Ormai 30 anni fa, nella Primavera 1989, vide per la prima volta la Opel Omega Lotus (Vauxhall Carlton Lotus sul mercato britannico) esposta in anteprima al Salone di Ginevra. In effetti questa specialissima interpretazione dell’ammiraglia della gamma Opel era una sorta di sofisticata operazione di tuning applicato ad una berlina alto-di-gamma. Appendici aerodinamiche di ogni genere e un poderoso 3.600-V6 biturbo bialbero a 24 valvole da 377 CV le permettevano di raggiungere i 100 km/h con partenza da fermo in meno di 5.4 secondi. Niente male davvero per una grande berlina a 4 porte!
Per questa super-Omega, prodotta in un limitato numero di esemplari con la collaborazione della Lotus (che da tre anni apparteneva allo stesso gruppo industriale cui faceva capo anche Opel), furono utilizzate molte parti della Omega 3.000 (come, ad esempio, la scocca ed elementi delle sospensioni), ma anche componenti esclusive come la testata in alluminio con 24 valvole, i due turbocompressori Garrett e i due intercooler che riducevano la temperatura e, così facendo, incrementavano la massa d’aria d’aria per la combustione aumentando il rendimento e conseguentemente la potenza. Il sistema di accensione disponeva invece di tre bobine ciascuna delle quali operava su due candele. Questo sistema aumentava le prestazioni dell’accensione soprattutto agli alti regimi di rotazione. Due convertitori catalitici a circuito chiuso realizzati in materiale metallico ininfiammabile e impermeabile permettevano infine di ridurre le emissioni.
Cambio a 6 marce e frizione rinforzata
La Opel Omega Lotus era equipaggiata con un cambio manuale a 6 marce (una rarità all’epoca) che le consentiva di sfruttare completamente la coppia e la potenza del motore biturbo. I rapporti delle prime cinque marce erano di tipo sportivo e piuttosto ravvicinati, mentre quello della sesta marcia era tarato in modo da ridurre il regime di rotazione del motore alle alte velocità.
Per resistere alle sollecitazioni della enorme coppia erogata dal motore, la Lotus Omega era stata equipaggiata con una frizione da 9.5″ completamente nuova. La molla a diaframma della frizione non lavorava a compressione come di norma, ma a trazione in modo da aumentare la pressione di contatto sullo spingidisco con un conseguente sforzo del pedale ridotto al minimo.
La sospensione posteriore della Lotus Omega rappresentava un’ulteriore evoluzione di quella a bracci semioscillanti della Opel Omega. Le nuove sospensioni, dotate di due puntoni aggiuntivi, assicuravano un’eccellente stabilità direzionale che migliorava la risposta alle reazioni trasversali e di conseguenza la tenuta di strada del veicolo.
Il passo era stato allungato di 18 mm rispetto a quello della Omega 3.000. I cerchi da 17″ montavano pneumatici anteriori da 235/45 e posteriori da 265/40 alloggiando freni a disco ventilati di diametro maggiorato a 320 mm.