dal prototipo SIRA di Giacosa nel 1964 con carrozzeria della OSI, viene ridisegnata nel 1967 dal Centro Stile Fiat del neo assunto Pio Manzù. Disegno dopo disegno, la forma finale di quella che è nota come “G31” arriva ad un passo dalla produzione in serie. Sarebbe stata un colpo di mercato. Ma la Fiat mise il veto. E poco dopo, nel 1972, nacque la “X1/9”. Anche in questo caso, si è persa l’occasione per la prima vera anti-Matra di Francia……

Dopo un destino industriale e commerciale da avversarie vere, è incredibile ricordare come per Autobianchi ed Innocenti fu facile assomigliarsi nel triste ciclo di fine vita: abbandono degli Stabilimenti, chiusura ed oblio, sebbene per la Innocenti la fine sia stata forse più ingloriosa di quella della Autobianchi.

Questa ha chiuso la sua epopea con la “Y10” – a suo modo una Best seller – poi rimarchiata Lancia. La povera Innocenti dall’acquisto di Fiat nel 1989 ha avuto tre soli nuovi ingressi in Gamma, uno peggio dell’altro: partendo dalla almeno “intelligente” Koral della Yugo (controllata jugoslava di Casa Fiat) che nel 1992 inaugurò il nuovo corso “low Cost” di Lambrate, la povera Innocenti ha chiuso la sua carriera con due modeste “rimarchiature” di modelli Fiat : la “Duna” del 1989 ridenominata “Elba” nel 1995, e la terza serie della “Uno” 1991 ribattezzata “Mille” nel 1997….E se Desio ha detto addio ad Autobianchi a Luglio 1992, Lambrate ha salutato la Innocenti il 31 Marzo del 1993.

Un legame di anime, anche, quello tra Desio e Lambrate. Ferdinando Innocenti di Lambrate ebbe la svolta della sua vita dopo aver incontrato il nipote di papa Ratti, nativo di Desio. Edoardo Bianchi, che ha fatto grande Desio, ebbe invece salva la vita dopo essere stato ospitato dall’Istituto “martinitt” che oggi ha scelto la sua Sede proprio a Lambrate. Il destino alle volte è amaro ma romantico. L’automobile purtroppo no.

Riccardo Bellumori

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